La Sassari che si ribella all’allevamento intensivo: “Progetto anacronistico e eticamente inaccettabile”
A Caniga e dintorni cresce la protesta contro un allevamento intensivo di suini. Le associazioni chiedono trasparenza, sostenibilità e rispetto per gli animali.
A pochi chilometri dal centro di Sassari, nella zona di Caniga, cresce da ormai da settimane un nuovo epicentro di proteste. Qui, dentro un ex capannone avicolo in disuso di 5.700 metri quadri, sorgerà infatti un allevamento intensivo da accrescimento di suini in cui – come riporta l’associazione agricola sarda Centro studi agricoli – ad oggi sono presenti oltre 700 suinetti, ma è previsto il raggiungimento di circa 2.500 capi entro novembre. Le istituzioni ribadiscono che l’azienda ha ottenuto le autorizzazioni previste dalle normative sanitarie, ambientali e urbanistiche, ma i non pochi cittadini e cittadine in protesta non ci stanno.
Denunciano un progetto calato dall’alto senza trasparenza né confronto e puntano il dito contro un modello produttivo che consuma acqua, produce rifiuti, inquina e prevede condizioni di vita per gli animali incompatibili con i principi di benessere e rispetto. Domenica la comunità in protesta si è riunita per la seconda volta in Piazza d’Italia a Sassari per chiedere la sospensione delle attività e ribadire il proprio no all’allevamento intensivo. «Non porta alcun beneficio alla comunità», dichiara in merito LAV, la Lega Anti Vivisezione. «Significa più inquinamento, consumo d’acqua, disagio per i cittadini e sofferenza per gli animali. È una scelta miope e contraria a ogni principio di sostenibilità».

“Il nostro NO all’allevamento intensivo”
«La nostra è una mobilitazione che parte dal basso», spiega Marco Pistidda, tra le voci della protesta di domenica, supportata da LEIDAA, LAV, OIPA e Anonymous for Voiceless. «Abbiamo sentito di questa nuova attività e abbiamo deciso di mobilitarci come persone del territorio, che ne hanno cura. Ci sono cittadini di Caniga preoccupati per i possibili impatti collegati alle attività dell’allevamento, c’è chi si interessa al tema del benessere animale, chi si sta mobilitando per le conseguenze ambientali. Ognuno si muove per le proprie idee ma ciò che ci unisce è la volontà di dire no all’allevamento intensivo».
Al centro della mobilitazione ci sono le possibili criticità segnalate da residenti e associazioni. Un lungo elenco che parte dalla vicinanza alle abitazioni – «con rischio per la qualità della vita dei residenti» – e arriva all’inquinamento del suolo e delle falde acquifere dovuto alla gestione dei reflui – «centinaia di suini possono generare un elevato accumulo di nitrati e altre sostanze inquinanti, mettendo a rischio suolo e acque», spiegano. C’è poi il tema del dispendio idrico, delle emissioni di odori molesti, dell’aumento del traffico pesante e delle condizioni di vita degli animali «incompatibili» con i principi di benessere e rispetto.
In protesta c’è anche LAV, storica associazione ambientalista per la salvaguardia della vita e dei diritti degli animali che ha attivato una raccolta firme online – potete sottoscriverla qui – per “bloccare questa vergogna”. La campagna chiede “lo stop immediato di questo progetto anacronistico ed eticamente inaccettabile, al Comune di Sassari di non autorizzare la costruzione dell’allevamento e di promuovere invece modelli di sviluppo etici, sostenibili e rispettosi del territorio e dei suoi abitanti”. Dal canto suo però, il Comune di Sassari ha ribadito come non sia una scelta dell’amministrazione l’avvio dell’impresa di allevamento suino.

Il sindaco Giuseppe Mascia e l’assessore alle Attività produttive Lello Panu hanno dichiarato che i produttori stanno agendo secondo le regole, ma Mascia ha anche precisato – come riporta SassariToday – che “questa è una pratica che a me non piace per come arriva in Comune. Dalle carte arrivate in amministrazione è emerso che la dimensione non sia ancora di carattere intensivo. Il cambio di azione a livello intensivo, quello sì che dovrebbe passare in Comune. Ricordo che il Comune non fa le leggi, a volte le subisce, come in questo caso”. Gli attivisti però continuano ad avere dubbi.
Ambiente, animali e comunità
Nel frattempo l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico ha inoltrato un’istanza di accesso civico, informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti per verificare la sussistenza o meno delle necessarie autorizzazioni amministrative, in particolare lo svolgimento della verifica di assoggettabilità a valutazione d’impatto ambientale. «Coinvolti il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, la Regione Sardegna, il Comune di Sassari, il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale, i Carabinieri del N.O.E. di Sassari».
Una presa di posizione che si affianca alla protesta e che arriva attraverso una nota in cui il GrIG ribadisce come in merito all’allevamento intensivo manchino informazioni “sullo smaltimento dei reflui, sul potenziale inquinamento da nitrati” ma anche dati “sul consumo idrico, in un periodo di forti restrizioni nella zona“. Criticità quelle legate all’acqua che assumono un peso ancora maggiore lì dove la siccità è ormai una costante. Nelle ultime settimane diversi Comuni della provincia di Sassari hanno subito limitazioni nell’erogazione, e realtà e cittadini in protesta faticano a comprendere come un impianto di queste dimensioni possa essere sostenibile in un contesto di emergenza idrica cronica.
Non si può parlare di benessere animale
«Io vivo in campagna – spiega Marco Pistidda – e qui non possiamo innaffiare liberamente i campi perché non c’è acqua. È un enorme paradosso: un allevamento intensivo di quelle dimensioni prevede un dispendio idrico notevole, ma qui è da mesi che subiamo tagli all’erogazione dell’acqua. Anche le attività agricole locali ne risentono». Le preoccupazioni però non riguardano solo il consumo idrico. Per LAV l’impatto ambientale dato dal pieno avvio dell’attività «è pesante. Gli allevamenti suini producono grandi quantità di deiezioni liquide e solide contenenti azoto, fosforo e ammoniaca, sostanze altamente inquinanti che possono contaminare suolo e falde acquifere».
Impatto sull’ambiente a cui si somma quello sugli animali. Dal Centro studi agricoli precisano che “pur essendo un allevamento intensivo” non si parla di “animali rinchiusi in spazi ridottissimi, ma ambienti dove gli stessi, data la piccola mole e età possono muoversi e correre tranquillamente su lettiera di paglia continuamente sostituita. L’azienda adotta infatti misure di biosicurezza e protocolli di benessere animale conformi alle normative europee e nazionali. I suinetti in questa fase necessitano di ambienti controllati, chiusi, puliti e sanitariamente protetti per evitare stress, malattie e mortalità”. La dissonanza però non è così invisibile: sono animali che alla morte sono destinati. Ed è anche questo terreno di scontro.

«Non si può parlare di benessere animale. Io sono vegano – commenta Pistidda – ho i miei animali in campagna che scorrazzano liberi e godono della loro vita, mangiano giocano e vivono; per me benessere animale è questo. Un allevamento intensivo è un lager per animali». E anche qui gli aspetti problematici sono vari. «Penso al sovraffollamento, sono animali privati della naturale libertà di movimento in un ambiente privo di stimoli. Non hanno più una vita, devono solo produrre in funzione umana e perdono il contatto col loro elemento naturale; sono oggettificati. Sicuramente non c’è benessere».
“Non abbiamo bisogno di un allevamento intensivo”
Contattato per una dichiarazione, il sindaco Mascia non ha per ora risposto alle nostre domande. Nel frattempo tra le richieste principali resta anche quella di maggiore trasparenza e partecipazione. Secondo i promotori della mobilitazione, l’attivazione dell’impianto sarebbe avvenuta senza un adeguato coinvolgimento della popolazione, nonostante le potenziali conseguenze per l’intera area di Caniga e per la città di Sassari. «Non abbiamo bisogno di questo tipo di attività che logorano la terra e rovinano l’esistenza di persone, animali e comunità», dicono i manifestanti. Per loro la protesta non riguarda solo l’allevamento intensivo, ma un modello produttivo che continua a scontrarsi con i limiti ambientali e sociali del territorio.
«La manifestazione ha dimostrato che il tema riguarda tutti – dichiarano in conclusione le persone in protesta – non è una battaglia di un gruppo ristretto: è un appello civico. Non è solo contro un impianto: è per una Sardegna che difende il proprio territorio. Ieri, Piazza d’Italia era l’immagine concreta di questa consapevolezza: persone diverse, unite dallo stesso obiettivo. Una sola voce per dire che la Sardegna merita un futuro sostenibile».










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