Gesti che parlano: a Genova l’infanzia prende forma attraverso l’arte
Mani di tutte le età che esplorano, disegnano pensieri, cercano nuovi modi di comunicare con l’obiettivo di dare forma alle immagini di un calendario dedicato ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per il 2026.
C’è un luogo a Genova dove l’infanzia non è solo custodita, ma anche ascoltata, accolta e messa al centro. È il Circolo Vega, uno spazio che dal 1989 intreccia educazione, arte e comunità, diventando un punto di riferimento per chi crede che crescere insieme significhi anche immaginare insieme.
Lì, tra luci, teli bianchi, flash, melograni e bignè al cioccolato, lo scorso ottobre ho partecipato insieme a Margherita, la mia bambina di due anni, a un incontro dedicato ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Più che un laboratorio sembrava un piccolo rito collettivo: mani che si concentravano nel “dare forma”, gesti che comunicavano idee. Concetti astratti diventavano immagini in bianco e nero, quelle che compongono il calendario 2026 del Circolo Vega.
A guidare l’esperienza c’erano l’arteterapeuta Elisa Pezzolla e l’illustratrice Elisabetta Civardi, accompagnate dalla sensibilità fotografica di Ciro Abd El, noto per il suo lavoro a metà tra arte e narrazione documentaria, che ha seguito il percorso restituendone i frammenti più autentici. Il riferimento a Gesti di Bruno Munari non era casuale: ispirandosi al designer milanese, il lavoro è partito dal corpo per arrivare al significato, dal gioco per raggiungere consapevolezza.

I diritti che prendono forma
Il desiderio di dare corpo ai diritti dell’infanzia è stato il punto di partenza. «Volevamo creare un legame tra parola, gesto e oggetto – raccontano Elisa ed Elisabetta – capace di rappresentare ogni diritto in modo non didascalico, non chiuso né definito, ma evocativo e aperto». La Convenzione ONU, spiegano, “porta con sé temi astratti e spesso lontani dall’esperienza quotidiana”: tradurli in immagini canoniche avrebbe rischiato di generare stereotipi.
Da qui la scelta di partire dalle mani: «La mano è il primo strumento con cui un bambino conosce il mondo; attraverso il tatto costruisce il suo primo vocabolario». Gli oggetti sono un omaggio a Munari, che negli anni Settanta ricercava «un vocabolario interregionale capace di unire un’Italia ancora molto frammentata», convinto che «determinati gesti ci accomunano tutti», dal villaggio valdostano al paese più remoto della Sicilia. Anche per questo, spiegano, «nel lavoro finale non compare alcuna immagine nostra: volevamo che fossero i gesti e il processo collettivo a generare significato».
L’arte come relazione e cura
Nel loro lavoro, quando l’arte diventa strumento di relazione, accade qualcosa di profondamente trasformativo: «Si attivano processi di cambiamento intimi, perché i contenuti emergono attraverso le immagini prima ancora che attraverso il pensiero». L’arte, dicono, «è molto più rapida del linguaggio verbale: fa emergere elementi che da soli aprono riflessioni e consapevolezze». Non è una ricetta né una pozione, «ma un’attività che permette alle persone di entrare in contatto con il proprio mondo interiore».

Il gesto, in particolare, diventa un mezzo potente: «Nasce dal corpo, da una dimensione istintiva meno controllabile del linguaggio verbale. Il corpo rivela ciò che la mente modula». Per questo il gesto può diventare uno strumento prezioso per parlare di diritti, perché «abbassa il potere della mente razionale e connette le persone in modo più autentico e vero».
Un calendario come omaggio e come invito
La scelta di dedicare il calendario 2026 ai diritti dell’infanzia del Circolo Vega nasce anche da una visione più ampia. Questo è stato l’anno della prima edizione del Festival dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un evento diffuso e partecipato da tante realtà del territorio. «Il Circolo Vega ha dato l’imprinting e lo stimolo per la linea grafica dell’intero festival», ricordano; non a caso il motivo delle mani ritorna in tutta la comunicazione. Dedicare al tema dei diritti anche il calendario è stato «un modo naturale per dare continuità e riconoscimento» a questo percorso collettivo.
I diritti più dimenticati
Ragionando sui diritti meno compresi oggi, emerge un pensiero condiviso: «La Convenzione è stata scritta dagli adulti pensando ai bambini. Più che chiedersi quali siano i diritti ignorati oggi, bisognerebbe fare in modo che non vengano dimenticate le voci dei bambini stessi». Gli adulti dovrebbero essere «tramiti, non interpreti, per evitare di distorcere ciò che i bambini, portatori di sapienza, vogliono davvero esprimere». L’auspicio è un «vero processo partecipativo», in cui i bambini siano riconosciuti come protagonisti.

Un calendario che apre conversazioni
Quando Elisa ed Elisabetta immaginano il calendario appeso nelle case, magari nelle cucine, sperano che «diventi un generatore di conversazioni», un invito a interrogarsi sul significato dei diritti e su come ciascuno li vive. «Se penso all’immagine di dicembre – mi spiega Elisa – con due dita che sorreggono una pietra e la frase “Guidi tu?”, mi piace immaginarla come una domanda che apre spazio: cosa significa questo diritto? Cosa significa per me? E per te?». L’obiettivo è rendere i diritti «più quotidiani e concreti», creando occasioni di dialogo e consapevolezza.
E se tutto questo fosse un gesto?
Se il progetto dovesse essere sintetizzato in un gesto, dicono, sarebbe «il palmo di una mano aperta». Uno spazio offerto. Un invito all’incontro. E mentre osservo mia figlia muoversi curiosa nello spazio del laboratorio, penso che forse il senso più profondo di tutto questo stia proprio lì: nella libertà di un gesto che diventa dialogo, nel gioco che si fa linguaggio, nella possibilità di costruire insieme nuovi immaginari. Il Circolo Vega, trentasei anni dopo, continua a essere un luogo dove l’infanzia non è spettatrice, ma protagonista di un laboratorio permanente di futuro.










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