24 Novembre 2025 | Tempo lettura: 7 minuti

Il caso della famiglia che vive nel bosco ci spinge a ripensare l’educazione e il rapporto con la natura

Possiamo tutelare davvero i minori senza trasformare in sospetta ogni scelta di vita più sobria, in natura e fuori dai modelli dominanti?

Autore: Paolo Piacentini
famiglia che vive nel bosco

Con mia moglie, più di 15 anni fa, abbiamo fatto una scelta molto importante e che rifarei mille volte. Scegliere, invece della ricerca di una maternità biologica a qualunque costo, la strada dell’adozione. Un percorso difficile e faticoso, per l’iter burocratico e non solo, che si è concluso con la straordinaria esperienza dell’adozione di una bambina splendida oggi in piena adolescenza.

Ci tenevo a menzionare la mia storia individuale prima di parlare della vicenda molto triste che vede coinvolta la famiglia del chietino che ha scelto di vivere nel bosco con i figli a contatto con la natura. Avrei volentieri evitato di commentare questa vicenda, che sarebbe stato giusto non amplificare a livello mediatico, ma una volta arrivata all’attenzione del confronto pubblico sui social credo ci sia bisogno di  provare a mettere in campo riflessioni più articolate.

Non è mia abitudine entrare nel merito delle vicende giudiziarie soprattutto se, come in questo caso, riguardano questioni molto delicate e sensibili che, tra le altre cose, sono ancora in itinere. Non posso però sottrarmi dal porre alcune questioni di carattere generale che riguardano la scelta degli stili di vita di ogni singola persona o come in questo caso, di un nucleo familiare. 

famiglia che vive nel bosco
L’autore dell’articolo Paolo Piacentini durante un intervento pubblico.

La questione della tutela dei minori

Premesso che è sacrosanta la tutela dei minori da parte dei tribunali  e dei servizi sociali, dovremmo interrogarci dal punto di vista culturale e politico su quali aspetti tenere fuori dall’ambito legislativo. Si tratta di una materia molto complessa ma come accade per altre questioni legate ai diritti civili, la pretesa di regolamentare ogni aspetto delle nostre esistenze pone questioni di fondo che insistono su quale modello d’umanità vogliamo promuovere. 

Dal punto di vista personale credo che la tutela dei minori debba scattare nel modo più assoluto – su questo non si discute – quando si verificano condizioni oggettive di disagio o sofferenza di tipo psicologico o fisico. Ovviamente anche nel caso del disagio bisogna fare del tutto per cercare di ricreare un ambiente di serenità e armonia con la famiglia d’origine prima di qualsiasi decisione su affido o adozione. 

In un mondo contemporaneo in cui la dimensione virtuale è preponderante rispetto alla vita reale con la conseguenza di un allontanamento dal rapporto vitale con la natura sempre più preoccupante, scelte di vita controcorrente sono più che giustificate. 

Non dovrebbero entrare in gioco assolutamente, questo è il punto più complesso, valutazioni di carattere culturale legate agli stili di vita che possono comportare anche scelte molto radicali. Bisognerebbe evitare di creare delle categorie per cui chi si discosta in modo eccessivo dal modello dominante viene considerato quantomeno strano fino ad arrivare, nei casi più estremi, a considerare socialmente devianti alcune scelte di vita. 

La libertà di scelta dei percorsi educativi

Se, tornando alle considerazioni d’apertura, consideriamo fondamentale la tutela dei minori dal disagio o peggio ancora situazioni di violenza anche solo potenziali, rimane altrettanto fondamentale la libertà di scelta dei percorsi educativi

In un mondo contemporaneo in cui la dimensione virtuale è preponderante rispetto alla vita reale con la conseguenza di un allontanamento dal rapporto vitale con la natura sempre più preoccupante, scelte di vita controcorrente sono più che giustificate. 

Mentre scrivo sto seguendo l’interessante convegno organizzato dall’ISPRA e dal Comitato nazionale del Verde Urbano in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi e uno dei massimi esperti del settore ha confermato quello che ormai è noto da anni. Le foreste e il verde urbano hanno un valore fondamentale per il benessere psico-fisico delle persone e incidono quindi fortemente sulla qualità della vita di una comunità. 

Visto che i modelli sociali e culturali dominanti, soprattutto in un mondo occidentale in piena crisi d’umanità, non facilitano assolutamente il recupero vitale di un rinnovato rapporto con la natura è sacrosanto che ci siano sempre più scelte personali o comunitarie alla ricerca di modelli alternativi. 

Il parere della psicoterapeuta

Può una società che si definisce plurale arrivare con le varie articolazioni istituzionali, a limitare o condizionare la libera scelta di un modello di vita che non determina danni personali o comunitari? Nel caso dei genitori che hanno scelto di vivere tra i boschi del chietino, dalle testimonianze raccolte negli ultimi mesi anche da parte delle persone del luogo, non sembrano esserci comportamenti dannosi di alcun tipo.

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Cosa più importante è la serenità riscontrata nella vita dei bambini a cui non manca l’educazione scolastica che viene assicurata attraverso il metodo parentale o la cura dal punto di vista sanitario. La scuola parentale in Italia è normata e viene praticata da molte comunità educanti. Si può discutere sul valore superiore della scuola pubblica e della socializzazione che hanno i ragazzi nella didattica proposta in aula ma credo sia molto interessante quello che dice la psicoterapeuta e membro dell’Osservatorio Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza Maria Teresa Parsi. 

Riporto qui un estratto del suo articolo pubblicato in questi giorni dal quotidiano Il Centro in cui parla del valore fondamentale della scuola pubblica  (articolo intero su internet) ma dice anche altre cose molto importanti a favore dei genitori e condanna le modalità con le quali si agisce senza considerare la sofferenza psichica dei bambini:  

Gli adulti fanno la lotta e, alla fine, pagano sempre i bambini. Succede nelle 56 guerre sparse nel mondo, dove il potere combatte per sopravvivere e loro sono i primi a perdere la vita, e succede nelle nostre belle società. Succede anche a Palmoli, in Abruzzo, dove un giudice sceglie di allontanare tre bambini dalla loro famiglia – che ha delle responsabilità, sia chiaro – senza tener conto delle conseguenze, dei danni che subiranno questi bambini, passati, da un momento all’altro, dal bosco in cui sono cresciuti a una casa famiglia, come viaggiare dal giorno alla notte senza passare per l’alba.

[…]

Questa è una parte della verità. Ce n’è un’altra, però, ed è quella di una coppia di genitori che, forse, inseguendo un’utopia, ma ha sempre pensato a fare il bene dei propri figli. E possiamo biasimarli in toto? Questi bambini vivono un mondo che non è quello virtuale. Crescendo a contatto con la natura, con gli animali hanno sviluppato molte meno preoccupazioni e paure dei loro coetanei confinati in casa, attaccati al telefono e disabituati a condividere. Questi genitori non sono violenti, amano i propri figli e in questo modo pensano di tutelarli. Per questo servirebbe il buon senso, l’età adulta dovrebbe essere quella della ragione, del confronto e invece nessuno si è seduto a un tavolo.

Bisognerebbe parlare con questi genitori, accompagnarli in un percorso che li renda consapevoli di quanto la scolarizzazione e la socializzazione siano passaggi fondamentali nella crescita. Formare e non punire, preferire il dialogo allo strappo, il confronto all’allontanamento. La verità è che nessuno si è messo nei panni di questi bambini, ha visto i rischi della situazione dilaniante a cui attualmente sono sottoposti. Non è in un modo così feroce che si conquista la socialità. E ora, che fare?

Mi chiedo in conclusione di questa riflessione – ma ci tornerò – se non è il caso di approfittare di questa vicenda, che ha creato un’esposizione mediatica sproporzionata, per aprire  un confronto pubblico culturale  e politico in modo da porre le basi di una nuova umanità che metta al centro davvero e non a parole, un rinnovato rapporto tra persone e natura. Un rapporto che passa anche in scelte di vita più sobrie e plurali, così si può costruire una nuova umanità.