L’occulto canto dell’alveare: sulle congregazioni e il comunitarismo nell’Isola
Marta “Jana sa Koga” Serra racconta un’isola-alveare, dove ogni gesto, anche il più umile, è parte di un disegno più grande: quello dell’armonia tra natura, cultura e essenza comunitaria.

In breve
L’identità sarda è simile a un alveare: un sistema collettivo, armonico e naturale, che unisce memoria, tradizione e adattamento al territorio.
- La geometria nuragica qui è simbolo un ordine sociale senza gerarchie, fondato su responsabilità condivise e su una profonda sintonia con le leggi della natura e del sacro.
- L’organizzazione sociale e rituale arcaica della Sardegna, può essere vista come una forma di protomassoneria, anticipazione degli ordini iniziatici moderni.
- La Sardegna è attraversata da congregazioni cavalleresche storiche, come i Templari (con tracce a Bonarcado, Iglesias, Siete Fuentes) e i Cavalieri di Malta, non solo militari ma anche iniziatici e spirituali.
- Come l’ape, il cavaliere non agisce per sé, ma per l’alveare: obbedisce a un ordine invisibile, combatte per custodire e proteggere l’armonia comune.
- Ogni paese ha un suo sistema: leve, comitati, obrerias, dove si impara agendo, si cresce servendo e si diventa ape operaia dell’alveare sociale.
L’identità sarda, simbolizzata come il frutto dell’insieme degli alveari che abitano l’isola, possiede l’antica prerogativa di esprimersi secondo schemi geometrici naturali. Sintesi di abitudini, consuetudini, ritualità e usi tradizionali che emergono dalle creste della terra, trame che si innestano nel tempo come favi ancestrali nella viva roccia. L’adattamento ai territori specifici è la chiave di lettura di un popolo che, come uno sciame, è un insieme armonico di individui con un solo obiettivo: produrre il miele della cultura, la dolcezza collettiva della memoria.
Costruttori di Nuraghi
L’armonia è ben nota nelle geometrie nuragiche, civiltà in cui il cerchio padroneggia ogni disposizione dell’umanità nella realtà condivisa. Azzardo l’ipotesi che ciò sia legato alla consapevolezza dell’insularità di quei popoli e che da essa abbiano tratto forza per esprimere una forma sociale funzionale: la comunità circolare. Non vi sono vertici, ma ruoli di responsabilità e competenza. Ci stupisce che quei popoli avessero capacità logico-matematiche straordinarie, ma non ne notiamo le implicazioni nel servizio della creazione divina.
Come api in posizione di obbedienza ai canoni geometrici universali, gli antichi Sardi compiono dovere alla legge dell’armonia. Scavano coppelle e spazi circolari nella roccia, edificano nuraghi e villaggi sempre connettendo l’alto e il basso: il cerchio della Madre Terra che garantisce continuità grazie al connubio forte e fortunato col Padre Sole. Una tale consapevolezza condivisa rende gli umani radicati in quest’isola esseri privilegiati nel rapporto col sacro. Queste energie di radicamento fanno della Sardegna una meta naturale per i ricercatori esoterici.

Creatori di alveari
Questo tipo di organizzazione e ritualità, senza scrittura e codificata nei gesti, può essere considerato una forma di protomassoneria: una prefigurazione archetipica dei futuri ordini iniziatici moderni. Le logge massoniche moderne in Sardegna, sbarcate nell’isola nell’Ottocento, pur nate in contesti storici europei, si sono innestate su un terreno già predisposto alla ritualità collettiva iniziatica. Per questo non ci dovrebbe stupire affatto che l’ingegnere gallese Benjamin Piercy abbia scelto l’entroterra sardo come luogo del suo sogno o che l’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi abbia scelto un’isola dell’isola come luogo di radicamento eterno.
Riguardo le logge attuali la situazione è controversa, come sempre nella nostra Isola. Alcune, soprattutto le più ritualistiche e interiori, hanno mantenuto il legame con il concetto di costruttore sacro: non solo colui che erige muri, ma chi edifica senso, ordine, visione. La logica dell’alveare continua: gruppi ristretti, silenziosi, più interessati alla costruzione interiore che alla visibilità. Osservando bene intravediamo ugualmente sistemi di aggregazione iniziatici completamente liberi o addirittura segretissimi e antichissimi sistemi tradizionali.
Non dimentichiamo poi che esistono anche le api d’allevamento, specie importate che producono miele a scopo di guadagno, a cui è impedito di costruire liberamente l’alveare, con regine imposte e favi disarmonici. Ma non sta a me dire quali siano. Bisogna imparare ad ascoltarne il canto e comprenderne i limiti di sintonia o l’eventuale cacofonia.
Congregazioni cavalleresche hanno attraversato questa terra difendendo per secoli l’autorità della luce
Congregazioni di cavalieri di luce solare
Le api costruiscono, ma sanno anche difendere. Tutto, nel loro agire, è impregnato di obbedienza: alla regina, alla legge solare, all’ordine cosmico. Vivono di luce, si nutrono di terra e nel loro volo si fanno strumento di sintesi e armonia. Allo stesso modo, uno dei tratti più distintivi del popolo sardo è la figura del guerriero a cavallo: il cavaliere che non incarna solo forza, ma spirito, misura, devozione. Questa visione cavalleresca affonda le radici in epoche molto antiche, ma prende forma convenzionale nel Medioevo, radicandosi durante l’epoca giudicale come risposta alla ricerca di identità, autonomia, protezione sacra.
Il rapporto con la cavalcatura è sacralizzato: padronanza e fortuna si fondono con l’investitura di responsabilità che il ruolo impone. Nobiltà d’animo e onore nell’armatura. Il combattimento, per un cavaliere sardo, dovrebbe essere sempre un atto difensivo e misurato, espressione di cura dell’equilibrio, non di dominio. Congregazioni cavalleresche hanno attraversato questa terra difendendo per secoli l’autorità della luce.
Testimonianze dell’Ordine dei Templari son presenti in luoghi oggi ancora intrisi di mistero: San Leonardo di Siete Fuentes, Bonarcado, Iglesias, dove restano simboli scolpiti nella pietra e tracce di culto silenzioso. A questi si sono affiancati poi i Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni, oggi Cavalieri di Malta: custodi di pellegrini, guaritori, difensori della fede. Non solo milizie, ma corpi iniziatici, diplomatici, spirituali. E ancora oggi, dame e cavalieri di nuova istituzione proseguono questo cammino in una forma più interiore che appariscente, radicati in un sottobosco fertile, lontano dai riflettori, ma vicino alle frequenze della tradizione.

Le grandi manifestazioni equestri sono riti viventi in cui il cavallo diventa specchio dell’anima collettiva e il cavaliere, servitore della misura sacra. Pensiamo alle Ardie con scopo devozionale, come quella di San Costantino a Sedilo, o alle giostre equestri per esprimere abilità, come la Sartiglia di Oristano. Anche il cavaliere, come l’ape, non corre per sé, ma per l’alveare. Obbedisce a un ordine invisibile, combatte solo per custodirlo. È cavaliere di luce: ogni gesto è un inno al mistero del buon combattimento.
Custodi di sapienza
Esistono poi i corpi comunitari delle confraternite e dei gremi, templi viventi di devozione e di mestieri, non sono mai stati semplici associazioni: sono congregazioni di mestiere e mistero, in cui il lavoro si fa rito e l’identità sociale si fonde con quella spirituale attraverso la condivisione. Il gremio custodisce la sapienza del lavoro. La confraternita custodisce quella della fede. Entrambi fanno tesoro e proteggono la conoscenza: gesti tramandati, cicli rituali, silenzi doverosi. Dal legno di San Giuseppe, al grano di San Giovanni, ogni mestiere ha la sua congregazione.
Spesso l’ingresso in esse è segnato da riti di passaggio, da vincoli, da investiture simboliche. Non si entra per caso, si viene riconosciuti. In particolare, le confraternite si muovono tra lacrime e fiori, sangue e cera, canti profondi e lente processioni. Nella Settimana Santa, prendono in carico la rappresentazione del dolore, del sacrificio e della resurrezione, incarnando una sapienza che non viene insegnata, ma trasmessa per immersione. Anche i Candelieri, colonne mobili di fede portate a spalla sono simboli d’ape: ciascuno sostiene il peso collettivo, ciascuno danza nella misura della comunità.

Operaie del sacro
Obreri in lingua sarda è l’incaricato all’organizzazione della festa; di sapore iberico significa letteralmente operaio. Le Prioresse di Desulo sono un esempio splendido di questo: donne che si fanno carico di onori e oneri, in un ciclo annuale in cui la devozione è circolare e ogni ruolo torna, si rinnova, si ridona. In ogni villaggio esiste un sistema che garantisca la continuità delle celebrazioni festive: comitati, turnazione di leve o obrerias tradizionali. In questi contesti si apprende facendo, si cresce servendo e si diventa ape operaia dell’alveare nel momento in cui si accetta di sostenere il peso dell’altro. Il principio della reciprocità è la legge più antica.
Chi prende parte alla festa, porta con sé un debito sacro: non solo verso il divino, ma anche verso la comunità che la onora. Donare è costruire. Donare è difendere. Donare è custodire. Così operano queste donne e uomini: non per la gloria ma per l’armonia, non per la visibilità ma per il canto muto dell’alveare. Sono operaie del sacro e la loro mano, anche se non la noti, offre il prodotto più dolce di tutti. A voi lettori le scelte colturali predilette, per me sempre asfodelo, anche se guardo il mondo con occhi color miele di castagno. Ovunque e sempre, come api in cerca del luogo perfetto si sciama fino all’operosità fruttuosa del miele migliore possibile.
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