21 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 6 minuti

“L’Universo? È ispantòsu”: intervista all’astrofisica e divulgatrice in lingua sarda Francesca Loi

In questa intervista l’astrofisica Francesca Loi racconta il suo progetto di divulgazione sull’Universo, in lingua sarda.

Autore: Sara Brughitta
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Francesca Loi è astrofisica, astronoma e divulgatrice scientifica. Su Instagram il suo nome è Astrollica ed è qua che racconta l’universo utilizzando la lingua sarda, in un intreccio di scienza e identità. La sua voce – presente anche nel documentario Sa Scièntzia prodotto dalla Karel, disponibile su Raiplay – non solo porta avanti un discorso di valorizzazione culturale, ma apre anche riflessioni importanti su linguaggio, percezione della scienza che si intersecano anche a tematiche di genere.

Fare divulgazione scientifica da astronoma e astrofisica in lingua sarda è stata una scelta o un percorso naturale?

Direi che è stato un percorso naturale. Sono cresciuta in un contesto sardofono: a Samugheo il sardo si parla ancora, quindi l’esposizione alla lingua c’è sempre stata. Ricordo che già alle elementari c’erano progetti per valorizzare il sardo, forse lì è stato piantato il primo seme. Nella mia generazione – o almeno in una buona parte di colleghi – c’è un forte senso di appartenenza al territorio e il desiderio di valorizzarne le specificità. Io stessa mi sento fortunata a lavorare nel mio campo e vorrei restituire qualcosa di bello alla mia terra.

Spesso, come astrofisica e astronoma, mi capita che amici e conoscenti mi facciano domande sulle costellazioni. Quello di cui mi sono resa conto è il fatto che la narrazione è quasi sempre legata alla mitologia greco-romana e allora è diventato spontaneo chiedersi: esiste anche una storia sarda del cielo? Ogni cultura ha sviluppato i propri riferimenti celesti, per necessità e per orientarsi, per cui è  naturale pensare che anche in Sardegna ci fossero tradizioni legate al cielo. Ho fatto delle ricerche e, una volta trovate le informazioni, ho deciso di condividerle sul mio profilo Instagram, per coerenza in lingua sarda. Tutto è iniziato così.

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L’astrofisica Francesca Loi durante un momento di divulgazione – foto di Astrollica

E allora che importanza hanno o hanno avuto le stelle nella cultura sarda? I nomi per identificare gli astri saranno differenti rispetto alla lingua italiana. O no?

Partiamo da una premessa: è difficile avere un quadro chiaro su come i sardi identificassero stelle e costellazioni, le fonti sono poche. Un esempio emblematico è la stella chiamata su Trubadore de is sete frades. Non c’è accordo su quale sia: le ipotesi sono tre. Una delle più affascinanti è che si tratti di Arturo, stella della costellazione del Boote; in latino e in greco il suo nome significa “guardiano dell’Orsa” e nella cultura sarda l’Orsa Maggiore è chiamata is sete frades – i sette fratelli. Oppure abbiamo Sa Trona potrebbe essere interpretata come un trono o un pulpito, mentre nella cultura greca quella stessa costellazione è Cassiopea, una regina. Insomma, talvolta i riferimenti sono simili, altre volte completamente diversi.

In generale però, ciò che emerge con più chiarezza nella cultura sarda del cielo è il legame stretto con il mondo agro-pastorale. I nomi dati alle stelle o alle costellazioni erano spesso riferiti a elementi della vita quotidiana. Ad esempio, sa mandra – il recinto delle pecore – corrisponde alla costellazione dell’Auriga. Per comprendere il ruolo del cielo nella cultura sarda bisogna partire da questa idea semplice: lo scorrere del tempo era dettato dagli astri, quindi il cielo era come un grande orologio.

In questo sento l’Universo è ispantosu: ci meraviglia, ci sorprende

Da astrofisica, se dovesse descrivere l’Universo con una parola o un’espressione in sardo quale sarebbe?

Userei ispantòsu, che in italiano può essere tradotto in “sbalorditivo”. In sardo perlopiù lo si usa con accezione positiva – a indicare una cosa meravigliosa – ma a volte esprime anche una sorpresa suscitata dal timore. In questo sento l’Universo è ispantosu: ci meraviglia, ci sorprende, studiandolo scopriamo che in ogni momento e in ogni luogo si verificano fenomeni catastrofici, che contribuiscono a cambiare drasticamente quell’angolo di Universo.

La percezione sulla scienza potrebbe cambiare se fosse insegnata nelle scuole in lingua sarda? Il fatto quindi di comunicare attraverso una lingua nostra potrebbe in qualche modo contribuire a cambiare il pregiudizio ancora diffuso della scienza e della ricerca scientifica come qualcosa di distante?

Stiamo parlando di due tematiche importanti, che però fanno fatica ad emergere tra le nuove generazioni e ad avere la giusta rilevanza su un piano più ampio. Mi riferisco alla necessità di preservare la lingua sarda, nelle sue varianti, e all’importanza di stimolare nei ragazzi un approccio scientifico alla vita – un approccio utile anche per proteggersi da molti abbagli. L’unione di queste due tematiche, a mio avviso, potrebbe rafforzare entrambe le cause.

Quando ho iniziato a fare divulgazione con Astrollica, sono partita dall’Astrometeo e poi con Kelu Nostru: la mia intenzione era quella di trasmettere un messaggio scientifico semplificato, attirando il pubblico attraverso l’uso della lingua sarda. Ma c’è anche un ulteriore risvolto: chi ha interessi letterari o linguistici si ritrova catapultato in un mondo scientifico; allo stesso tempo, chi è appassionato di astronomia e sente parlare in sardo, scopre una cultura sarda del cielo e una ricchezza incredibile anche in questo ambito. Quindi sì, così credo si possa anche ridurre la distanza percepita nei confronti della scienza.

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L’astrofisica Francesca Loi durante un momento di divulgazione – foto di Sacro Cuore Ludum School

In conclusione, sull’altro pregiudizio, quello che pone in un binario le materie scientifiche e le considera come più maschili che femminili, come – e se – si scontra con la questione della divulgazione in lingua sarda?

Quando sono stata contattata per il documentario della Karel su quattro partecipanti ero l’unica donna. Questo mi ha fatto riflettere. So bene che in ambito scientifico esiste una questione di genere, ma in questo contesto dove gli ingredienti sono due – la scienza e il sardo – emerge ancora di più  come il percorso sia più agevole per gli uomini, in questo caso la spiegazione che mi sono data è legata al fatto che sono maggiormente esposti alla lingua sarda rispetto alle donne.

Se penso alla mia generazione, nel mio paese, per gli uomini è stato molto più facile: avevano più occasioni di parlare in sardo, mentre le donne parlanti erano poche e in più ho sempre percepito una sorta di vergogna legata all’uso della lingua da parte loro. Esiste un problema di genere di cui si parla poco, ma che merita attenzione. Oltretutto, si viene a creare così una sovrapposizione di pregiudizi: il primo vede il sardo come una lingua rozza e si àncora a un altro pregiudizio secondo cui dalla donna ci si aspetta una certa eleganza, ragion per cui la lingua sarda non confà al linguaggio di una donna dabbene. Ma sappiamo bene che la realtà non è questa.