Spagna, storica sentenza contro gli allevamenti: violano i diritti umani – INMR 15/7/2025
Una storica sentenza collega allevamenti intensivi e diritti umani, mentre giovani si disconnettono dagli schermi e i teli sui ghiacciai illudono di fermare la crisi climatica.

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Fonti
#allevamenti
euronews – In legal first, court rules Spain pig farm megapollution breached residents’ human rights
Italia che Cambia – Gli allevamenti di maiali in Spagna sono diventati un grosso problema – #672
#smartphone
The Guardian – Children limiting own smartphone use to manage mental health, survey finds
#ghiacciai
il Post – I teli che coprono il ghiacciaio della Marmolada non lo salveranno
Trascrizione episodio
“In Spagna il Tribunale superiore di giustizia della Galizia, il più importante tribunale nella regione, ha stabilito che i diritti umani di circa 20mila residenti del comune di A Limia sono stati violati a causa del grave inquinamento prodotto dalle centinaia di allevamenti intensivi presenti nell’area. Il tribunale ha condannato il governo regionale e l’ente nazionale che sovrintende la gestione delle risorse idriche per aver messo in pericolo la salute dei residenti inquinando il bacino di As Conchas e le aree circostanti. È la prima sentenza al mondo di questo genere, anche se l’impatto degli allevamenti intensivi sull’ambiente e sulle persone che vivono nelle loro vicinanze è documentato da tempo. La Spagna è il più grande produttore di carne suina in Europa e un terzo degli allevamenti è in Galizia.”
Siamo sul Post, e l’articolo racconta un fatto piuttosto epocale, e anche un po’ paradossale, ma ci arriviamo dopo, ovvero che un tribunale ha stabilito per la prima volta al mondo un nesso fra la presenza di allevamenti intensivi e una violazione dei diritti umani.
Considerate che siamo in Spagna, il paese con più allevamenti di maiali in Europa e uno dei primi al mondo. E in cui da anni gli allevamenti di maiali causano problemi agli esseri umani. Anche perché spesso sono posizionati nelle vicinanze di paesi medio piccoli, per ragioni di spazio, e già due anni fa raccontavamo di come in molti di questi paesi, in cui il numero di maiali supera di gran lunga quello degli abitanti, ci siano proteste feroci contro questi allevamenti. In molte di queste cittadine l’aria è diventata irrespirabile e il tasso di inquinamento è cresciuto in modo allarmante.
La nuova sentenza però può cambiare le cose. Il caso in questione era stato portato in tribunale da sette residenti del comune di A Limia, sostenuti da alcune organizzazioni, che avevano raccontato di come gli abitanti del paese non potessero più aprire le finestre per la puzza, e non si fidassero più a bere l’acqua pubblica per paura che i bacini fossero contaminati.
Leggo ancora sul Post: “Durante le udienze, gli esperti chiamati a certificare i livelli di inquinamento nell’area hanno detto di aver trovato nell’ambiente batteri resistenti agli antibiotici. Hanno anche detto che il bacino idrico era gravemente contaminato, con livelli di nitrati nell’acqua fino a mille volte superiori a quelli normali. I nitrati sono composti chimici contenenti azoto e ossigeno usati nei processi di conservazione della carne, che ad alta concentrazione possono diventare un fattore di rischio per alcuni tumori”.
Insomma una situazione talmente grave che il tribunale ha stabilito che violava i diritti umani dei residenti.
Dall’articolo del Post non si capisce bene se la sentenza avrà delle ripercussioni pratiche oppure no, allora sono andato a spulciarmi altre fonti e c’è un articolo di Euronews molto approfondito che spiega che sì, ce le avrà. In pratica la sentenza ordina esplicitamente alla Xunta de Galicia e all’Autorità del bacino del fiume Miño-Sil di “Adottare immediatamente tutte le misure necessarie per garantire la fine dei cattivi odori e del degrado ambientale del bacino idrico di As Conchas”.
Insomma non è solo una condanna “morale” o simbolica: le istituzioni coinvolte devono agire subito, altrimenti rischiano ulteriori sanzioni o procedimenti.
E oltre a ciò, il tribunale riconoscendo che la gestione degli allevamenti ha violato i diritti fondamentali dei cittadini (tra cui salute, qualità della vita, accesso all’acqua) crea quello che viene creato un precedente giuridico importante, legando in modo esplicito inquinamento da allevamenti industriali e diritti umani. Che a sua volta crea una base giuridica solida per cause future, sia in Spagna che in altri Paesi europei.
Quindi, ecco, notizia molto interessante. Manca solo da smarcare il discorso del “paradossale” a cui accennavo all’inizio. Perché, immagino che alcuni/e di voi lo avranno notato se siete un po’ attenti al tema dei diritti animali, è abbastanza paradossale che si condanni la gestione degli allevamenti intensivi per “violazione dei diritti umani”, quando là dentro ci sono degli esseri senzienti, in grado di provare sensazioni, come piacere, dolore, paura, stress, affetto, e di avere un certo grado di coscienza di sé e dell’ambiente, ammassati, pigiati l’uno contro l’altro, che conducono vite fatte di sofferenze atroci. E che il punto della questione sono solo gli effetti che quella roba ha sulla nostra salute o sul nostro olfatto.
È un classico esempio di quello che viene definito pensiero antropocentrico, ovvero un modo di guardare al mondo in cui l’essere umano sta al centro ed è misura di tutto. Che è un po’ inevitabile, visto che si tratta del nostro pensiero che quello siamo, esseri umani, probabilmente se i maiali dominassero il mondo avrebbero un pensiero suinocentrico, Solo che dovremmo emanciparci il più possibile da questa prospettiva, che fa un sacco di danni e non è funzionale alla nostra sopravvivenza come specie sul Pianeta.
Poi, con tutto questo, resta il fatto che è una notizia che probabilmente porterà a dei miglioramenti, quindi va bene. Però è importante essere consapevoli delle lenti con cui continuiamo a guardare il mondo, anche quando succedono cose sensate.
C’è un trend interessante e, in un certo senso, controintuitivo, che sta emergendo tra i più giovani: sempre più ragazze e ragazzi decidono volontariamente di prendersi delle pause dai loro smartphone, dai social e in generale dalla vita online. Non perché qualcuno glielo imponga, ma per una crescente consapevolezza degli effetti negativi che l’iperconnessione può avere sulla salute mentale, sulla capacità di concentrazione e sul senso di sicurezza personale.
A dirlo non è solo l’esperienza diretta di genitori o insegnanti, ma una ricerca dell’istituto GWI condotta su oltre 20mila giovani e genitori in 18 paesi del mondo. Secondo i dati, dal 2022 al 2024 la percentuale di adolescenti tra i 12 e i 15 anni che decidono di staccare da smartphone e tablet è cresciuta del 18%, arrivando al 40%.
Questa presa di coscienza è confermata anche da studi condotti dal centro Digital Futures for Children della London School of Economics: i giovani, spiega la professoressa Sonia Livingstone, stanno sperimentando diversi modi per tutelare il proprio benessere digitale – dalle pause volontarie all’eliminazione delle app più tossiche, fino ad abbandoni definitivi dei social.
E non si tratta solo di un desiderio di “disintossicazione” momentanea, ma di una critica sempre più esplicita a un sistema che monetizza attenzione, tempo e autostima. Come dice Daisy Greenwell, co-fondatrice dell’iniziativa Smartphone Free Childhood, “prendersi una pausa è diventato un atto di ribellione”.
In effetti, secondo un’indagine di Ofcom, un terzo dei bambini e adolescenti tra gli 8 e i 17 anni pensa di passare troppo tempo davanti agli schermi. E il 47% dei giovani tra i 16 e i 24 anni disattiva le notifiche o usa la modalità “non disturbare”. Percentuali in aumento, che segnalano una crescente consapevolezza critica.
E non è solo una questione di adattamento individuale. Secondo un sondaggio recente, riportato sempre dal Guardian, circa la metà dei giovani intervistati preferirebbe vivere in un mondo senza internet, e più del 75% afferma di sentirsi peggio dopo aver usato i social.
È una roba che mi ha stupito, mi ha sorpreso. Perché ribalta il nostro immaginario sui giovani dipendenti dagli smartphone, e ci dice che forse non sono solo i genitori / nonni a dover – giustamente – dare delle regole sull’utilizzo dei dispositivi con schermi da parte dei più piccoli, ma che scavallata una certa età sono probabilmente più le persone adulte e anziane a doversi far dare delle regole di utilizzo severe da parte dei propri figli o nipoti.
Ciò non toglie che ci siano livelli di dipendenza da smartphone elevatissime eh! La cosiddetta nomofobia colpisce sempre molte persone, soprattutto giovani, ma le persone più giovani, questo sembrano suggerire queste ricerche, sono anche quelle che più facilmente stanno sviluppando gli anticorpi alla sovraesposizione agli schermi e ai social. E mi colpisce forse ancor di più il fatto che così tante persone preferirebbero un mondo senza Internet. Perché devo ammettere che a volte me lo chiedo anche io, sentendomi una mosca bianca solo per chiedermelo, senza nemmeno darmi una risposta chiara. Anche qui, la realtà è molto diversa da come la immaginiamo.
Da qualche anno in diverse località delle Alpi in Italia, ma anche in altri paesi del mondo, si usa stendere dei giganteschi teli bianchi sui ghiacciai, d’estate, per cercare di contenerne il riscaldamento e limitarne l’erosione causata dal cambiamento climatico. È una pratica ormai abbastanza diffusa da noi, ma che solleva una serie di critiche.
A fine giugno il TAR di Trento ha messo fine a un contenzioso burocratico sull’utilizzo dei teli protettivi sulla Marmolada, permettendone infine l’ampliamento. La copertura estiva – circa 30mila metri quadrati – proseguirà e potrà estendersi. Ma c’è un aspetto che è importante chiarire. Torniamo sul Post:
“Non bisogna pensare che siano un modo per conservare il ghiacciaio a lungo termine: i teli sono solo uno strumento per proteggere le piste da sci e ridurre la necessità di usare l’innevamento artificiale lungo gli impianti.
Oggi il ghiacciaio della Marmolada ha una superficie complessiva di circa 900mila metri quadrati, che si è molto ridotta rispetto al passato a causa del cambiamento climatico: nel 1888 si estendeva per 5 milioni di metri quadrati e solo dal 2019 la sua superficie è diminuita di 700mila metri quadrati. Secondo uno studio del 2019 scomparirà del tutto entro il 2050 e già nel 2040 potrebbero continuare a esistere solo alcune parti molto piccole e sottili del ghiacciaio, quelle all’ombra delle cime e sul lato della montagna che dà verso nord”.
I teli, usati ogni estate dal 2012, servono a rallentare la fusione del ghiaccio su tratti strategici, difficili da innevare artificialmente. Si tratta di giganteschi teli bianchi, larghi 5 metri e lunghi 70, che vengono posiaionati a strisce cntigue l’una all’altra, che riflettono la luce solare e riducono la fusione fino al 70%.
E che funzionicchiano localmente, ma hanno due grossi problem: il primo è che ovviamente hanno un funzionamento molto limitato e non risolvono minimamente il problema, la causa dello scioglimento, ma ne tampinano solo un po’ gli effetti, e due che hanno un impatto ambientale tutt’altro che trascurabile: sono fatti di plastica, rilasciano microfibre, richiedono energia per essere prodotti e installati. E secondo una lettera aperta firmata nel 2022 da 44 scienziate e scienziati, rischiano di diventare uno strumento di greenwashing: un’illusione di sostenibilità utile più al marketing degli impianti sciistici che alla lotta contro la crisi climatica.
Lo stesso gruppo di ricercatori sottolinea nella lettera che, pur riducendo localmente lo scioglimento, i teli non possono in alcun modo compensare le perdite su larga scala causate dall’aumento delle temperature. Né possono essere installati su superfici molto ampie, per ragioni economiche, logistiche ed ecologiche. In sostanza: i teli aiutano le piste, non i ghiacciai. Aiutano l’industria, già morta e sepolta, dello sci e nel frattempo causano danni ambientali.
Per cui presentarli come una soluzione alla crisi climatica – come spesso fanno i media e alcune aziende del turismo – non è solo fuorviante, è decisamente pericoloso.
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