10 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 6 minuti
Ispirazioni / World in progress

Il messaggio di Riccarda Zezza ai manager: «Prendetevi cura delle persone, vi renderà più efficienti e felici»

L’imprenditrice Riccarda Zezza riflette sull’opportunità di sostituire un modello di leadership imprenditoriale basta sulla sopraffazione con uno nuovo fondato sulla cura.

Autore: Fabrizio Corgnati
LIFEED Riccarda 1 2

Riccarda Zezza è una vecchia conoscenza di Italia Che Cambia. Già tre anni fa, il direttore Daniel Tarozzi la intervistò sul suo precedente libro MAAM – La maternità è un master e dalle sue parole emerse un ritratto molto preciso: già manager in grandi aziende in Italia e all’estero, fondatrice dell’azienda di education technology a impatto sociale Lifeed, naturalmente mamma, ma forse prima di tutto rivoluzionaria.

Già, perché le rivoluzioni che piacciono a me sono quelle fatte così: non scendendo in piazza con i forconi, bensì con le armi della cultura, cambiando il modo di pensare delle persone prima ancora del loro comportamento. E cosa potrebbe esserci di più rivoluzionario, per il mondo del lavoro, che lanciare il messaggio che i capi non dovrebbero più pensare soltanto a comandare i loro sottoposti, bensì iniziare a prendersene cura? “Cura”, per l’appunto, è il titolo dell’ultimo libro che Riccarda ha dato alle stampe per FrancoAngeli. Appena ne sono venuto a conoscenza, mi sono messo con grande entusiasmo in contatto con lei.

Il concetto di “cura” nel mondo delle relazioni, della famiglia, dell’amicizia lo conosciamo più o meno tutti – anche se purtroppo non sempre lo pratichiamo. Ma declinato in un’azienda, che cosa significa? «Intanto cura significa efficienza, anche se spesso temiamo che sia vero il contrario», mi racconta l’autrice. Certo, all’inizio può sembrare che richieda più tempo e più impegno, soprattutto se non l’abbiamo mai fatto prima. In compenso, nel medio termine, ci permette di disporre di molto di più, di attivare maggiormente gli altri, di far lavorare meglio le persone. In ultima analisi, di aumentare sia la qualità che la velocità dei risultati che otteniamo».

Riccarda Zezza
Riccarda Zezza

Ricordiamoci che Riccarda non è una filosofa, ma un’imprenditrice. Dunque se si spinge ad affermare una verità così controcorrente, non lo fa semplicemente per buttare lì delle belle parole, bensì sulla scorta di un ricco corpus di dati raccolto nel corso dell’ultimo decennio: «Nel libro ho cercato di mettere ordine tra le migliaia di testimonianze raccolte in questi dieci anni. Chi ha iniziato ad adottare questi nuovi comportamenti ci restituisce un miglior funzionamento dei team, la crescita della motivazione, l’emersione di idee che prima erano bloccate, che si traduce in creatività e innovazione».

Un esempio su tutti? «Quello più estremo: il manager che inizia a utilizzare con i propri collaboratori e clienti la capacità negoziale e la flessibilità mentale che ha acquisito nel suo ruolo di ex marito». Mi colpisce – per quanto non mi sorprenda – che il primo caso che viene in mente a Riccarda riguardi un uomo. L’ennesima smentita del pregiudizio duro a morire secondo cui la cura sia una peculiarità esclusivamente femminile: «Siamo tutti inclini per natura a prestare cura, nelle situazioni a cui teniamo. Paradossalmente, è non farlo che ci richiede uno sforzo».

Cura
Cura
Riccarda Zezza
Acquista su macrolibrarsi

Dunque non sarà la nuova cultura emergente a introdurre la cura, semmai era quella vecchia che – insegnandoci che negli affari bisognava essere spietati e cinici – la reprimeva. Allontanandoci dunque dalla nostra natura, quindi generando una vasta gamma di malesseri, squilibri, dissociazioni interiori. «Malesseri che mi sembrano evidenti. Nel momento attuale, per non rendersi conto che il nostro sistema di valori è in crisi bisognerebbe essere ciechi. Abbiamo fatto assomigliare il lavoro alla guerra, mentre semmai dovremmo farlo assomigliare di più alla vita».

Ora, mettiamo che un ipotetico manager che sta leggendo queste righe si sia convinto ad adottare un approccio di cura all’interno della sua azienda. Da che parte dovrebbe cominciare? «Prima di tutto, cambiare i processi», spiega. «Naturalmente la parte più difficile del cambiamento è distruggere ciò che c’era prima: bisogna avere il coraggio di buttare via tanta roba e introdurre nuove procedure, metriche, punti di osservazione».

E poi, cambiare la mentalità: «Credo che ci sia già stata, grazie alla tecnologia e anche alle nostre abitudini, una rottura dei confini tra vita e lavoro. La conseguenza è un ampliamento del mindset, che riguarda non solo alcune pratiche come gli orari, ma anche gli atteggiamenti e le capacità. Capacità che non sono nuove, ma che possediamo già, che ci sono familiari in altri lati della nostra esistenza, e che dunque basta applicare all’ambito professionale. Si chiama “transilienza” ovvero la capacità di trasportare un comportamento da un ruolo all’altro».

Riccarda Zezza

L’esperienza di Riccarda ci dimostra che tutto questo è possibile, anzi, che sta già avvenendo: «La crisi che stiamo attraversando è utile, perché evidenzia il fallimento del vecchio sistema e dunque rende il terreno un po’ più fertile al cambiamento. Anche se, d’altro canto, nel breve periodo il sistema si sta irrigidendo: è il colpo di coda del dinosauro morente. Io, personalmente, vado in giro, cerco di dire le cose più sensate possibili, con più prove e più dati possibili. Semino e non so esattamente cosa succederà di quei semi che lancio, ma tutto sommato non mi interessa».

Quello che Riccarda Zezza mette in luce è un pezzo del cambiamento culturale che sta caratterizzando la nostra epoca: stiamo sempre più ampliando la visione, includendo non più solo gli elementi materiali, tangibili, misurabili, ma anche quelli sentimentali, perché ci siamo accorti che anch’essi sono portatori di una forma diversa di ricchezza e, soprattutto, di felicità. Un cambiamento che sta riguardando la società, l’economia, la politica, la comunicazione, persino le aziende: «Viviamo dentro una serie di stereotipi che ci danno una certa sicurezza, ma che tendiamo anche a dare per scontati, come se fossero lo sfondo della nostra mappa di cui non ci rendiamo neanche più conto».

«Senza che ne avessimo consapevolezza e tantomeno che ci chiedesse il permesso, questo sfondo sta cambiando, mentre noi continuiamo a pensare che quello a cui siamo abituati sia l’unico possibile», conclude Riccarda Zezza. «Rompere lo stereotipo significa aggiornare le nostre mappe, ricominciare a chiedersi se lo sfondo su cui ci stiamo muovendo sia veramente quello che abbiamo scelto, se sia inevitabile o anche solo il migliore». E tutto ciò sta avvenendo sotto ai nostri occhi, anche se spesso non ce ne rendiamo conto. Stiamo gradualmente abbandonando il vecchio stile di leadership basato sul controllo, sull’aggressività, sulla sopraffazione, e parallelamente ne stiamo costruendo uno nuovo, fondato invece sull’attenzione, sulla fiducia, sulla dedizione. In una parola, sulla cura.

Informazioni chiave

Lavoro=guerra

Secondo l’imprenditrice Riccarda Zezza in Italia c’è una cultura del lavoro spesso basata sul conflitto, sul predominio, sulla competizione.

Prendersi cura

Le persone sono naturalmente portate a prendersi cura di ciò a cui tengono e dovrebbe essere così anche nella vita lavorativa.

La ricerca sul campo

Nel suo ultimo libro Riccarda Zezza riporta l’esperienza di decine di persone che ha incontrato e che hanno rivoluzionato il loro approccio al lavoro mettendo al centro la cura.

Un cambiamento già in atto

Si sta estinguendo il modello di leadership basato sul controllo in favore di uno che fa leva su attenzione, fiducia e dedizione.