19 Lug 2017

La strage degli ambientalisti: 200 omicidi nel 2016

Duecento ambientalisti sono stati uccisi nel 2016 per aver difeso la propria terra dalle compagnie intenzionate ad impadronirsene. Un record di omicidi denunciato dall'organizzazione inglese Global Witness che esorta ad adottare una serie di provvedimenti per tutelare gli attivisti, spesso vittime anche di minacce di morte, arresti e stupri.

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I difensori della terra
La lotta contro le compagnie che rubano le terre native e distruggono l’ambiente non è mai stata così pericolosa. Il rapporto “Difensori della Terra” dell’organizzazione inglese Global Witness evidenzia che nel 2016 sono state uccise quattro persone alla settimana per aver protetto la loro terra e il mondo naturale da industrie minerarie, del legno e dell’agribusiness. L’omicidio è solo uno degli espedienti utilizzati per mettere a tacere i difensori dell’ambiente, che spesso è affiancato da minacce di morte, arresti, stupri e attacchi legali.

 

 

La colombiana Jakeline Romero ha dovuto sopportare anni di minacce e intimidazioni per essersi espressa contro l’impatto devastante di El Cerrejon, la miniera a cielo aperto più grande dell’America Latina. Di proprietà delle compagnie inglesi Clencore, BHP Bilton e Anglo-american e gestito da un operatore locale, il progetto è sotto accusa per tagli delle risorse idriche e deportazioni di massa.

 

Questo rapporto racconta le storie di tantissime persone come Jakeline che si sono opposte allo strapotere delle multinazionali, dei paramilitari e persino dei propri Governi, nei paesi più pericolosi al mondo per chi vuole difendere l’ambiente.

 

Gli omicidi degli ambientalisti non stanno solo crescendo di numero, si stanno anche diffondendo. Nel 2016 sono state documentate 200 uccisioni in 24 paesi, rispetto alle 185 in 16 paesi del 2015. Quasi il 40% delle vittime erano indigeni. La mancanza di indagini rende difficile identificare i responsabili, ma sono stati rilevati forti indizi che suggeriscono che ci siano la polizia e l’esercito dietro almeno 43 casi, con altri 52 casi collegati a soggetti privati come guardie di sicurezza e sicari.

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La colombiana Jakeline Romero ha dovuto sopportare anni di minacce per essersi espressa contro l’impatto devastante di El Cerrejon, la miniera a cielo aperto più grande dell’America Latina


I paesi più pericolosi per gli attivisti
Lo spietato sfruttamento di cui sono vittime le ricchezze naturali dell’Amazzonia rende il Brasile, ancora una volta, il paese più pericoloso in termini di numero di morti, anche se l’Honduras rimane in cima alla lista nera per le uccisioni pro capite negli ultimi dieci anni.

 

Il Nicaragua sta cominciando a insediare questo triste primato. È in preparazione un canal inter-oceanico per tagliare in due il paese, con il grave rischio di migrazioni di massa, tensioni sociali e repressione violenta di coloro che vi si opporranno. Una vorace industria mineraria consegna alle Filippine il primo posto in Asia.

 

In Colombia gli omicidi hanno raggiunto un numero record, nonostante – o forse proprio a causa di questo – il trattato di pace recentemente stipulato fra il Governo e il gruppo dei guerriglieri delle FARC. Zone precedentemente interessate dalla milizia ribelle adesso sono osservate con interesse dalle compagnie estrattive e i paramilitari, tornando alle loro comunità, sono attaccati perché reclamano le loro terre rubate nel corso dei quasi cinquant’anni di conflitto.

 

L’India ha registrato un’impennata di uccisioni nel contrasto di una politica dal pugno di ferro che reprime violentemente le proteste pacifiche e l’attivismo.

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Difendere i parchi naturali ora è più rischioso che mai, in particolare in Africa, dove numerosi rangers sono stati assassinati, specialmente nella Repubblica Democratica del Congo.

 

Ma questo non è un problema confinato in alcuni angoli del Pianeta. I paesi sviluppati stanno mettendo a punto altri metodi per reprimere gli attivisti, soprattutto negli Stati Uniti, dove gli ambientalisti hanno tutte le ragioni per protestare contro l’amministrazione Trump.

 

È sempre più evidente che, a livello globale, i Governi e le industrie stanno mancando il loro obiettivo di tutelare chi protesta. Consentono un livello di impunità che permette alla maggior parte dei delinquenti di farla franca e incoraggiano i potenziali assassini. Gli investitori, incluse le banche, alimentano la violenza sostenendo i progetti che danneggiano l’ambiente e ledono i diritti umani.  Ironicamente, sono gli attivisti stessi a essere dipinti come criminali, indicati come responsabili di una condotta illegale e vittime di una serrata persecuzione legale da parte dei Governi e delle multinazionali, che cercano di metterli a tacere.

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Proteggerli al fronte
Questo rapporto fa pressione sui Governi, sulle aziende e sugli investitori affinché prendano una serie di provvedimenti:
– Combattere i rischi alla radice: garantire alle comunità locali la possibilità di fare scelte libere e consapevoli su se e come utilizzare le risorse delle loro terre.
– Supportare e proteggere gli attivisti attraverso leggi, provvedimenti politici e atti specifici.
– Pretendere che chi commette abusi ne risponda: andare oltre la persecuzione dei mandanti e degli esecutori degli attacchi, assicurando che i soggetti coinvolti, come gli investitori, che non hanno protetto i difensori della terra affrontino le conseguenze delle loro negligenze.

 

 

Traduzione a cura di Francesco Bevilacqua
Articolo originale sul sito di Global Witness 
Il rapporto completo di Global Witness 

 

 

 

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