La normativa a tutela del sardo esiste, ma bisogna farla rispettare
Nonostante sia riconosciuto lingua minoritaria e tutelato da organismi come UNESCO, il sardo resta ai margini della vita pubblica e scolastica. Eppure la normativa per tutelarlo esiste.
Sguardo scettico, sorriso di scherno, alzata di spalle e: “Sì, vabbè!”. È la reazione di alcuni quando sentono dire – e capita sempre più spesso – che il sardo è una lingua e non un dialetto. La generazione dei nostri nonni e in parte dei nostri genitori, è cresciuta con la precisa convinzione che il sardo fosse una parlata di minor valore rispetto all’italiano. Quest’ultimo, lingua ufficiale e colta, era il linguaggio di chi aveva studiato. Usarlo segnava immediatamente uno scarto tra l’arretratezza della tradizione e un futuro di riscatto sociale per la persona che, conclusa la scuola dell’obbligo, poteva entrare di diritto in tutti i luoghi esclusivi dell’italiano: i pubblici uffici, le professioni alte, le università, la politica.
Eppure il sardo è riconosciuto dagli esperti come lingua a sé fin dall’Ottocento. Nella storia della Sardegna, il sardo è stato per tanto tempo lingua dell’ufficialità e dell’autorità, con una lunga tradizione scritta che comprende codici legislativi, atti ufficiali e documenti privati in fin dal Medioevo poi gradualmente sostituita dallo spagnolo e infine dall’italiano. In uno strano processo di rimozione della memoria, le generazioni che ci hanno preceduto hanno dimenticato tutto questo e si sono convinte che il sardo – con cui si era espresso tutto, dalla quotidianità alla poesia, la politica e il lessico giuridico specialistico – fosse, per una sorta di inferiorità intrinseca, inadatto a parlare di altro più che delle cose considerate ordinarie e “basse”.
Nasceva così la concezione diffusa del sardo come dialetto, versione embrionale e incolta di una lingua: nello specifico, un dialetto della lingua italiana. Eppure il sardo è tutelato per legge come lingua minoritaria, con una serie di prescrizioni che garantiscono, per i parlanti, dei diritti mai realmente rispettati. Rivediamo insieme queste norme, che potrete citare davanti al prossimo “sì, vabbè”.

Il sardo nello Stato italiano
Lo Stato italiano ha riconosciuto il sardo come lingua con la legge 482 del 1999, che recita: “La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”. La Regione Sardegna si era mossa con due anni di anticipo, riconoscendo la lingua sarda come “bene fondamentale da valorizzare” insieme alle altre lingue parlate nell’isola – “la lingua catalana di Alghero, il tabarchino delle isole del Sulcis, il dialetto sassarese e quello gallurese” – con il fine di tutelare “l’identità culturale del popolo sardo”. La normativa è stata poi perfezionata con la legge 22 del 2018.
Nel 2010 la Corte Costituzionale ha stabilito che le regioni possono legiferare per valorizzare e proteggere le proprie lingue minoritarie, ma non possono individuare nuove minoranze linguistiche nel proprio territorio. In altre parole, il potere di decidere quali idiomi parlati in Italia hanno lo status di “lingua” spetta esclusivamente allo Stato. Le parlate elencate nella legge 482/1999 sono quindi le uniche lingue minoritarie riconosciute in Italia.
L’atteggiamento ambivalente delle istituzioni centrali nei confronti del sardo si è mantenuto fino ad oggi
Questa normativa a tutela del sardo è nei fatti rimasta lettera morta, considerato che lo Stato ha rifiutato sistematicamente le iniziative regionali per l’istituzione di un bilinguismo perfetto, cioè il riconoscimento di pieni diritti di uso alla lingua sarda – al pari dell’italiano – nella pubblica amministrazione e nei programmi scolastici.
L’atteggiamento ambivalente delle istituzioni centrali nei confronti del sardo si è mantenuto fino ad oggi. Nel 2007 l’Italia ha presentato alle Nazioni Unite una nota informativa sulla “normalizzazione della lingua sarda”, in cui si legge che “a causa delle rilevanti differenze tra le varietà dialettali e dell’assenza di una forma linguistica unificata, i linguisti hanno mantenuto un atteggiamento prudente nel riconoscere al sardo lo status di lingua”. Gli autori, dall’Istituto Geografico Militare, parlano infatti di Sardinian dialects, da intendersi più con un neutro “dialetti parlati in Sardegna” che come “dialetti del sardo”.
Nel testo presentato all’Onu si sottolinea però che il sardo ha avuto una storia autonoma, con influenze diverse da quelle di altri idiomi presenti in Italia, e che la diffusione dell’italiano nell’isola non è iniziata prima del XVIII secolo: “La diffusione della lingua italiana iniziò con l’ascesa del Regno di Sardegna sotto la Casa Savoia nel 1720”. In un dossier del 2017 – inviato ai singoli senatori e alle Commissioni come materiale informativo per il dibattito parlamentare – il Servizio studi del Senato ha sottolineato che il sardo, “minoranza linguistica” oggetto di tutela in virtù del suo “radicamento storico”, è “la lingua che più ha conservato del latino” secondo alcuni studiosi.

Le leggi internazionali
Nel 1992 il Consiglio d’Europa ha adottato la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, in riferimento alle lingue parlate in Europa da persone autoctone, quindi non migranti. La Carta tutela tutte le “lingue” che sono diverse dalla lingua ufficiale dello Stato, escludendo quindi i dialetti, e prescrive forme di tutela molto accentuate, come l’insegnamento ad ogni livello scolastico. Ma la Carta non fornisce alcuna lista di queste lingue di minoranza europee bisognose di tutela, delegando la responsabilità ai singoli Stati firmatari. E anche se l’Italia ha già individuato le “proprie” lingue minoritarie, non ha però mai ratificato l’accordo.
L’Italia ha invece ratificato ed eseguito la più generica Convenzione-quadro dell’Onu sui diritti delle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche, in cui si afferma che “le persone appartenenti a minoranze hanno il diritto di beneficiare della loro cultura e di usare la loro lingua, in privato e in pubblico”, oltre che di ricevere un’istruzione nella propria lingua madre. Questa e altre convenzioni internazionali a cui l’Italia aderisce, come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del ’48, stabiliscono generici principi di uguaglianza e non discriminazione per le minoranze linguistiche, ma non menzionano nello specifico la lingua sarda.

I riconoscimenti
Il sardo è riconosciuto come lingua da diverse istituzioni internazionali. L’ONG Minority Rights Group (MRG), che lavora come organizzazione partner delle Nazioni Unite per i diritti dei popoli indigeni e delle minoranze, considera i sardi “indigeni della Sardegna” e li inserisce nell’Elenco delle Minoranze e dei Popoli Indigeni del Mondo. La lista, consultabile sul sito dell’agenzia Onu per i rifugiati UNHCR, definisce il Sardu “lingua sarda” con quattro “varianti” – Campidanesu, Logudoresu, Sassaresu e Gadduresu.
Amnesty International descrive il sardo come “lingua appartenente alla famiglia indoeuropea, gruppo romanzo, parlata da 1,5 milioni di persone. È stata fortemente influenzata dallo spagnolo e dal catalano” e ha una “natura conservativa, in quanto molte parole latine sono rimaste quasi immutate nei secoli”. L’UNESCO considera il sardo come “lingua sicuramente in pericolo di estinzione” e l’ha inserito nell’Atlante delle lingue del mondo in pericolo.
Nel documento si dà credito alla classificazione linguistica che vede il sardo come uno dei nove “rami” delle lingue romanze – separato dal ramo italo-romanzo, ovvero quello dell’italiano, e delle sue varietà dialettali. In questa classificazione dell’UNESCO, il Logudorese e il Campidanese sono due lingue a tutti gli effetti, imparentate tra loro ma distinte; mentre il Gallurese e il Sassarese non sono varianti del sardo, bensì dialetti italo-romanzi. Insomma, la normativa esiste. Si tratta di farla rispettare e garantire ai sardi il diritto di esprimersi, governare sé stessi e ricevere un’istruzione nella propria lingua madre. La questione è se non sia ormai troppo tardi per farlo.
Con questo articolo proseguiamo l’approfondimento su nazionalismo di oggi e colonialismo, concentrandoci sul nazionalismo italiano e il suo braccio di ferro con l’identità sarda in Sardegna.










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