La Serbia è ancora in piazza: adesso i manifestanti vogliono andare al governo – 24/10/2025
Serbia, a un anno dal crollo di Novi Sad gli studenti tornano in piazza; USA fermano l’annessione della Cisgiordania; in Italia arrivano le stanze dell’intimità.
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Fonti
#Serbia
Il Post – Gli studenti in Serbia chiedono elezioni anticipate
The Guardian – ‘We’ve proved that change is possible’ – but Serbia protesters unsure of next move
#Gaza-Cisgiordania
la Repubblica – Gaza, le news di oggi. Netanyahu: “Vogliamo la pace, ma sono molte le sfide da affrontare”
#Carceri
Il Post – Nelle carceri italiane stanno aprendo le prime stanze per l’affettività e la sessualità
#Stati Uniti–Colombia
Il Post – Gli attacchi degli Stati Uniti a due imbarcazioni al largo della Colombia
#Migranti
Il Post – Almeno 40 morti nel naufragio al largo della Tunisia
Rassegnatore ha detto:
#Violenza di genere
Italia che Cambia – «Non fu stupro, sapeva cosa rischiava»: una sentenza che fa male a tutte e tutti
Italia che Cambia – Ancona ribalta Macerata: condannato a tre anni l’uomo accusato di violenza sessuale su una 17enne
Trascrizione episodio
Fra poco più di una settimana sarà il primo novembre, in Serbia. O meglio, sarà il 1 novembre in tutto il mondo, ma in Serbia questa data, da un anno a questa parte, ha un significato speciale. E in quell’occasione si preannunciano manifestazioni fiume contro il governo.
Un anno fa infatti, il 1 novembre 2024, a Novi Sad, una delle principali città serbe, il crollo di una pensilina aveva ucciso 16 persone, ma aveva anche acceso la miccia della più grande protesta mai vista in Serbia almeno negli ultimi decenni, che dura tutt’ora, ininterrotta da un anno e che promette nuove grandi mobilitazioni.
Dietro al crollo della pensilina infatti, come abbiamo raccontato altre volte, i cittadini serbi, soprattutto i più giovani, studenti e studentesse, la famosa GenZ che in varie parti del mondo sembra bruciare con fuoco della protesta, avevano visto altro: corruzione, appalti opachi, impunità.
È una storia che andrebbe raccontata a fondo, perché davvero a volte una semplice pensilina di una stazione ferroviaria può racchiudere i mali di un paese. La pensilina era degli anni Sessanta, ed era stata in teoria ristrutturata da un’azienda cinese, che però sostiene di non averla ristrutturata. Non c’erano stati controlli, non c’erano stati senza collaudi, nessun permesso completo. Ma una catena fatta di responsabilità poco chiare, accordi nebulosi, documenti ai resi pubblici, scaricabarile. Fatto sta che da quel giorno migliaia di studenti hanno occupato facoltà, organizzato sit-in, marce e blocchi.
Su INMR ne avevamo già parlato mesi fa, quando dal movimento erano iniziate ad emergere le prime richieste chiare: tre cose, principalmente: che fosse fatta giustizia per i responsabili del crollo, più fondi a scuola e università, ed elezioni anticipate. A settembre una di queste richieste ha avuto parzialmente seguito: i procuratori hanno messo in piedi un fascicolo corposo e oggi 13 persone, tra cui un ex ministro, sono accusate per il crollo della pensilina. Ma per gli studenti non basta: vogliono processi veri e trasparenti, chiedono un cambiamento nel sistema, non semplici capri espiatori.
Ovviamente il governo di Vucic ha reagito in maniera autoritaria alle proteste. Stiamo parlando di quello che viene definito tecnicamente un autoritarismo competitivo: non un regime, perché si vota e c’è opposizione, ma un governo in cui gioco elettorale è truccato da media controllati, clientelismo e poteri molto concentrati nelle mani del leader. Il partito dominante (l’SNS, o partito progressista serbo, che però è un partito di destra nazionalista a dispetto del nome) esercita pressioni sistematiche su magistratura, giornali e società civile.
E quindi c’è stata — e c’è — repressione, con arresti, uso di lacrimogeni e stordenti contro i raduni studenteschi, docenti sanzionati per averli sostenuti, e una martellante campagna dei tabloid filogovernativi per dipingere chi protesta come “teppista” e violenta.
C’è comunque una fetta di popolazione schierata a fianco del governo. Raduni pro-governo, anche se principalmente organizzati dall’SNS, il partito di governo, e un accampamento permanente dei sostenitori di Vučić davanti al Parlamento.
Un po’ di violenza c’è e c’è stata in effetti, anche se abbastanza marginalre e da entrambe le parti: a febbraio un’automobile ha travolto i manifestanti anti-governo a Belgrado, ferendo gravemente una giovane; mercoledì, invece, un uomo ha sparato contro il campo ferendo una persona.
Questa spirale ha spinto anche l’Unione Europea a cambiare tono: dopo mesi di cautela, Commissione e Europarlamento hanno criticato apertamente la repressione, legando la questione diritti civili al percorso di adesione.
E intanto, mese dopo mese, le piazze non si spengono: settembre ha segnato i 10 mesi dal disastro con nuove manifestazioni molto partecipate.
L’aspetto interessante, che mi sembra sia un tratto distintivo di questo movimento, è che mese dopo mese c’è stato uno slittamento verso un movimento che si propone sempre più come alternativa politica al governo. Gli studenti, che all’inizio rifiutavano la logica elettorale pensando di non poter competere con il partito di governo, per via della pervasività dei media di governo, oggi dicono l’opposto. Vogliono creare o appoggiare una grande lista civica. E l’idea, come ha spiegato un politologo serbo che si chiama Florian Bieber non è così campata in aria. Il politologo parla esplicitamente della “student list” come «uno straordinario esperimento democratico». E pare che ancora prima che la lista venga presentata, anche perché a momento non ci sono elezioni in vista, i sondaggi registrano un consenso alto per la lista anche prima di sapere i nomi, segnale che la piazza vuole un’alternativa al sistema di Vučić.
Vučić dal canto suo ha fatto sapere che anticipare al 2026 “si può”, ma niente voto subito, come invece vorrebbero gli studenti.
Il prossimo obiettivo è la grande manifestazione del 1 novembre a Novi Sad, che prevede un corteo nazionale, una lunga marcia degli studenti e diverse facoltà ancora occupate in varie parti del paese. Ci aggiorniamo.
Continuano a succedere cose a Gaza e dintorni. Soprattutto dintorni devo dire. ieri infatti la Knesset, il parlamento israeliano, ha votato a favore dell’annessione della Cisgiordania a Israele.
La Cisgiordania, insieme alla Striscia di Gaza, costituisce la Palestina. La Palestina è riconosciuta come stato autonomo da circa 156–157 Paesi su 193 membri ONU. E anche quelli che non lo riconoscono, che sono una trentina, chiamano Gaza e la Cisgiordania Territori occupati da Israele.
Il parlamento israeliano, nel bel mezzo di una delle fasi più delicate, in cui c’è un fragile cessate il fuoco che comunque sta reggendo, ha deciso ieri di votare per l’annessione della Cisgiordania.
Si tratta in realtà di una cosa leggermente più sfumata: sono state votazioni preliminari per applicare la legge israeliana anche alla Cisgiordania. Che però per il diritto internazionale, resta territorio occupato. E quindi questa cosa è illegale (come mille altre cose).
È un passo così pesante che l’amministrazione USA è intervenuta in maniera abbastanza netta per stoppare questo tentativo. Il vicepresidente J.D. Vance in visita a Gerusalemme ha definito il voto «un insulto» e «una manovra molto stupida», ribadendo che per l’amministrazione Trump «la Cisgiordania non sarà annessa».
A quel punto, dopo le pressioni di Washington, Netanyahu ha bloccato la procedura e ha chiesto agli esponenti del suo governo di non far avanzare i disegni di legge “fino a nuovo avviso”. Poco dopo, forse per usare anche la carota, Vance ha detto che Hamas sarà disarmato da una forza internazionale.
Intanto si è mosso qualcosa, ieri, anche sul fronte giuridico internazionale: la Corte Internazionale di Giustizia, che sarebbe il tribunale dell’Onu (da non confondere con la Cpi) ha affermato che Israele è legalmente tenuto a permettere l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza e che le restrizioni imposte violano gli obblighi internazionali.
Sul terreno, intanto, si muove anche qualche timido segnale umanitario: l’OMS ha annunciato la prima evacuazione medica dall’inizio del cessate il fuoco, con 41 pazienti critici e 145 accompagnatori evacuati fuori da Gaza. È poco rispetto al fabbisogno (si parla di ~15.000 persone in attesa), ma ci dice che almeno la macchina umanitaria si sta rimettendo in moto.
Intanto le carceri italiane si stanno lentamente iniziando ad attrezzare per avere le cosiddette stanze dell’intimità. Leggo da un articolo del Post:
“Nelle carceri italiane stanno aprendo le prime stanze che permettono alle persone detenute di esercitare il loro diritto all’affettività e alla sessualità. In una recente risposta scritta a un’interrogazione di Italia Viva sul tema, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto che su 189 istituti penitenziari in Italia 32 hanno detto di avere spazi idonei, 157 invece hanno detto di non averli. All’associazione Antigone, che si occupa dei diritti e delle garanzie delle persone detenute, risulta però che al momento siano operative cinque o sei stanze.
Il numero non è preciso perché Antigone non le sta ancora monitorando in modo strutturato e il ministero non ha specificato quali sono le 32 carceri che avrebbero gli spazi disponibili, né se li hanno già resi utilizzabili. La stima dell’associazione arriva dai controlli periodici che fa durante l’anno.
I primi permessi per fare sesso in carcere erano stati accordati lo scorso febbraio a due detenuti di Terni e Parma. I magistrati di sorveglianza avevano dato alle strutture 60 giorni di tempo per individuare gli spazi: a Terni il locale è stato strutturato e poi usato da altre persone detenute, il primo spazio di questo tipo in Italia. Nei mesi successivi altre carceri si sono adeguate alla sentenza della Corte costituzionale che nel 2024 aveva dichiarato illegittimo il divieto all’affettività in carcere. Il 6 ottobre una stanza per l’intimità è stata inaugurata nel carcere Due Palazzi di Padova, sempre a inizio ottobre Antigone ha constatato che ne era stata aperta una anche a Trani. Il 1° novembre ne verrà aperta una al Lorusso e Cutugno di Torino.
Da Antigone dicono comunque che sono poche le carceri che si stanno adeguando autonomamente alla sentenza della Corte costituzionale e alle linee guida pubblicate ad aprile. Alcune non lo fanno perché, banalmente, sono troppo sovraffollate e non hanno spazi oltre a quelli per le celle; altre invece si muovono soltanto quando un detenuto fa ricorso e a quel punto il tribunale di sorveglianza impone alla struttura di ricavare un locale, nel rispetto della sentenza della Corte costituzionale”.
Insomma, anche se lentamente, però mi sembra che le cose si stiano muovendo. E se è vero che, come affermava Voltaire, “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”, e che la vita sessuale è un aspetto centrale del nostro benessere, perlomeno di molte persone, mi sembra che questo sia un importante passo in avanti di civiltà.
Gli Stati Uniti hanno colpito altre due imbarcazioni sospettate di traffico di droga al largo questa volta non del Venezuela, ma della Colombia, nel Pacifico: 5 i morti, che portano a 37 le vittime in nove raid dall’inizio di settembre nell’ambito dell’operazione anti–narcos voluta da Trump. Sono le prime azioni al largo della Colombia. Addirittura secondo il presidente colombiano Gustavo Petro una delle due si sarebbe svolta in acque colombiane, nemmeno in acque internazionali.
Si tratta di azioni deliberate, in cui delle persone sospettate dagli Usa, ma senza alcuna accusa formale, di narcotraffico non è che vengono fermate, non ci sono controlli e sequestri delle imbarcazioni. No, vengono uccise, deliberatamente, in acque internazionali o forse persino colombiane o venezuelane nelle occasioni precedenti. È una cosa gravissima.
C’è stata anche un’altra tragedia in mare, nel Mediterraneo. Almeno 40 persone sono morte in un naufragio avvenuto all’alba di mercoledì al largo di Salakta (governatorato della Tunisia). A bordo c’erano circa 70 persone dall’Africa subsahariana: 30 sono state soccorse dalla Guardia costiera, mentre le cause del naufragio non sono ancora note. La procura di Mahdia ha aperto un’inchiesta. La Tunisia resta uno dei principali punti di transito verso l’Europa lungo la rotta del Mediterraneo centrale.Infine nel corso della settimana i giornali hanno parlato dell’ennesimo caso di femminicidio, quello di Luciana Ronchi. Ma c’è stato anche un altro caso meno trattato ma decisamente emblematico: un valzer di sentenze in cui un uomo è stato prima assolto per una violenza sessuale, perché la vittima era salita volontariamente in macchina (e quindi “poteva aspettarselo”?!), poi condannato a tre anni da un altro tribunale (che ha fatto valere il principio del consenso e ristabilito l’ordine delle cose). C’è confusione nell’aria, e per aumentarla il governo ha esteso alle scuole medie il divieto di educazione sessuale a scuola.
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