Italsider e industria pesante a Bagnoli: come lo sviluppo industriale colonizza un territorio
Analizzando la storia degli insediamenti industriali – primo fra tutti quello di Italsider – che hanno condizionato la vita di quest’area, inauguriamo un filone di approfondimento su Bagnoli e sul suo progetto di bonifica.
In breve
L’industria pesante a Bagnoli, quartiere napoletano affacciato sul Golfo di Pozzuoli
- Per quasi 150 anni a Bagnoli sono state in funzione industrie fortemente inquinanti che hanno contaminato il terreno e le falde acquifere dell’area.
- Fra esse spicca l’Italsider, che con il suo impianto ha raggiunto picchi di 120 ettari di superficie e 8000 dipendenti.
- Negli anni ’90 si comincia a parlare di bonifica e riqualificazione, ma recentemente le opere previste sono state variate in modo poco chiaro.
- Questi e altri temi saranno oggetto di un dossier di approfondimento che inauguriamo con questo primo articolo.
Alla periferia nord-occidentale di Napoli, nel quartiere di Bagnoli, si estende un’ampia area industriale dismessa. Questa zona ha ereditato l’inquinamento da decenni di attività industriali ed è stata classificata come SIN: un Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche ambientali, un’area talmente inquinata da rappresentare un rischio per la salute pubblica e per l’ambiente, tanto da richiedere un intervento diretto e prioritario dello Stato.
Proprio su Bagnoli è incentrato un filone di approfondimento che inauguriamo con questo articolo. Una serie di focus sulla situazione ambientale di questo centro, sulla storia che ha portato alle condizioni attuali e sui progetti di bonifica e risanamento che da anni si susseguono – inattuati e soggetti e continue modifiche. Ma parleremo anche di come la società civile si stia mobilitando per stimolare e monitorare la concretizzazione di tali progetti e del ruolo spesso misconosciuto ma centrale del fenomeno del bradisismo – ovvero l’alzarsi e abbassarsi del suolo per via dell’attività vulcanica – che interessa tutta l’area flegrea.
Italsider e l’industria pesante di Bagnoli
Partiamo dunque dalla storia. Bagnoli infatti, oggi conosciuta anche per la sua vocazione turistica, porta ancora i segni di un passato segnato da un’industrializzazione invasiva e scarsamente controllata. Tutto ebbe inizio nella seconda metà dell’Ottocento, quando in un’area costiera frequentata un tempo dai napoletani e perfino da sovrani di varie epoche, sorse uno stabilimento chimico dapprima dall’Unione Concimi, poi del Gruppo Montecatini e infine di Federconsorzi.

Nel 1905 viene fondata un’acciaieria, l’Ilva, che dal 1964 prenderà il nome di Italsider. Un colosso che da lavoro a circa 1200 operai, che negli anni venti raddoppiano in funzione delle produzioni belliche fino ad arrivare a circa 4000 negli anni quaranta. Ma in quel periodo Bagnoli viene colonizzata da altri giganti dell’industria pesante: prima la Eternit, che tratta l’amianto-cemento, e poi, nel 1954, l’impianto della Cementir, che trasforma gli scarti di lavorazione d’altoforno in cemento e calcestruzzo.
È il periodo in cui le esigenze di ingrandimento dell’area portano l’acciaieria a occupare oltre 120 ettari, allargando l’impianto in due direzioni: una zona prospiciente il mare, con una discussa “colmata” in cui finiscono tantissimi rifiuti industriali classificati come “inerti”, e un pontile prolungato a mare per le operazioni di carico e scarico di navi di grosso tonnellaggio, oggi diventato passeggiata aperta al pubblico. Ma la fine della guerra crea un contraccolpo nella produzione dell’acciaio e i dipendenti passano a 800.
Negli anni ‘70 viene avviata un’opera di ristrutturazione dell’impianto che porta a circa 8000 unità i dipendenti, con l’aggiunta di un ulteriore migliaio di persone legate a imprese appaltatrici che svolgono altre funzioni all’interno dello stabilimento, che a sua volta utilizza tutti i circa due milioni di metri quadrati di area raggiunti prima della guerra. A metà degli anni ‘80 si rinnovano completamente gli impianti, ma stavolta è l’Europa a imporre drastiche riduzioni di produzione che dimezzano i lavoratori e avviano il declino definitivo dell’azienda, fino allo spegnimento dell’ultimo altoforno nel 1990 e alla chiusura definitiva nel 1992.

Il periodo post-industrializzazione
Nel piano regolatore del Comune di Napoli, approvato negli anni ‘70, è previsto che il 25-30% dell’area sia considerato edificabile e vi si installino strutture turistiche e scientifiche. Grazie alla sua posizione geografica Bagnoli è un naturale attrattore turistico, sia per la bellezza della posizione nel golfo di Pozzuoli, sia per la prossimità agli abitati. Siamo quindi di fronte a un grande potenziale di sviluppo anche urbano, ma a causa delle attività di cui è stata sede c’è bisogno anche di un’approfondita bonifica.
Il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica valuta che l’area destinata a bonifica è di 250 ettari sulla terraferma e di 1450 a mare e avvia la rimozione dei suoli superficiali, interessati per circa 126.000 metri quadri da fibre tossiche di amianto, con terreni asportati fino a 2 metri di profondità e trasferiti nel 2022 in Svezia per il trattamento. Tuttavia l’intervento rileva anche la penetrazione di metalli pesanti in profondità fino alle acque di falda, ove in aggiunta risultano anche composti organici e idrocarburi.
Per operare il necessario disinquinamento viene creato il Programma di bonifica e rigenerazione urbana (PRARU) operato dall’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo del Ministero dell’Economia che fino al 2023 prevedeva la rimozione totale della colmata e il ripristino dell’area di costa originaria. Nel 2024 però, in maniera non concertata, viene variato questo piano rendendo la colmata di “inerti” definitiva e inamovibile. Nelle prossime settimane il filone di approfondimento proseguirà analizzando i dettagli delle proposte per bonificare e riqualificare il territorio di Bagnoli dopo decenni di attività fortemente impattanti da parte di Italsider e dell’industria pesante.










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