Cicloturismo, territori e futuro: la visione di Pinar Pinzuti
Cicloturismo, aree interne e nuovi modelli di mobilità: Pinar Pinzuti descrive come il viaggio in bici possa rilanciare economie locali e ridurre i divari territoriali.
Pinar Pinzuti è una delle voci più autorevoli del cicloturismo in Europa. Direttrice della Fiera del Cicloturismo, attivista e divulgatrice, da oltre vent’anni racconta la bicicletta come strumento di viaggio, cambiamento e libertà. Membro del Consiglio di EuroVelo e ideatrice del movimento internazionale Fancy Women Bike Ride, ha contribuito a trasformare la cultura delle due ruote in Italia, sostenendo un modello di mobilità più sostenibile, inclusiva e attento ai territori. In questa intervista ripercorriamo la sua storia, il suo impegno e la visione che guida il suo lavoro: una convinzione semplice e potente che la bici non sia il mezzo del futuro, ma già quello del presente.
Pinar, come nasce la tua passione per la bici?
È iniziato tutto in modo semplice. Vivevo a Norimberga, in Germania, e utilizzavo la bicicletta per brevi spostamenti quotidiani. Poi ho iniziato a uscire dai confini della città, a fare i primi pernottamenti fuori e, successivamente, viaggi più lunghi. Un giorno io e mio marito ci siamo chiesti: “Perché tornare a casa?”, “perché non continuare?”.
Da quella intuizione, vent’anni fa, sono nati i nostri viaggi in bici in giro per il mondo. Al rientro, notavamo come i luoghi visitati fossero diversi dalle immagini promozionali: la Spagna che abbiamo scoperto, ad esempio, non coincideva con quella delle spiagge e del calice di vino. Da lì è iniziato il nostro racconto del viaggio in bicicletta: non solo il mezzo, ma ciò che permette di scoprire. In bici è più facile entrare in relazione, suscitare curiosità, instaurare conversazioni. Viaggiare pedalando consente di attraversare un territorio e guardarlo con altri occhi.

Oggi vivi in Italia, a Milano. Quali sono le differenze rispetto alla tua esperienza a Norimberga?
In Germania, già all’epoca, quando si progettavano nuove strade o si riqualificavano quelle esistenti, si pensava alla corsia per le auto, alla pista ciclabile e al marciapiede. Non era una battaglia degli attivisti, ma una scelta strutturale di chi progettava la città.
In Italia oggi stiamo combattendo per rendere le città più vivibili, togliendo spazio alle auto per restituirlo a pedoni e ciclisti. Le nostre città sono antiche, hanno strade strette nate per chi si spostava a piedi o a cavallo. Con le auto non rimane molto spazio per noi.
Pensi che l’Italia, in un prossimo futuro, sarà un Paese ciclabile?
È la missione che portiamo avanti con Bikeitalia.it da 13 anni. Lavoriamo su più fronti per accompagnare le persone verso un cambio di prospettiva: sensibilizzazione, eventi, advocacy, pressione politica. Credo che sia possibile. Negli ultimi vent’anni i cambiamenti sono stati evidenti e il turismo in bicicletta ha avuto un ruolo decisivo. Per la mobilità urbana servono investimenti, il turismo invece porta risorse per valorizzare ciò che già esiste. I numeri in crescita e i dati sugli impatti economici del cicloturismo aiutano a convincere amministratori e politici a investire.
La Fiera del Cicloturismo, di cui sei ideatrice e che nel 2026 sarà la quinta edizione, è un segnale di questo cambiamento?
Sì. Per la prima edizione, a Milano, avevamo scelto uno spazio piccolo perché pensavamo fosse un tema di nicchia che interessasse noi, i nostri amici e pochi altri a cui avevamo fatto conoscere alcune delle destinazioni dove andare in vacanza in bicicletta. Già il primo giorno c’erano oltre 10.000 persone in attesa di entrare. È stato sorprendente e incoraggiante sia per noi sia per le destinazioni che non erano ancora sicure di voler potenziare questo nuovo settore, capace di offrire servizi diversi a seconda del target: famiglie, seniors, giovani avventurosi. La Fiera è l’occasione per far conoscere questi vari mondi. Durante l’ultima edizione eravamo in 25.000, tutti a prendere appunti per la prossima vacanza in bici!

Pensi che l’e-bike abbia contribuito a diffondere il cicloturismo?
Moltissimo. “Non ho la bici”, “non la uso perché potrebbero rubarla”, “ci sono le salite”, sono alcune delle scuse più comuni che limitano molte persone. Anche se continuano a rubarle e non abbiamo ancora soluzioni per questo problema, per tutti gli altri “limiti” sì. Oggi si possono noleggiare facilmente bici lungo le principali ciclovie e con l’e-bike le salite non sono più un problema, soprattutto nelle località rurali dove si percorrono molte strade di montagna. Con l’e-bike è possibile pedalare ovunque. Inoltre, se la struttura ricettiva o la guida forniscono le biciclette, l’esperienza migliora ulteriormente. Tornati in città, si cerca di replicare quella stessa sensazione e così si inizia a diventare ciclisti urbani.
Gran parte del cicloturismo si sviluppa nelle aree rurali e interne. Quanto è importante, secondo te, per lo sviluppo di territori spesso spopolati o con pochi servizi?
Da quattro anni faccio parte del Consiglio di EuroVelo, seguo la rete internazionale di ciclovie molto da vicino e partecipo a decisioni politiche e strategiche per 25 Paesi. I 17 percorsi internazionali, con circa 90.000 chilometri di ciclabili, mi permettono di osservare l’esperienza italiana da un’altra prospettiva. Nei primi percorsi si cercava, ad esempio, di connettere una città all’altra, solo molto dopo si è iniziato a pensare a come collegare anche persone e borghi tramite sentieri e vie già esistenti da percorrere in sicurezza. Un esempio straordinario è la Ciclovia dei Parchi della Calabria: 575 chilometri che non toccano il mare né le città, ma collegano borghi e sentieri esistenti.
È una delle ciclovie più belle al mondo ed è oggi parte della EuroVelo 7. Solo l’anno scorso abbiamo modificato l’antico tracciato, pensato lungo la costa adriatica e disegnato sulla mappa 25 anni fa. Una rotta impossibile da costruire che su proposta delle comunità locali si è trasformata in un percorso più realistico e suggestivo che unisce i quattro parchi nazionali sfruttando i sentieri esistenti. Lo stesso è accaduto in Sicilia con la Sicily Divide, che collega l’entroterra dell’isola attraverso strade provinciali sicure, oggi una delle 52 destinazioni ideali per una vacanza di turismo alternativo secondo il New York Times. In questi territori, il passaggio di cicloturisti sta contribuendo a generare nuove attività e nuovi mestieri.
Non è una moda, è un modo di vivere e di muoversi. Permette di percorrere distanze importanti in modo sostenibile e accessibile
Puoi farci un esempio?
A Enna, ad esempio, nel cuore della Sicilia, un ragazzo ha deciso di aprire un negozio per dare assistenza ai cicloturisti. A distanza di due anni ha ingrandito lo spazio e, oltre al servizio meccanico, fornisce pasti e supporti vari per pianificare la tappa successiva.
Scegliere di pedalare in Sicilia, o in territori meno battuti, aiuta le persone del luogo a non andare via.
Il Sud e le aree interne in genere possono quindi beneficiare di un rilancio grazie al cicloturismo?
Sì. La bassa densità abitativa e il traffico ridotto rendono le strade del Sud particolarmente adatte alla trasformazione in ciclovie. Una strada con meno di mille auto al giorno è potenzialmente percorribile in sicurezza.
In questa ottica, il cicloturismo potrebbe addirittura contribuire a diminuire il divario economico tra Nord e Sud, partendo da quegli aspetti oggi considerati sinonimo di arretratezza?
Paradossalmente il ritardo nello sviluppo di alcune aree è oggi un vantaggio: niente superstrade o resort, ma borghi autentici e strade tranquille. Il cicloturista non cerca il prezzo più basso, ma un’esperienza di autenticità. E per questo è disposto a pagare.
Riattivare l’economia locale di alcuni territori è importante, ma come evitare fenomeni di overtourism già osservati lungo alcune ciclovie italiane e internazionali?
Il cicloturista è naturalmente attratto da ciò che è meno noto. È sufficiente una segnaletica ben fatta per deviare il percorso e far scoprire nuove realtà. Occorre quindi trasformare le risorse locali in esperienze uniche – ad esempio il pane fatto in casa dalle signore del luogo, l’artigianato, le piccole storie locali – che non si trovano altrove, e diversificare l’offerta con il supporto delle istituzioni locali. Le ciclovie delle Fiandre stanno già lavorando in questa direzione, con proposte mirate a pubblici differenti. Succederà anche in Italia: oggi è una delle destinazioni più desiderate dai cicloturisti di tutto il mondo e da chi propone pacchetti di viaggio.

Cosa manca all’Italia per fare un salto di qualità?
Manca un coordinamento nazionale. In altri Paesi esiste un ufficio che riunisce i vari ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente, gli enti del turismo e le associazioni del settore, per pianificare strategie comuni. Noi non abbiamo neanche una visione al 2030, né una piattaforma unica. Oggi chi vuole fare cicloturismo in Italia deve arrangiarsi cercando informazioni sparse tra siti regionali e portali. La Fiera del Cicloturismo sta diventando un punto di incontro tra amministrazioni, tecnici e operatori. Da qui nascono progetti che superano anche i confini regionali, come nel caso della collaborazione tra Calabria e Campania sulla Via Silente.
La bici è per te anche uno strumento femminista. Nel 2022 hai ricevuto un premio dalle Nazioni Unite per il movimento internazionale Fancy Women Bike Ride, che coordini da diversi anni, e sei ambasciatrice dell’iniziativa Women In Cycling.
Women In Cycling riunisce donne del mondo della bici e aziende che vogliono dare visibilità alle professioniste di un settore tradizionalmente maschile. Le donne sono già presenti nella mobilità e nel turismo, ma vogliamo incoraggiarle anche nei ruoli tecnici e industriali. La bici deve essere accessibile a tutte e a tutti.
Possiamo dire quindi che la bici è il mezzo del futuro?
È il mezzo del presente e del futuro. Da due secoli ci permette di spostarci senza consumare risorse. Non è una moda, è un modo di vivere e di muoversi. Permette di percorrere distanze importanti in modo sostenibile e accessibile. E credo che tante persone lo abbiano capito.
Vuoi approfondire?
Italia Che Cambia fa parte di Movimento Lento Network, una rete che si occupa di turismo a piedi, in bicicletta, slow, a basso impatto ambientale e sociale, generativo per i territori che attraversa. In collaborazione con la realtà del network stiamo approfondendo molti aspetto del turismo lento – potete trovare qua tutti i nostri contenuti sul tema.
Per quanto riguarda il cicloturismo, Italia Che Cambia è partner di SlowMap, una piattaforma per viaggiare in modo lento ed ecologico che propone una selezione di itinerari DOC con oltre 30 ciclovie già attive, migliaia di chilometri mappati e servizi bike friendly per rendere ogni viaggio semplice, personalizzato e sicuro, per scoprire l’Italia e chi la abita, attraversare i suoi paesaggi con rispetto e restituire valore ai territori.
SlowMap non è solo una piattaforma, ma un modello di turismo sostenibile che valorizza territori, borghi e comunità locali. Un invito a rallentare, osservare e sentirsi parte del percorso e un’alternativa concreta per viaggiatori che vogliono rallentare e vivere davvero i luoghi che attraversano.













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