26 Gen 2023

Stato Bradipo: nell’era della fast fashion, un progetto di moda lenta, etica ed ecologica

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Nel 2017 la giovane stilista romagnola Leoné Frajese fonda il marchio Stato Bradipo. Il nome incuriosisce, ma soprattutto trasmette un messaggio fondamentale: in un mondo della moda fondato sullo sfruttamento, sulla massificazione, sulla massimizzazione del profitto e sulla velocità, il cambiamento passa attraverso artigianalità, riduzione dell'impronta ecologica e lentezza. E chi è più lento di un bradipo?

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Ravenna, Emilia-Romagna - Avete mai visto un bradipo che fa surf? Probabilmente no, anche perché questo animale è uno dei più pigri di tutto il mondo naturale – pensate che trascorre fino a 18 ore al giorno dormendo. Eppure l’immagine nata da questo paradossale accostamento è il simbolo di un progetto che ha tutti i crismi per rappresentare una piccola grande rivoluzione nel mondo della moda: Stato Bradipo.

Stato Bradipo nasce nel 2017 da una maglietta e dalla vulcanica mente di Leoné Frajese, giovane romagnola di cui abbiamo raccontato la storia in questo articolo. Di ritorno da uno dei suoi tanti viaggi, Leoné confeziona una t-shirt da regalare a un bambino e ci scrive sopra “un bimbo allo stato bradipo”. Il primo passo è compiuto.

Ma perché il bradipo cavalca un surf? È presto detto: «In quel periodo surfavo – racconta Leoné – e mia mamma il giorno del mio compleanno decise di regalarmi un costume a manica lunga per fare surf. Così iniziai a fare costumi da surf a manica lunga artigianali, fui fra i primi in Italia. Disegnai il logo con un bradipo sulla tavola da surf perché volevo essere capa di me stessa, di un progetto che potevo creare in Italia ma portare in Australia, dove surfare è parte integrante della cultura locale».

stato bradipo 2
Leoné Frajese

L’Australia è infatti stata uno spartiacque nella vita di Leoné, che ha vissuto lì per un annno. Ma il bradipo ha anche un significato personale: «In quel momento ero in una relazione in cui mi veniva sempre rimproverato di essere lenta e allora mi sono detta “sai cosa? Io mi chiamo Stato Bradipo, creato con calma, così non mi rompete più!”».

ARTIGIANALITÀ

In realtà tutto nasce da una preziosa eredità che Leoné ha ricevuto dai suoi genitori, artisti e creativi. Per lei infatti è naturale cucire, confezionare abiti – «ho iniziato all’età di 5 anni insieme a mia mamma e mi sono sempre fatta i vestiti da sola», ricorda – e questo è stato decisivo nel creare un brand che al modello della “slow fashion” contrapponesse una produzione artigianale, lenta e curata.

I primi tempi di vita di Stato Bradipo sono sperimentali: nel giro di qualche mese Leoné realizza la sua prima linea di costumi da surf e si trasferisce alle Canarie per venderli ai mercatini locali. L’anno successivo la produzione si amplia anche ai bikini e si presentano le prime difficoltà imprenditoriali: «Tutta la parte di modellismo deve essere dettagliatissima, i cartamodelli devono essere precisi al millimetro. La gente non si rende conto della difficoltà, un costume a manica lunga è composto da 17 pezzi che si devono incastrare perfettamente».

Seguono altri mesi intensi: un corso di formazione professionale, l’affiancamento con una modellista esperta che le insegna l’arte e l’amore per i dettagli, il contatto con un brand bolognese che fornisce gratuitamente una grande quantità di stoffa di prima qualità inutilizzata e destinata al macero. «Dopo sei mesi di formazione sono riuscita produrre i miei costumi in un piccolo laboratorio nel modenese, la mia prima collezione di costumi da bagno».

Bisogna pensare collettivamente di cambiare l’approccio all’abbigliamento, comprare e produrre molto meno, prendersi più cura del proprio abbigliamento

Il percorso professionale e personale di Leoné si evolve di pari passo con quello di Stato Bradipo, che oggi è diventata la sua attività principale e non solo un sogno da coltivare nei ritagli di tempo. Anzi, di più: è un atto pratico che lancia un messaggio politico rivolto a una delle industrie più inquinanti del pianeta, quella della moda.

MODA, INQUINAMENTO ED ECONOMIA CIRCOLARE

Sin dalla nascita di Stato Bradipo, Leoné si è posta il problema di come ridurre l’impatto della propria attività, andando anche oltre i principi dell’economia circolare: «Io voglio usare tessuto che già esiste, ma il problema è che la parte più inquinante è la produzione di quel tessuto, che non è regolamentata, tracciata né trasparente. Quindi non posso sapere come né da chi esso è stato prodotta. Questo mi toglie la possibilità di stimare l’impronta ecologica dei miei costumi».

Questo inconveniente ha spinto la giovane stilista a studiare e sperimentare soluzioni quanto più ecologiche possibile: «Ho cominciato a usare un tessuto nuovo rigenerato a partire da bottiglie di plastica e un altro realizzato con reti ripescate dal mare, ma i fornitori non mi hanno fornito dati sull’impatto ambientale della produzione».

L’obiettivo ora è quindi trovare realtà italiane che realizzino tessuti ecologici tracciabili. Ma non solo: «Voglio impiegare anche materiali neutri adatti anche a persone con allergie o patologie che interessano parti del corpo sensibile, come cistite e candida. Soprattutto quando si parla di costumi da bagno, che stanno a contatto con le parti intime, è fondamentale prendere in considerazione questi aspetti».

stato bradipo 3

Il sogno di Leoné è riuscire a creare un costume in canapa, in modo da sostenere la riqualificazione della canapa tessile italiana, un tessuto che ha grandi pregi e non richiede l’utilizzo di sostanze chimiche perché può essere trattato con una lavorazione esclusivamente meccanica. «Sto lavorando su questo con un’azienda che ha detto che il tessuto che vorrei non esiste, ma ci stanno lavorando. Al momento cerco delle alternative, ma voglio tessuti tracciabili e tracciati dalla produzione della materia prima alla fase di trattamento, dalla tessitura alla tintura».

SLOW FASHION: IL PREZZO È GIUSTO?

«Per com’è adesso il mercato globalizzato, iniziative come la mia in questo momento non possono che rimanere elitarie, purtroppo», osserva Leoné. «Forse l’unica via è che tutte le persone inizino a farsi più domande sul proprio abbigliamento e a cercare di saperne di più. Parallelamente i grossi brand devono smetterla di produrre senza avere uno spettro più ampio, è un meccanismo disumano che mira solo all’aspetto economico».

Secondo la fondatrice di Stato Bradipo, «bisogna pensare collettivamente di cambiare l’approccio all’abbigliamento, comprare e produrre molto meno, prendersi più cura del proprio abbigliamento. Esistono già così tanti vestiti che non ha senso produrne altri. Purtroppo i mercati di seconda mano oggi sono pieni di prodotti di brand fast fashion realizzati con materiali di scarsa qualità. Dobbiamo imparare a leggere le etichette dei capi, perché l’industria tessile si base sulle diseguaglianze e sullo sfruttamento».

EMBODIMENT

Eloisa Masini – cara amica e collaboratrice di Stato Bradipo, filosofa che studia a Parigi politiche culturali e studi di genere e accessibilità – è colei che ha redatto il manifesto di Embodiment. «Insieme ci siamo rese conto di quanto ambiente, cultura, sociale e abbigliamento siano parte della stessa cosa», spiega Leoné illustrando il progetto. «È un discorso delicato e importante: abbiamo scelto di scrivere il manifesto partendo da una ragione personale, e quindi politica, poiché vestendo il nostro corpo solamente con un costume siamo più esposte al mondo esterno e soprattutto perché abbiamo corpi femminili. Conviviamo con il condizionamento costante dettato dallo sguardo, nostro e degli altri, una sorveglianza continua, stessa matrice di problematicità molto più ampie, che si arrivano a manifestare anche ad esempio attraverso abusi e molestie verbali sui nostri corpi».

stato bradipo 1

Tutto parte dalla concezione del corpo come oggetto di giudizio: quello che si vede guardandolo è ciò che ci si aspetta che la persona sia. «Con Embodiment facciamo un appello: il nostro obiettivo è decentrare l’estetica e il giudizio dal corpo e spostarle sulla relazione con il prossimo».

«Facendo tanti mercatini e avendo fatto provare costumi a tantissimi corpi, per lo più femminili, mi sono resa conto di quanto sia un problema intrinseco e sistemico la tendenza di molte donne ad autogiudicarsi: senza neanche essersi guardate allo specchio, non si sentono “degne” di indossare un costume. Si auto-criticano, relegando la loro intera persona a un “valore” determinato solo dalla loro estetica e io rimango mortificata dalla comprensione di quanto tale giudizio sia un limite che incide sulla nostra vita».

Il messaggio che vogliono trasmettere Leoné ed Eloisa è che non è responsabilità della persona amare il proprio così com’è, piuttosto è una responsabilità collettiva fare in modo che questa persona non venga discriminata per il proprio corpo. «Per questo parliamo di body neutrality e non di body positivity. Decentriamo il giudizio dal corpo lasciando spazio invece alla persona, a com’è e non a come il suo corpo appare. Vogliamo evidenziare e decostruire quella che è una forma di oppressione. Sono convinta che i tempi stiano cambiando e che ci possa essere nuova consapevolezza, più tollerante, sensibile ed inclusiva, con l’impegno delle nuove, ma soprattutto delle vecchie generazioni», conclude.

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