18 Novembre 2025 | Tempo lettura: 7 minuti

Oltre le città: le aree interne e la Sardegna che non vuole scomparire

Tra spopolamento e mancanza di servizi, le aree interne – in Sardegna come altrove – cercano un nuovo equilibrio. La SNAI punta a rimettere al centro i territori marginali.

Autore: Stefano Gregorini
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Viviamo in un mondo di città. Entro il 2050, secondo le stime ONU del programma UN Habitat, circa il 70% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane. Già oggi in Italia quasi il 70% della popolazione vive nelle città; una percentuale destinata ad aumentare, insieme all’estensione delle aree urbanizzate. Le città sono quindi oggi i luoghi di vita e lavoro per la maggior parte della popolazione. L’altro lato di questo trend è la contestuale e progressiva diminuzione di abitanti nelle aree rurali. Tra queste le “aree interne” sono quelle caratterizzate da una significativa distanza dai principali centri di offerta di servizi, in particolare quelli relativi all’istruzione, mobilità e servizi socio-sanitari.

In un mondo che guarda alle città come luoghi delle opportunità, come poli dell’economia della conoscenza e come contesti principe del vivere quotidiano, questi territori sono raccontati e classificati in subalternità, esclusi dalla narrazione dominante e dai modelli di efficienza, di successo e di crescita promossi dal sistema economico del tardo capitalismo che stiamo vivendo. Territori della marginalità, simboli di un passato dove il lavoro era principalmente manuale e dove le comunità locali erano vive e coese.

O ancora, territori espressione di una società diversa che aveva elementi ormai quasi dimenticati, ma di cui si inizia ad avvertire diffusamente una forma di nostalgia, come la qualità dei rapporti umani di comunità, i ritmi di vita e la qualità ambientale dei luoghi del quotidiano. Se guardiamo ai numeri e ai trend demografici, le cifre sono chiare ed eloquenti: in 10 anni le aree interne hanno perso circa 700.000 abitanti e, secondo le elaborazioni ISTAT, entro il 2043 l’82% dei Comuni in questi territori sarà catalogato in “declino demografico”, con punte che arriveranno al 93% nel Mezzogiorno.

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Sardegna, aree interne – immagine di repertorio Canva

Nel solo 2024, sono 358 i Comuni italiani a zero nascite, concentrati quasi esclusivamente nelle aree interne. Territori alle prese con uno spopolamento costante, abitati principalmente da anziani, con un forte squilibrio demografico e con servizi in costante contrazione. E guardando alla Sardegna, sempre secondo ISTAT, lo spopolamento qui affligge i piccoli centri, prevalentemente delle zone interne, contrassegnati anche da sistemi di viabilità e trasporti inadeguati e da una forte carenza di servizi alla persona.

La SNAI

Dal dopoguerra l’Italia “interna” è diventata sempre più marginale con una progressiva diminuzione della popolazione e dell’offerta dei servizi, accompagnata da fenomeni come il dissesto idrogeologico e una diffusa mancanza di istituti di istruzione superiore. A partire dal 2013 si è tentato di portare le politiche pubbliche su questo tema dimenticato e poco considerato ed è in questa cornice che nasce la Strategia Nazionale per le Aree Interne, considerata uno degli interventi di coesione e sviluppo territoriale più innovativi a livello nazionale e europeo.

La SNAI è stata promossa dall’allora ministro Fabrizio Barca con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e ampliare le opportunità economiche nei territori interni a rischio di marginalizzazione. Il suo scopo è infatti quello di offrire sostegno per lo sviluppo di aree periferiche in declino o a rischio demografico il cui presidio attivo di comunità risulta essere cruciale per la tenuta complessiva del territorio sotto il profilo idrogeologico, paesaggistico e dell’identità culturale.

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Sardegna, aree interne – immagine di repertorio Canva

La SNAI ha visto la sua prima attuazione nel ciclo di programmazione 2014-2020 con l’individuazione e finanziamento di 72 Aree Interne. Oggi questa politica è diventata strutturale e nel nuovo ciclo di programmazione 2021-27, si sono aggiunte 56 nuove Aree interne; sono quindi circa 4 milioni, su 13, i cittadini residenti in aree interne che beneficiano di una politica pubblica dedicata. In Sardegna le prime aree SNAI sono state l’Alta Marmilla e Gennargentu Mandrolisai; nel nuovo ciclo si aggiungono anche l’Unione dei Comuni della Barbagia e l’Unione dei Comuni Valle del Cedrino.

Prima i luoghi

La SNAI è una politica place based, basata cioè sui luoghi, che valorizza gli apporti delle amministrazioni locali e promuove nuove modalità di governance locale multilivello volte ad affrontare attraverso l’adozione di un approccio integrato le sfide demografiche e le risposte ai bisogni di territori caratterizzati da svantaggi di natura geografica. Riguarda quindi territori fragili e distanti dai centri principali, territori che coprono il 60% dell’intera superficie del territorio nazionale, il 52% dei Comuni e il 22% della popolazione.

Dalla sua nascita la SNAI ha rappresentato per le Aree Interne una “cornice abilitante” attraverso la co-progettazione di strategie locali e una nuova visione del governo locale, un quadro di regole e di risorse e la creazione di alleanze tra istituzioni. Guardando alle principali criticità, ha fatto emergere i limiti della capacità progettuale espressa dal territorio, la difficoltà nei rapporti interistituzionali, la limitatezza delle risorse a disposizione rispetto alle necessità, la difficoltà operativa dovuta a normative nazionali e regionali: questi fattori hanno rallentato o limitato la realizzazione degli interventi finanziati.

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Sardegna, aree interne – immagine di repertorio Canva

Dal 2013 ad oggi la SNAI ha attraversato varie fasi e – a seguito di una serie di provvedimenti normativi – nel 2023 è stata definita una nuova governance. Nel marzo 2025 è stato approvato dal Governo un Piano strategico nazionale che punta a quattro priorità trasversali: investire nei servizi pubblici, come sanità, istruzione e trasporti; colmare il divario digitale, sviluppando infrastrutture come reti internet ad alta velocità e investimenti in digitalizzazione; sostenere le economie locali e promuovere l’innovazione; rafforzare la sostenibilità.

Declino irreversibile?

Nella Strategia vi è scritto che alcune aree non possono porsi obiettivi di inversione di tendenza e poiché non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse hanno bisogno di un piano che le possa assistere in un “percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. Una visione quantomeno pessimistica, se non autolesionista, che ha suscitato numerose reazioni sdegnate.

Le aree interne sono contesti dove i ritmi della natura e della vita umana sono maggiormente in armonia

Seppure la considerazione muova da elementi di realismo e molti di questi territori siano effettivamente destinati al declino, le politiche pubbliche non dovrebbero accompagnare al declino irreversibile ma agire per dare impulso a processi di coesione e di sviluppo territoriale. La cornice strategica di una politica pubblica e la narrazione sono fondamentali, sia che si tratti della strategia che accompagna una politica pubblica sia che si tratti di narrazioni da parte del sistema di informazione e comunicazione.

Non possiamo certificare la fine delle aree interne per due ordini di motivi: da una parte perché significherebbe abbandonare territori immensi che, senza presidio umano, non permetterebbero la gestione del suolo, in uno Stato dove il 94% dei Comuni è soggetto a pericolosità da frane, alluvioni o erosione costiera. Dall’altro lato perché rappresentano i contesti territoriali all’interno dei quali si fanno strada, come in un meccanismo di ritorno dopo decenni di urbanizzazione e di economie urbane, nuovi modelli e visioni del mondo che in queste aree trovano terreno fertile.

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Immagine di repertorio Canva

Aree interne: come agire?

Le politiche pubbliche non devono rinunciare al loro ruolo in risposta ai bisogni della società e non si possono limitare ad accompagnare i trend demografici; allo stesso tempo anche la società e il sistema di comunicazione dovrebbero valorizzare le esperienze virtuose presenti per contribuire a costruire immaginari e narrazioni nuove. Le aree interne sono contesti dove i ritmi della natura e della vita umana sono maggiormente in armonia, dove possono strutturarsi e radicarsi forme di lavoro più cooperative che competitive; sono contesti di comunità e di relazionalità, sono luoghi di cura e di neomutualismo, tutte dimensioni e caratteristiche che si sono parzialmente perse in città.

Su questa scia altri numeri possono aiutare una contronarrazione, come quelli del Rapporto Montagna 2025 di UNCEM, che certifica che tra il 2019 e il 2023 almeno 100.000 persone hanno lasciato le città, complice anche l’effetto pandemia e l’aumento del lavoro da remoto, per traslocare in aree di montagna. Non si tratta di abbandonarsi a un immaginario naif e utopico, quanto di consolidare nuove visioni di qualità di vita, di modelli di lavoro e di comunità che già esistono. Non arrendiamoci all’immaginario decadente delle aree interne!

Questo approfondimento fa parte della rubrica Maestrale a cura di Stefano Gregorini.