Disobbedire consapevolmente: conoscere le regole e poi infrangerle è educativo?
Chiara Minardi dell’associazione Filò – Il filo del pensiero racconta una giornata di dialogo filosofico in un liceo partendo dalla domanda: “Cosa ti spinge a disobbedire?”.
In breve
Un percorso filosofico con due classi del liceo per provare a rispondere alla domanda: “Disobbedire può avere una funzione educativa?”.
- Lo staff di Filò – associazione che si occupa di filosofia ed educazione – ha sperimentato un dialogo con un gruppo di alunne e alunni di un liceo.
- Partendo dal concetto greco di paideia, l’obiettivo era capire se la disobbedienza consapevole alle regole può essere educativa.
- Il dialogo ha seguito una traccia fornita da domande come “cosa ti spinge a disobbedire?”, “cosa ti impedisce di disobbedire?”, “è giusto disobbedire?”.
- Uno dei temi emersi è che spesso la disobbedienza è un tentativo di sviluppare un pensiero autonomo.
“Fate un passo avanti se disobbedireste”. È iniziato così il laboratorio di dialogo filosofico che abbiamo proposto a due classi quarte di un liceo padovano in un pomeriggio di metà settembre. Il contesto era quello del Festival della Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, che da venticinque anni porta nelle piazze e nelle strade delle tre città emiliane la filosofia e le sue domande. Quest’anno siamo state invitate anche noi, per portare la pratica filosofica all’interno del Festival e per provare a immaginare un dialogo filosofico da proporre ai ragazzi e alle ragazze sul tema della paideia.
Nell’antica Grecia, la paideia – che noi traduciamo con il termine “educazione” o “formazione” – indicava il processo che portava il ragazzo a essere un adulto consapevole e ben integrato nella società. L’educazione, in questo senso, non si limitava agli aspetti culturali ma si ampliava anche agli aspetti fisici e etici. La paideia inoltre non era un fatto individuale ma collettivo. L’educazione e la formazione dei ragazzi riguardava la comunità: l’educazione forma cittadini e i cittadini, a loro volta, sostengono la polis.

Educazione, formazione, comunità. Con questi termini in mente abbiamo iniziato a progettare l’attività da portare al Festival. Ci siamo chieste quale nodo filosofico problematico si potrebbe celare dietro a questi termini e di che cosa avremmo potuto parlare con i ragazzi e le ragazze che avrebbero partecipato all’attività. Dopo diversi tentativi abbiamo voluto approfondire un tema che ricorre spesso accanto a quello dell’educazione e che probabilmente avrebbe potuto accendere l’attenzione dei ragazzi e delle ragazze: le regole.
Molto spesso apprendere significa sottostare a norme, divieti e regole che guidano il processo educativo e lo rendono possibile. Il contesto scolastico è un esempio chiaro del processo educativo reso possibile dalla presenza di regole. L’idea è che l’educazione può avvenire se e solo se viene impartita in un contesto normato al quale gli educandi si adattano e si adeguano. Non solo: le regole sono una delle prime cose che conosciamo e apprendiamo quando nasciamo. Con le regole impariamo che cosa si può fare e che cosa non si può fare, che cosa è giusto fare e che cosa è sbagliato fare e così via.
Regole ed educazione sono concetti strettamente correlati fra loro. Ma educare non significa soltanto trasmettere e interiorizzare regole: significa anche imparare a pensare con la propria testa, sviluppare gli strumenti critici per poterle, se necessario, mettere in discussione, disobbedire. Ed ecco il paradosso che stavamo cercando: per poter arrivare a disobbedire consapevolmente, occorre prima conoscere e attraversare le regole. L’educazione, in questo senso, è un processo che passa attraverso la norma per arrivare – potenzialmente – alla libertà di infrangerla.
La disobbedienza, così intesa, non è una minaccia all’educazione, ma ne è parte integrante
È proprio su questo paradosso che abbiamo voluto concentrare l’attività proposta ai ragazzi e alle ragazze: ci interessava esplorare insieme a loro il valore della disobbedienza. Ci siamo chiesti insieme: “Cosa ti spinge a disobbedire?”, “cosa ti impedisce di disobbedire?”, “è giusto disobbedire?”. Una ragazza, ad esempio, ha risposto che “sì, è giusto disobbedire, perché solo disobbedendo capisci a che cosa è giusto obbedire”. Per lei quindi la disobbedienza è un gesto puramente oppositivo o ribelle, ma può essere intesa come uno strumento di consapevolezza e di costruzione personale di senso.
“Fate un passo avanti se disobbedireste”. Abbiamo iniziato con questo gioco sottoponendo ai ragazzi e alle ragazze diverse norme e chiedendo loro di fare un passo avanti nel caso in cui la loro intenzione fosse stata disobbedire. L’attività ci ha permesso di rompere il ghiaccio e dar vita a un dialogo sulla disobbedienza che ha mostrato ragazzi e ragazze disobbedienti e con la voglia di pensare il mondo con la propria testa.
In quei passi in avanti c’era la traccia di un desiderio di non accettare in modo passivo ciò che viene imposto e la disponibilità di pensare autonomamente. In fondo, educare significa anche accompagnare questo movimento: non soltanto verso l’obbedienza, ma verso la capacità di scegliere consapevolmente a quali regole aderire e quali, eventualmente, sfidare. La disobbedienza, così intesa, non è una minaccia all’educazione, ma ne è parte integrante.










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