28 Luglio 2025 | Tempo lettura: 8 minuti

Fotografare le emissioni per rendere visibile l’inquinamento

In Basilicata è in corso di sperimentazione un sistema di monitoraggio delle emissioni e dei gas attraverso fotografie con termocamera.

Autore: Giacomo Oxoli
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In breve

Per aiutare la gente a rendersi conto della concentrazione di CO2, metano e altri elementi nell’aria, un gruppo di cittadini ha cominciato a fotografarle.

  • Se non vediamo l’inquinamento risulta più difficile ricordarci della sua esistenza e dunque compiere azioni per sconfiggerlo.
  • Alcune sentinelle ambientali hanno fotografato le emissioni con l’uso di termocamere speciali e tanta forza di volontà.
  • I programmi di monitoraggio delle emissioni presentano delle anomalie e le industrie non adottano strategie per controllare le proprie.
  • Nel 2024 il Parlamento e la Commissione europea hanno adottato il primo regolamento volto a limitare le emissioni di metano nel settore energetico.

Risulta molto facile notare l’inquinamento se un corso d’acqua assume un colore strano, se le fiamme di un’esplosione industriale o di un incendio creano nubi tossiche oppure se nelle strade e nei boschi si intravedono rifiuti. Ma cosa succede se l’inquinamento non possiamo vederlo? Eppure le emissioni climalteranti – la famosa CO2 o il metano, responsabili del riscaldamento globale che sta causando un innalzamento delle temperature anomalo – non sono per niente visibili ad occhio umano.

Quando i raggi del sole raggiungono la terra vengono assorbiti in buona parte dalla superficie terreste e riemessi verso lo spazio sotto forma di radiazione termica. Ed è proprio qui che entrano in gioco la CO2 e gli altri gas serra, che intrappolano parte del calore nella troposfera (lo strato più basso dell’atmosfera terrestre), come una serra che lascia entrare la luce ma non fa uscire il calore (per questo si parla di effetto serra), di fatto “cuocendo” tutto ciò che si trova all’interno.

Un discorso simile si può fare per altre sostanze inquinanti che emettiamo in atmosfera, che magari non hanno un impatto diretto sul clima, ma che danneggiano la salute e alterano gli equilibri degli ecosistemi. Ad esempio le cosiddette polveri sottili, residuo della combustione, o altri gas nocivi come benzene o etilene.

Ci capita in alcuni casi che ci accorgiamo della loro presenza quando siamo vicini ai tubi di scarico delle automobili oppure di fianco a un sito industriale: è proprio in questi momenti che il nostro olfatto ci induce a storcere il naso. Ma se non le vediamo è più difficile ricordarci che queste particelle esistono e quindi agire di conseguenza. Insomma, l’invisibilità delle molecole climalteranti rende più difficile ammettere il problema e accettare politiche di riduzione delle emissioni.

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Ingresso impianto COVA, giugno 2024

I sistemi di monitoraggio delle emissioni

Lo Stato italiano e le regioni hanno adottato negli anni dei provvedimenti per il monitoraggio continuo delle emissioni al fine sia di contrastare l’inquinamento, sia di tutelare la salute pubblica, dal momento che l’inquinamento atmosferico ha causato la morte prematura di almeno 238.000 persone nell’UE nel 2020. Nel 2011 il sistema delle agenzie ambientali (ARPA-APPA), con il contributo di ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, pubblicò la Guida tecnica per i gestori dei Sistemi di Monitoraggio in continuo delle Emissioni in atmosfera detto anche SME.

La finalità del documento erano quelle di stabilire dei criteri base per permettere il controllo e il monitoraggio alle autorità competenti e definire un protocollo condiviso per la gestione dello SME. L’applicazione dei monitoraggi è in capo alle regioni e alle loro agenzie ambientali che dovrebbero garantire un aggiornamento continuo sulle emissioni. L’istituzione dello SME servirebbe a misurare le emissioni degli impianti industriali più inquinanti come quelli legati all’energia termoelettrica, all’incenerimento dei rifiuti e alla lavorazione dell’acciaio per esempio.

Il caso della Basilicata

Il monitoraggio però non sempre avviene e non è omogeneo in tutta la Penisola. A denunciare le mancanze dei controlli in uno dei centri industriali più importanti della Penisola sono stati Cova Contro e Re-Common nel marzo 2025 con la pubblicazione del report Emissioni invisibili di ENI in Basilicata. Le associazioni denunciano che uno dei più grandi siti di lavorazione del petrolio in Italia non rende pubblici i dati relativi alle sue emissioni e l’ente regionale non è riuscito a vigilare adeguatamente. 

Le emissioni restano invisibili non solo per la loro composizione gassosa, ma anche per la volontà politica e industriale di mantenerle tali

Gli abitanti lucani, appena hanno avvertito miasmi e cattivi odori attorno al Centro Oli di Viggiano, hanno iniziato a storcere il naso e alcuni di loro sono andati a misurare le emissioni con telecamere a infrarosse in grado di rendere visibile l’invisibile. Il risultato? Benzene, metano, etilene hanno riportato spesso concentrazioni elevate e in alcuni casi fuori scala rispetto al fondo della zona facendoci riflettere sulla salute delle persone che lavorano e vivono nella zona.

Le osservazioni sono state svolte nei mesi di aprile e maggio del 2024. La loro termocamera ha permesso di registrare l’intensità della radiazione, la temperatura e le sue variazioni e la dispersione e la composizione dei gas. Grazie a questa tecnologia si sono potute trasformare in immagini visibili al nostro occhio quelle radiazioni dello specchio elettromagnetico che altrimenti non si vedrebbero. Le emissioni diventano delle nubi colorate come quelle delle fotografie che trovate in questo articolo.

Le falle del monitoraggio

Il sistema di monitoraggio, Lo SME appunto, presenta molte anomalie e problematiche. In primis le aziende potrebbero avere interesse a non comunicare i loro dati di fatto nascondendo o modificando il loro inquinamento per evitare sanzioni e provvedimenti penali. Inoltre, le aziende possono avere degli strumenti di monitoraggio molto carenti in grado di non determinare tutto le particelle inquinanti. Il fine dei colossi energetici legato al raggiungimento dei massimi profitti non sempre è compatibile con il minor impatto ambientale possibile.

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Impianto petrolifero a Viggiano. Foto Luca Manes/Re:Common, 2018

Non tutte le agenzie regionali hanno a disposizione termocamere di nuova generazione e tecnologie avanzate per garantire un adeguato controllo. Le carenze delle agenzie ambientali sono di natura non solo tecnologica ma anche amministrativa. Infatti negli ultimi anni non sono mancate lamentele per la mancanza di personale e di risorse adeguate al fine di compiere le attività, non solo in Basilicata ma anche in altre regioni.

In più lo SME non prevede il controllo delle emissioni di metano, un gas che è 80 più potente nel trattenere calore rispetto alla CO2 nei primi vent’anni dopo l’emissione. Il problema dei controlli è quindi di natura politica e amministrativa e presenta delle falle logiche: se il controllore non ha gli strumenti e il personale adeguato al fine di compiere il suo lavoro è lecito chiedersi se effettivamente sia in grado di svolgere il suo ruolo.

Sentinelle ambientali fra necessità e virtù

A essere colpiti per primi dalle inadeguatezze di questo sistema sono la cittadinanza, la flora e la fauna vicina al sito di inquinamento con forti ripercussioni sulla salute e sull’ecosistema. Resta da chiederci: chi controlla i controllori? Un esempio arriva proprio dalle sentinelle lucane che si sono attrezzate di termocamere per “fotografare” di persona l’inquinamento. Non è certo facile, ma una rete di sentinelle ambientali può fare davvero la differenza per la salute delle persone e di coloro che lavorano a stretto contatto con industrie inquinanti.

Le emissioni restano invisibili non solo per la loro composizione gassosa, ma anche per la volontà politica e industriale di mantenerle tali. Rendere visibile l’invisibile rischierebbe di alimentare la rabbia dell’opinione pubblica e potrebbe causare una denuncia a chi inquina e un calo del consenso politico a chi amministra.

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Le concentrazioni di metano e benzene misurate all’ingresso principale del COVA. Credits: Cova Contro

Misurare l’inquinamento nei luoghi in cui questo viene provocato dovrebbe essere la prassi sia per ridurlo all’origine, sia per individuare le responsabilità di coloro che stanno provocando la crisi climatica in cui ci troviamo immersi. Una pratica che aiuterebbe le imprese a ridimensionare il loro impatto sul clima e concretizzerebbe il concetto di giustizia climatica: individuando le eventuali responsabilità e aumentando la consapevolezza al fine di attuare politiche più efficaci in grado di ridurre le emissioni nei luoghi dove vengono prodotte.

Il primo regolamento sulle emissioni di metano

A colmare il vuoto legislativo ci hanno pensato le autorità europee dal momento in cui il metano è responsabile per circa un terzo del riscaldamento attuale e la sua quantità è aumentata notevolmente nell’ultimo decennio. Oltre al monitoraggio delle sentinelle lucane, il Parlamento e la Commissione Europea hanno cercato di intervenire sulla materia adottando il primo regolamento volto a limitare le emissioni di metano nel settore energetico, precisamente il 13 giugno 2024.

Il regolamento stabilisce le norme per misurare, quantificare, monitorare, comunicare e verificare con accuratezza le emissioni di metano nel settore dell’energia dell’Unione, nonché per ridurle, anche attraverso indagini di rilevamento e riparazione delle fuoriuscite, obblighi di riparazione e restrizioni al rilascio e alla combustione in torcia. Sicuramente un passo significativo essendo il primo regolamento, ma la strada è ancora lunga e l’adeguamento del regolamento non è ancora attuato nella sua completezza. Laddove sono evidenti carenze istituzionali e amministrative l’impegno civico diventa fondamentale per garantire il diritto alla salute e a una aria pulita.