Santiago e dintorni: il turismo lento e la sfida del sovraffollamento dei cammini
Il Cammino di Santiago affronta un sovraffollamento che solleva preoccupazioni per l’autenticità del percorso e l’ambiente. Le soluzioni? Distribuzione dei flussi turistici e programmi per “Non lasciare tracce”.
In breve
Il sovraffollamento dei cammini è una la sfida per il turismo lento.
- Il Cammino di Santiago ha visto un aumento record dei pellegrini, con quasi mezzo milione di visitatori nel 2024, e previsioni che superano questa cifra nel 2025.
- La crescita rapida del turismo ha portato a una maggiore pressione sui luoghi, con problematiche di sovraffollamento e impatti sull’autenticità del percorso.
- Fenomeni simili si riscontrano anche in Italia, con luoghi iconici sempre più affollati.
- L’over tourism sta colpendo anche i cammini, che fino a pochi anni fa erano considerati una nicchia.
- Si propongono soluzioni come la gestione dei flussi e l’educazione dei camminatori per limitare l’impatto.
Da quando nel novembre 2024 il canale televisivo Arte, famoso per i suoi documentari, ha pubblicato un reportage sul sovraffollamento sul Cammino di Santiago, due domande assillano la mente di chi si occupa di cammini. La prima è “quindi anche il turismo lento, a piedi, può diventare eccessivo e molesto?”. E la seconda: “Come possiamo fare ad evitare questa deriva?”
Nel 2024 la Oficina del Peregrino, l’ente che rilascia le compostele, ovvero i certificati ufficiali che testimoniano la conclusione del Cammino, ha diffuso dati da record: quasi mezzo milione di visitatori hanno percorso almeno l’ultimo tratto. Nel 2025 questa soglia potrebbe essere facilmente superata, per la prima volta nella storia. Solo dieci anni fa, nel 2015, i pellegrini erano circa la metà; nel 2005 poco più di 90.000 e all’inizio degli anni Novanta poche migliaia.
Di pari passo con le persone, sono aumentati anche i problemi. Il Cammino Francese – quello più battuto della decina di pellegrinaggi che portano a Santiago – e in particolare quegli ultimi 100 chilometri necessari a ottenere la compostela, si è trasformato in un imbuto di persone che corrono per accaparrarsi un posto letto alla sera.
La città di Santiago vive una pressione turistica che spinge in alto gli affitti e svuota il centro dai residenti, con costi crescenti per servizi, pulizia e manutenzione. Il documentario di Arte mostra diverse scene di insofferenza dei residenti verso i pellegrini, che a volte sfociano persino in alterchi e scontri. E cresce la sensazione di una perdita di autenticità, con più rumore, feste, turismo mordi e fuggi e infrastrutture che non sempre tengono il passo.

Overtourism su sentieri e cammini
Il problema però non riguarda solo il Cammino di Santiago, né solo i cammini, ma tutto il turismo a piedi. Negli ultimi anni – e in particolare nel post pandemia – molti sentieri hanno iniziato a soffrire di sovraffollamento, anche in Italia. A numerose persone sarà capitato di imbattersi in foto di lunghe file estive che serpeggiano per qualche sentiero delle Dolomiti o attorno a un laghetto di montagna particolarmente fotogenico.
L’overtourism, termine inglese con cui ci si riferisce a questo fenomeno e che un tempo sembrava appannaggio esclusivo di mete marittime, colpisce infatti sempre più spesso il turismo dei camminatori, che fino a qualche anno fa era considerato di nicchia. Il fenomeno dell’escursionismo “di massa” sui sentieri più famosi è letteralmente esploso: in alcuni luoghi iconici come le Tre Cime di Lavaredo, sulle Alpi, si sono contati fino a 14.000 visitatori in un solo giorno estivo, tanto che i Comuni della zona hanno avviato sistemi di contingentamento e prenotazione perché l’affollamento comprometteva l’esperienza e la sicurezza dei turisti.
Se guardiamo ai cammini italiani, i numeri sono più piccoli ma in costante crescita: il dossier “Italia, Paese di cammini” registra 1 milione e 435.000 pernottamenti lungo i cammini nel 2024, con un +6% sul 2023, e 122.000 camminatori certificati. A fare la parte del leone, anche qui, sono però pochi percorsi: la Via degli Dei, passata da circa 8.000 camminatori nel 2017 a 23.000 nel 2024, e la Via Francigena, i cammini francescani.
Qui la domanda si concentra spesso su borghi piccoli e su strutture con capacità limitata Questo vuol dire che anche qualche sono poche migliaia i passaggi in più nell’arco dell’estate, possono generarsi colli di bottiglia che riguardano la reperibilità dei posti letto, la ristorazione e i servizi, generando dinamiche molto simili a quelle dei luoghi turistici saturi e massificati.

A spingere questa crescita c’è un mix di fattori: la ricerca di natura e lentezza dopo anni di turismo mordi e fuggi, l’effetto imitazione alimentato dai social, la convenienza economica rispetto ad altre vacanze e – sempre più – il clima, con le ondate di calore che rendono meno attraente il mare nelle ore centrali e spostano il desiderio di viaggio verso quote più fresche, boschi, colline e montagne, rendendo il camminare una risposta pratica alla nuova estate mediterranea. Di fronte a questo trend poi tanti territori hanno iniziato a creare pacchetti turistici dedicati ai camminatori, facili da capire e comunicare.
Il dilemma del turismo lento
Il meccanismo in fin dei conti è quasi sempre lo stesso. Un luogo o un percorso nasce con uno spirito preciso – religioso, identitario, di lentezza, di immersione nella natura – e proprio perché è autentico comincia ad attirare persone in cerca di quella stessa autenticità. A un certo punto, il numero crescente di persone fa sì che entri nel radar del turismo di massa e dei social. È lì che scatta la dinamica della “moda” e iniziano ad arrivare altre persone, che non condividono per forza lo stesso codice di comportamento di chi quel luogo lo ha frequentato per primo.
Il risultato è che l’aumento dei visitatori non porta automaticamente più qualità o più reddito diffuso, ma più rumore, più pressione sugli alloggi, meccanismi speculativi, più costi per i Comuni e soprattutto una percezione di “tradimento” dello spirito originario. A questo punto la domanda diventa inevitabile: esiste un modo per accogliere più persone che camminano, che scelgono i territori interni, senza snaturare i luoghi e lo spirito dei cammini stessi? In altre parole: possiamo avere turismo lento e numeri alti o sono due cose che prima o poi entrano in conflitto?
Una prima risposta ci arriva proprio da Cammino di Santiago. Nel “Plan Director de los Caminos de Santiago 2022–2027” della Galizia, il documento con cui la regione si è dotata di una sorta di “piano regolatore” del Cammino, sono esplicitati 7 grandi obiettivi, 17 linee di azione e quasi 100 interventi per i prossimi anni. Dentro ci sono tre idee-chiave: migliorare e conservare le infrastrutture dei vari cammini, distribuire meglio i flussi tra le diverse rotte – non solo il Cammino francese e non solo ultimi 100 chilometri – e rafforzare l’educazione dei pellegrini, perché il pellegrinaggio non venga percepito come semplice “trekking”.

Nella pratica significa una promozione più spinta di percorsi alternativi, più interventi sui punti critici e più lavoro con i Comuni lungo il tracciato. Il giornalista galiziano Antón Pombo ha ripetuto più volte, in diverse interviste, che il Cammino “vive una crisi di identità per colpa delle mode e del turismo di massa” e che solo i tratti meno battuti, come il Camino Aragonés, “mantengono la vera essenza: silenzio, paesaggio e autenticità”.
In generale molti esperti di cammini condividono la necessità di spalmare nel tempo o nello spazio i visitatori e di puntare sull’educazione. Secondo Alberto Conte, fondatore di organizzazioni come Movimento Lento e Itineraria, i cammini vanno accompagnati con progettazione, segnaletica coerente, accoglienza diffusa e coordinamento istituzionale, altrimenti si rischia di trasformare una risorsa di lungo periodo in una moda stagionale che stressa i luoghi senza radicare economia.
I sondaggi sembrano mostrare che le persone sono pronte a questo tipo di salto: i dati italiani sul turismo lento dicono che il 78% dei viaggiatori sarebbe disposto a scegliere mete meno frequentate pur di non trovarsi nella folla. L’idea di destagionalizzare e distribuire sul territorio nazionale il flusso in crescita dei camminatori ha molto senso dal punto di vista della valorizzazione delle aree interne, creando economia di territorio e decongestionando le tratte più battute.
Tuttavia potrebbe avere delle controindicazioni dal punto di vista ecologico. Gli studi di recreation ecology – il ramo dell’ecologia che studia gli effetti delle attività ricreative delle persone sulla natura – ci dicono che, perlomeno entro certi limiti, è meglio concentrare il proprio impatto su un numero limitato di tracciati, piuttosto che crearne costantemente di nuovi. Questo avviene perché il danno principale dei visitatori arriva molto presto, con i primi passaggi, e poi cresce in modo più lento man mano che la gente continua a passare.

Negli USA questo concetto è stato applicato in un framework utilizzato nella gestione dei parchi naturali chiamato Limits of Acceptable Change (LAC): si accetta che un punto cambi, purché il resto rimanga in buone condizioni. Concentrare i passaggi su pochi tracciati già infrastrutturati consente di prevenire la dispersione del danno e la nascita di mille sentieri informali. Al tempo stesso, oltre certe soglie – quando cioè la pressione antropica supera di molto la “capacità di carico” di un luogo – i danni agli ecosistemi tornano a crescere velocemente. E allora, a seconda del valore ecologico del luogo in questione, può avere senso diversificare l’impatto.
Il dilemma resta quindi aperto. Una soluzione – almeno parziale – potrebbe passare dall’educare chi sceglie di viaggiare a piedi. È quello che fanno da anni i programmi Leave No Trace nei parchi USA, che puntano a fornire loro gli strumenti per ridurre il proprio impatto. Molte micropressioni infatti, come rifiuti, uscite dal sentiero, rumori, campeggio selvaggio, derivano più da ignoranza che da cattiva volontà.
Nell’estate dell’Anno Santo 2021, grazie alla distribuzione di 142.000 sacchetti e al coinvolgimento di oltre trecento strutture, lungo le varie rotte del Cammino di Santiago sono state raccolte 186 tonnellate di rifiuti che altrimenti sarebbero rimasti sul percorso. Nei cammini italiani questo meccanismo sembra piuttosto facile da innestare ed è alla base della campagna “Io non lascio tracce” lanciata da alcune organizzazioni legate al turismo lento. Una sorta di “patto del camminatore” con indicazioni pratiche su come lasciare i luoghi uguali – o persino meglio – di come li abbiamo incontrati.
Informazioni chiave
Crescita record del turismo sui cammini
Nel 2024, il Cammino di Santiago ha registrato quasi mezzo milione di pellegrini, con numeri che potrebbero superare questa cifra nel 2025.
Sovraffollamento e impatti ecologici
Il sovraffollamento minaccia l’autenticità e la sostenibilità dei cammini, con problematiche di inquinamento, danni alle infrastrutture e alterazioni dei paesaggi naturali.
Spalmare il turismo e i rischi ecologici
L’idea di distribuire meglio i flussi turistici nel tempo e nello spazio per decongestionare le rotte più affollate potrebbe portare a un aumento dei danni ecologici se non gestito correttamente.
Non lasciare tracce
Il programma “Leave No Trace” e iniziative simili invitano i camminatori a ridurre il proprio impatto, con l’obiettivo di mantenere i cammini puliti e preservare la natura intatta.










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