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18 Luglio 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Scuola o propaganda? Come Valditara vuole riscrivere la storia – 18/7/2025

Scuola, città, cieli e viaggi: tra storie riscritte, inchieste, disastri e nuove consapevolezze, il mondo cambia — e forse anche il giornalismo con lui.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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È uscito da pochi giorni il nuovo testo delle Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo, cioè quel documento prodotto dal Ministro dell’Istruzione che indica cosa e come si insegna nelle scuole elementari e medie. Il ministro Valditara ne ha parlato con grande orgoglio, ma il documento ha sollevato e sta sollevando diverse polemiche, soprattutto per il modo in cui tratta la storia. 

Una delle frasi che ha fatto più discutere – ma ce ne sono diverse – è quella secondo cui “solo l’Occidente conosce la storia”. Sulla Stampa di mercoledì Christian Raimo ha intervistato Carlo Ginzburg, che è uno dei più importanti storici italiani viventi, che ha sostenuto che è un’affermazione che non solo è sbagliata, ma anche pericolosa.

Nell’intervista Ginzburg sottolinea subito una grande assenza: quella del colonialismo. Dice: “Dire che l’Occidente ha conquistato e modellato il mondo senza menzionare il colonialismo è gravissimo”. Non solo per rispetto alla verità storica, ma anche perché ci impedisce di capire il mondo in cui viviamo oggi, dove l’Europa ha perso quella centralità che per secoli ha esercitato anche con la forza.

Un altro punto dolente è l’insistenza sul concetto di “identità italiana”. Per Ginzburg si tratta di una categoria inutile, addirittura “politicamente pericolosa”. “Non credo nell’identità italiana, né in quella europea, né in quella ebraica”, afferma. “L’Italia è un caso esemplare di molteplicità culturale: arte, lingua, cucina, tutto cambia da un chilometro all’altro. Parlare di identità fisse in un paese come questo è una forzatura”. E poi, aggiunge, oggi le classi sono piene di bambine e bambini che arrivano da tutto il mondo: ha senso continuare a proporre un racconto chiuso, autoreferenziale?

Un altro aspetto criticato riguarda un passaggio del documento in cui si dice che insegnare storia serva a distinguere il bene dal male. Questo è un passaggio centrale perché invece secondo Ginzburg, la storia è fatta di ambiguità, non di verità nette, e uno degli obiettivi principali dovrebbe essere proprio aiutare i bambini e le bambine a confrontarsi con questa complessità. Prende l’esempio di Cristoforo Colombo e si chiede: come raccontarlo senza affrontare anche il tema delle statue abbattute e delle ferite lasciate dal colonialismo?

Ginzburg tocca anche un punto che riguarda da vicino il metodo: nelle nuove Indicazioni si dice che non ha senso formare i bambini all’uso delle fonti. Questa cosa fra l’altro me la condividevano qualche giorno fa con fare preoccupato anche due insegnanti amici, e devo dire che da giornalista è un’idea che mi fa rabbricidire. Anche Ginzburg la definisce “Un’idea velenosa”, che cancella la distinzione tra storia e finzione. “Se non insegniamo ai bambini che la storia pretende di dire la verità, come possiamo poi aiutarli a distinguere tra vero e falso in generale?”

Insomma, secondo Ginzburg queste Indicazioni danno un’idea di storia rassicurante, a senso unico, tutta centrata su valori occidentali e figure eroiche, da Garibaldi a Salvo D’Acquisto. Ma, dice lui, non basta parlare di eroi: bisogna anche spiegare che della storia umana sappiamo poco, e che proprio per questo le fonti, le testimonianze e le domande che emergono dall’incontro con “l’altro” sono fondamentali.

E conclude con una riflessione forte: “Tutto si riduce a un sermone, una pappa dolciastra col sapore del progresso. È inaccettabile. Serve insegnare l’ambiguità, perché è un elemento ineliminabile della realtà”. 

Condivido e fra l’altro, se prendete tutta questa intervista e al posto di Storia mettete giornalismo, funziona uguale.

Vi ricordate il caso del’’aereo dell’Air India precipitato il 12 giugno in cui sono morte 260 persone? Ecco, il Wall Street Journal ha rivelato che sarebbe stato il comandante Sumeet Sabharwal a spegnere manualmente gli interruttori del carburante poco dopo il decollo del volo. 

Leggo su Repubblica che “Un’intercettazione della scatola nera, che registra il dialogo tra i due piloti del volo, indica come sia stato il comandante a spegnere gli interruttori”, scrive il quotidiano americano citando fonti statunitensi a conoscenza dell’indagine. Il secondo pilota, il 32enne Clive Kunder che stava pilotando il Boeing 787 Dreamliner, avrebbe chiesto al comandante perché avesse spostato gli interruttori su “off” subito dopo il decollo, riferiscono le fonti. Una decisione che ha scioccato immediatamente Kunder, mandandolo nel panico. Anche perché ricambiare la modalità di quelle levette non è così facile, a causa di una procedura piuttosto complessa. “Mentre il comandante sembrava restare calmo”, nonostante tutto.

Resta da capire se è stato un gesto volontario o un errore, anche se l’ipotesi dell’errore sembra difficile per un veterano come Sabharwal. E infatti gli investigatori sottolineano che l’azione sembra deliberata. Sabharwal era un pilota molto esperto, descritto come riservato e depresso da alcuni colleghi, che sarebbe andato in pensione a breve.

Questa rivelazione sposta l’asse del dibattito dalla sicurezza degli aeroplani, alla salute mentale dei piloti. Qualche giorno fa il “Daily Telegraph” era stato il primo giornale a pubblicare indiscrezioni su possibili patologie mentali per Sabharwal, soprattutto dopo la morte della madre. Sia lui che il co-pilota Clive Kundar avevano passato negli ultimi due anni il test medico “Class 1” che approva le capacità psicofisiche degli aviatori. Quindi insomma, ci sono nuove domande che sorgono alla luce di queste rivelazioni, sull’attendibilità dei test e delle procedure interne. 

Se questa versione fosse confermata, mi ricorda molto il disastro del 2015, 10 anni fa, quando il volo Germanwings 9525, partito da Barcellona e diretto a Düsseldorf, si schiantò contro le Alpi francesi causando la morte di tutte le 150 persone a bordo. L’incidente fu provocato deliberatamente dal copilota Andreas Lubitz, che approfittò dell’assenza temporanea del comandante per chiudersi da solo nella cabina di pilotaggio e dirigere l’aereo verso la montagna. Lubitz soffriva di disturbi psichici gravi, ma li aveva nascosti alla compagnia aerea. Il disastro sollevò interrogativi profondi sulla salute mentale dei piloti e portò a una revisione dei protocolli di sicurezza aerea in tutta Europa, e molte compagnie aeree cambiarono le regole di sicurezza (ad esempio il fatto di essere sempre in due in cabina di pilotaggio), sia sulla salute mentale dei piloti. Vedremo se anche questo disastro porterà con sé dei cambiamenti. 

Un po’ di fatti dall’Italia e dal mondo. Ieri alla fine è arrivato il via libera all’Autorizzazione Integrata Ambientale per l’ex Ilva di Taranto. Il ministro Urso esulta per il fatto che l’acciaieria, dice, “è salva, così come la siderurgia italiana”. Ma la verità è che tutto il governo ha approvato l’Aia, di fatto contro tutti. Non solo contro la società civile di Taranto, ma anche contro Sindaco, Regione, Provincia e Comune di Statte, che avevano chiesto un rinvio, per motivi sanitari e ambientali, ma non sono stati ascoltati. I ministeri competenti hanno dato via libera, con o senza prescrizioni.

Dure le reazioni: Europa Verde parla di “governo sordo”, PeaceLink di “vittoria di resistenza” ma anche di un progetto industriale ormai senza senso. Si chiede lo stop all’area a caldo, una vera riconversione e la fine del progetto di riarmo.

E sullo sfondo c’è pure lo stallo sulla nave rigassificatrice, bloccata dal conflitto tra governo e Comune. E una sentenza del tribunale di Milano che potrebbe rimescolare tutto.

C’è stato un nuovo scandalo istituzionale che riguarda l’amministrazione di Milano, la giunta Sala, anzi lo stesso sindaco Beppe Sala, fra gli altri, finito sotto inchiesta in una delle tante indagini avviate dalla procura milanese sull’urbanistica in città. L’accusa riguarda una presunta rete di favori e scorciatoie burocratiche che avrebbe agevolato la costruzione di nuovi grandi edifici, usando in modo improprio la “Scia”, uno strumento pensato per lavori minori, per accelerare i tempi e aggirare i controlli. Tra gli indagati ci sono anche assessori, architetti, membri della commissione paesaggio e il presidente della società immobiliare Coima.

Nel caso di Sala, le accuse si concentrano su due episodi: la nomina di un membro ritenuto incompatibile alla commissione paesaggio e un presunto intervento, anche se indiretto, per far cambiare un parere negativo su un grande progetto edilizio, il cosiddetto Pirellino, dell’archistar Stefano Boeri, anch’egli indagato. La procura parla di un vero e proprio “sistema” in cui amministratori e privati lavoravano insieme per far avanzare progetti speculativi, a scapito del controllo pubblico e della trasparenza. Insomma, una roba grossa, da cui Milano si risveglia un po’ stordita. E non solo Milano.

Intanto ieri Israele ha bombardato l’unica Chiesa cattolica della striscia di Gaza, ferendo il parroco e scatendnado l’indignazione del governo italiano, mentre ieri ha bombardato Damasco, capitale della Siria. Così, nel dubbio che non avesse troppi nemici attorno. 

Trump ha chiesto alla Coca Cola di cambiare la sua ricetta, mettendo veros zucchero di canna al posto dello sciroppo di mais, mentre sul web circolano un po’ di teorie e ipotesi su un suo stato di salute non proprio ottimale, per via delle gambe gonfie e dei lividi sulle mani. 

“Quando andiamo in un luogo di vacanza non dovremmo comportarci da persone che hanno pagato per un servizio e dunque pretendono di tutto, anche perché quello che abbiamo pagato è solo il prezzo della stanza di un hotel, è l’affitto breve di una casa, è il pranzo in un ristorante.

Non abbiamo cioè corrisposto una tariffa per poter fare il bello e il cattivo tempo in ogni angolo del luogo che visitiamo, sebbene il luogo sia probabilmente la ragione principale della nostra visita. Restiamo semplici ospiti della città, della montagna, della campagna, del mare. Esseri umani che legittimamente si aggirano per il mondo. L’economia della situazione è questa.

Siamo su Domani, che pubblica questo articolo molto interessante di Letizia Pezzali dal titolo “Il turismo è un’industria estrattiva: risucchia tempo, spazio e senso”.

Vi leggo qualche altra riga: “Un pianeta più felice del nostro sarebbe quello in cui tutti, in qualsiasi luogo, persino nei pressi della propria casa, e finanche dentro la casa, si comportano da ospiti. Con grazia, intendo. Immaginate per un attimo di tornare a casa stasera e ringraziare voi stessi per l’ospitalità”.

«Mi autoringrazio per aver reso disponibile a me stesso questo tetto che ho sopra la testa. E buonasera a me». (Sto esagerando, ma gli esperimenti mentali talora rivelano cose alle quali non avevamo pensato).

L’articolo prosegue spiegando che il turismo, invece, è diventato un’industria estrattiva, che trasforma luoghi vivi in scenografie per selfie, scorci da consumare. Un’economia che si nutre di sguardi esterni e spesso lascia dietro precarietà e sterilità culturale. Le destinazioni perdono identità, diventano prodotti.

E anche chi accoglie i turisti, spesso, cede alla tentazione della massimizzazione del profitto, innescando una spirale che impoverisce tutti: chi offre e chi riceve.

Forse, conclude la giornalista, dovremmo accettare che i luoghi non siano sempre accoglienti o decifrabili. Che possano essere antipatici, ostili, opachi. E proprio per questo veri. Perché ciò che ci resta dentro non è sempre il posto dove siamo stati felici, ma quello dove qualcosa è rimasto inspiegato, dove il racconto si è interrotto. E lì, forse, si nasconde una verità più profonda.

Ora, al di là che mi è sembrata una riflessione molto sensata e condivisibile, ho scelto di parlarvi di questo articolo per fare anche un po’ una meta riflessione su quello che mi sembra sia un fenomeno molto interessante che sta investendo il giornalismo italiano, almeno una sua fetta, che sta iniziando ad abbracciare letture del mondo e a raccontare iniziative non classiche, che magari se frequentate ICC conoscete bene e non vi suoneranno nuove, ma che era rarissimo fino a poco tempo fa trovare sui giornali più grandicelli.

O perlomeno, se da qualche anno diversi giornali anche più grandi hanno iniziato a raccontare storie di cambiamento più, chiamiamole stile ICC, quindi persone che fanno scelte di vita alternativa, economia solidale, finanza etica, esperienze di imprenditoria sostenibile e così via, fin qui lo hanno fatto in maniera spesso un po’ superifciale. mentre adesso noto che c’è un cambiamento anche di approccio, anche nel linguaggio scelto.

Vi faccio un altro esempio di un articolo del Post di ieri: “Nel 2013 il designer olandese Bas van Abel avviò una raccolta fondi online per produrre uno smartphone “etico”, realizzato con materiali estratti in modo sostenibile e in condizioni di lavoro dignitose. L’obiettivo era di risolvere uno dei principali problemi del settore, ovvero l’utilizzo di terre rare e altri minerali provenienti da miniere dove spesso esistono gravi violazioni ambientali e del diritto dei lavoratori.

Gli organizzatori contavano di vendere al massimo cinquemila smartphone ma la campagna si diffuse molto online e finirono per ricevere ordini per circa 60mila Fairphone 1, come fu chiamato il telefono. Da allora Fairphone, l’azienda nata da quell’esperimento, ha continuato a produrre dispositivi elettronici, utilizzando materiali ottenuti in modo responsabile e sostenibile, per esempio da alcune miniere della Repubblica Democratica del Congo che aderiscono a un progetto per escludere dalla filiera i gruppi armati locali”.

E sempre ieri il Post dedicava un articolo al tema dell’economia che gira attorno al tema della camperizzazione dei van. Con un taglio anche abbastanza approfondito, molto interessante, in cui si distingue fra un fenomeno di moda per via dei social, chi ne fa una scelta di vita e così via.

Insomma un pezzetto del giornalismo italiano sembra aver iniziato a raccontare anche questo pezzo di mondo che noi abbiamo chiamato Italia che Cambia e sembra farlo con le parole corrette. Mi sembra un segnale molto bello e incoraggiante.

Una riflessione di Sara Corona sull’inserimento delle Domus de Janas nei patrimoni dell’umanità Unesco.

Audio disponibile all’interno del podcast

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