5 Nov 2024

Nihon Hidankyo e il Nobel per la Pace 2024: “La lotta parte dai nostri drammi”

Scritto da: Laura Tussi

Nihon Hidankyo è l'associazione dei hibakusha, i sopravvissuti alle bombe atomiche, che ha vinto il Nobel per la Pace 2024. Ecco una carrellata di commenti da parte di esperti e attivisti per la pace, accomunati da alcune riflessioni. Due su tutte? L'importanza di non dimenticare il genocidio in corso e il valore della testimonianza di chi la guerra, in particolare quella nucleare, l'ha vissuta sulla propria pelle.

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“Per gli sforzi per raggiungere un mondo libero da armi nucleari e per dimostrare attraverso testimonianze dirette che le armi nucleari non devono mai più essere usate”. È questa la motivazione in base alla quale il Premio Nobel per la Pace 2024 è stato assegnato all’organizzazione giapponese Nihon Hidankyo, che riunisce i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Con la preziosa collaborazione di Ennio Cabiddu e Fabrizio Cracolici, noti attivisti per la pace e la nonviolenza, ho voluto raccogliere una serie di testimonianze rispetto al tema del nucleare e all’assegnazione di questo Premio Nobel per la Pace.

«Il premio Nobel per la pace spesso rappresenta il vertice dell’ipocrisia occidentale», ha osservato Giorgio Cremaschi, portavoce di Potere al Popolo/Usb. «I cosiddetti saggi che assegnano il premio, di nomina politica da parte del parlamento della Norvegia, paese fondatore della NATO, quasi sempre agiscono con una precisa ottica politica. Essi danno il premio a chi corrisponda all’idea occidentale della pace e dimenticano gli altri. Così ad esempio Gandhi non fu mai premiato per non dare fastidio al colonialismo britannico, mentre hanno ricevuto il Nobel Theodore Roosevelt e Barack Obama, mentre facevano guerre. A volte però il premio va in mani giuste, anche se per ragioni geopolitiche tutte da scoprire».

Nihon Hidankyo
Giorgio Cremaschi

Così quest’anno lo ha ricevuto l’organizzazione giapponese Nihon Hidankyo, che a nome delle vittime di Hiroshima chiede il bando delle armi nucleari. È il secondo Nobel su questo tema in pochi anni, nel 2017 esso fu assegnato all’organizzazione internazionale ICAN, da sempre impegnata contro le armi nucleari. Armi che invece sono sempre più all’ordine del giorno del dibattito politico militare, con le disquisizioni folli su un loro utilizzo limitato e controllato. E che soprattutto sono al centro di una nuova generazione di investimenti bellici da parte di tutte le grandi potenze e dei loro vassalli. 

Continua Giorgio Cremaschi: «Vassalli come l’Italia, che sta installando bombe atomiche a Ghedi e Aviano e sta buttando via miliardi per comprare gli F35 che potrebbero trasportarle. Bene dunque il premio Nobel all’organizzazione pacifista giapponese, anche se in questo momento sarebbe stato ben più incisivo premiare chi sostiene il popolo di Gaza, sottoposto al genocidio israeliano. Lo ha ricordato con un commovente discorso lo stesso leader di Nihon Hidankyo. Che ha detto tra le lacrime che oggi Hiroshima è a Gaza e che quelle popolazioni oggi andrebbero premiate».

La scelta di Nihon Hidankyo trova d’accordo anche il politico Paolo Ferrero: «Ho trovato particolarmente condivisibile la scelta di attribuire il Nobel per la pace al gruppo di attivisti giapponesi Nihon Hidankyo, che nell’atto di ricevere il premio hanno sottolineato come la situazione a Gaza sia “come il Giappone di 80 anni fa”. In questa sottolineatura si ritrova tutta l’umanità di questa organizzazione e delle persone che ne fanno parte: la capacità di partire dal proprio dramma per lottare affinché nessuno abbia più a soffrire una situazione simile».

L’assegnazione del premio Nobel per la pace ai superstiti e familiari delle vittime di Hiroshima e Nagasaki va salutato certo con rispetto, per il valore della testimonianza che essi hanno offerto come un monito all’umanità intera, cui fu inferta una ferita che mai potrà rimarginarsi. I professori e decani Salvatore Izzo e Luciano Vasapollo, della facoltà di lettere e filosofia, università La Sapienza di Roma, constatano «l’amarezza per un riconoscimento così tardivo che, se anche pone attenzione ai rischi crescenti di una escalation nucleare, sembra ignorare temi come il genocidio palestinese, il calpestamento del diritto internazionale da parte di Israele in particolare in Libano e la politica espansionistica della NATO, fenomeni che mettono a rischio il futuro di tutti».

E come per i due docenti, la speranza è che il Nobel per la pace assegnato quest’anno stimoli una presa di coscienza che aiuti a identificare le pesanti responsabilità dell’Occidente, che oggi come allora compie scempio dei popoli non asserviti alla visione unipolare. Raffaele Crocco, direttore di Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo afferma: «Le ragioni di questo Nobel per la Pace loro se le portano sulla pelle, nelle ossa, nelle molecole malate. Se davvero premiassero ogni volta quelli che la Pace la costruiscono dopo aver vissuto l’orrore, forse il mondo sarebbe migliore. E in Pace».

Nihon Hidankyo

Come Cremaschi, anche Crocco fa notare che «chi premia con il Nobel è quasi sempre come chi invoca la guerra per risolvere i problemi: la guerra non l’ha vista davvero, non l’ha vissuta sulla propria pelle. Per questo il riconoscimento a Nihon Hidankyo significa dare più voce e più forza a chi vuole evitare il suicidio dell’umanità. Lo vuole evitare perché l’ha vissuto. E sa che l’unico modo per fermarlo è eliminare per sempre ogni arma atomica dal Pianeta».

Prosegue il docente e attivista di pace Roberto Lovattini: «Finalmente una buona notizia per coloro che credono in un mondo libero dal pericolo nucleare e dedicano la loro vita a immaginare e a realizzare una società senza gli orrori delle guerre. Nihon Hidankyo è stata fondata ed è tuttora formata  dagli hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Un riconoscimento importantissimo non solo alle sofferenze di queste persone, ma anche per l’impegno e la costanza che hanno messo nel tenere sempre alto l’appello per il disarmo nucleare ma anche per tutte le armi in generale».

La speranza è che il Nobel per la pace assegnato quest’anno stimoli una presa di coscienza che aiuti a identificare le pesanti responsabilità dell’Occidente

Quello di quest’anno quindi non è solo un premio rivolto all’impegno passato, ma anche l’invito a ripercorrere le strade di questi  hibakusha e costruire un futuro migliore. È anche un monito a tutte quelle nazioni, come l’Italia, che ancora non hanno ratificato il Trattato TPNW, il Trattato di proibizione delle armi nucleari. Per questa ragione non chiediamo alle autorità italiane celebrazioni fuori luogo per questo premio Nobel, ma l’effettiva approvazione della ratifica del Trattato e il bando di ordigni nucleari dal territorio nazionale.

Lovattini prosegue contestualizzando il dramma la cui memoria è conservata da Nihon Hidankyo nell’epoca attuale: «Oggi gli ordigni nucleari hanno un potere distruttivo notevolmente superiore alle due bombe che uccisero almeno 200.000 persone a Hiroshima e Nagasaki. Quello che sta succedendo attualmente nel mondo – gli scontri, almeno per il momento, a distanza tra le superpotenze – non ci rassicurano e una guerra nucleare distruggerebbe la nostra civiltà».

La conclusione di questa carrellata di argomentazione è affidata allo scienziato italo-francese Luigi Mosca: «Quanto a questo nuovo Premio Nobel per la Pace per gli hibakusha, direi che è soprattutto importante per il suo ruolo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Certo non basterà per giungere a una eliminazione effettiva e totale degli armamenti nucleari: per questo penso che occorrerà riuscire a motivare uno o più Stati dotati di armi nucleari perché diano inizio a un processo di disarmo nucleare dall’interno».

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