4 Dicembre 2025 | Tempo lettura: 9 minuti

In Sudan la guerra continua, soprattutto quando non ce ne accorgiamo

Cosa accade in Sudan e perché è importante informarsi? Ce ne parla il giornalista sardo Matteo Cardia in questo approfondimento.

Autore: Matteo Cardia
Sudan - Getty Images
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«Le atrocità che si stanno consumando a El Fasher erano prevedibili e prevenibili, ma non sono state evitate. […] Quindi nessuno di noi dovrebbe essere sorpreso dalle notizie secondo cui, da quando le RSF hanno preso il controllo di El Fasher, si sono verificati omicidi di massa di civili, esecuzioni mirate su base etnica, violenze sessuali, tra cui stupri di gruppo, rapimenti a scopo di estorsione, detenzioni arbitrarie diffuse, attacchi a strutture sanitarie, personale medico e operatori umanitari e altre atrocità raccapriccianti. Si tratta di un modello che abbiamo documentato più volte in questo conflitto. Ma i nostri avvertimenti non sono stati ascoltati».

Le parole pronunciate dall’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Volker Turk, il 14 novembre durante la Trentottesima Sessione Speciale sul Sudan tenutasi a Ginevra, sono un ulteriore colpo basso alle nostre coscienze. Era l’aprile del 2023 quando il Sudan è piombato dentro una nuova guerra civile. Ma è solo dopo quanto visto a El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale, in seguito alla caduta della città nelle mani delle Rapid Support Forces (RSF) lo scorso 26 ottobre, che il Sudan ha cominciato ad apparire più frequentemente tra i notiziari. Uno scorcio su una realtà che, nonostante l’annuncio unilaterale da parte delle RSF di una tregua di tre mesi, risalente allo scorso 24 novembre, resta drammatica.

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Bandiera sudanese dipinta su un muro – Canva

Sudan tra geografia e storia

Il Sudan si trova nell’area nord-orientale del continente africano e ha come capitale Khartum. Attraversato dal Nilo – che si divide in Nilo Bianco e Nilo Azzurro nel suo territorio – e con un importante sbocco sul Mar Rosso, il Sudan confina con sette Stati: Libia, Egitto, Ciad, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Eritrea e Sud Sudan, divenuto indipendente da Khartum nel 2011 dopo decenni di lotta armata e politica. Nonostante la secessione, il Sudan resta il terzo Paese per grandezza di tutta l’Africa, dietro solamente ad Algeria e Repubblica Democratica del Congo. Un dato che aiuta a capire come siano naturali le diversità all’interno dei propri confini su diversi piani, da quello sociale a quello religioso o ambientale.

Nella storia del Paese, c’è stata però una costante: la presenza dei militari nella politica. Il colpo di stato dell’esercito del 1958, a due anni dalla fine del protettorato anglo-egiziano e all’indipendenza, è il primo di altri quattro – l’ultimo in ordine temporale quello del 2021. Tra il 1989, il 2021 e ciò che accade oggi, si intrecciano storie e protagonisti fondamentali. Il golpe del 1989 del generale Omar al Bashir è quello che darà vita al regime più lungo. Sotto Bashir prende forma uno Stato fondato sull’interpretazione rigida dell’Islam, con una strumentalizzazione della religione utile a soffocare qualsiasi tipo di dissenso o diversità culturale.

Nel frattempo si continua a consumare la lotta contro gli indipendentisti del sud, conclusa solamente con gli accordi di Nairobi del 2005, mentre tra il 2003 e il 2005 un nuovo conflitto scoppia in Darfur. Contro la ribellione del cosiddetto Esercito di Liberazione del Sudan, Bashir non si serve solo dell’esercito regolare, ma anche di milizie arabofone, per lo più nomadi, che prendono il nome di Janjawid, che si rendono protagoniste negli atti che porteranno, nel 2009, la Corte Penale Internazionale a spiccare un mandato d’arresto nei confronti di Bashir.

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Piatto colorato intrecciato, Mercato di Omdurman, Khartoum, Sudan – Canva

Decisione però che non ha ostacolato il prosieguo del regime, né la crescita di influenza dei Janjawid, che nel 2013 vengono riconosciuti formalmente sotto il nome di Rapid Support Forces, con alla guida – dopo diverse vicissitudini interne al gruppo – il generale Mohamed Hamdan Dagalo noto “Hemedti”. Dagalo accresce le sue ricchezze attraverso lo sfruttamento delle miniere d’oro del Darfur, che diventano anche una modalità per stringere relazioni con gli Emirati Arabi Uniti. Dall’altra diviene sempre più importante per la sicurezza di Bashir che nel 2019 affida alle RSF la sua sicurezza personale.

Il Consiglio di transizione

Tuttavia, in un momento di massima pressione esercitata dalla popolazione civile, con le proteste che riempiono quotidianamente le strade di Khartum, Dagalo e una parte dell’esercito guidata dal generale Abdel Fattah al Burhan decidono di deporre il leader. Sembra l’inizio di un nuovo percorso. Nasce un Consiglio di transizione che vede la presenza di Burhan e Dagalo, ma anche quella di politici espressione della società civile, con l’incarico di primo ministro che viene affidato a un economista, Habdalla Hamdok. Il percorso verso il passaggio a istituzioni governate dai civili si interrompe però di fronte alle rimostranze dei due leader militari, che nel 2021 decidono di mettere fine all’esperienza di Hamdok, sospendendo la costituzione promulgata precedentemente.

Tutto ciò contro la volontà della popolazione civile, tornata in strada per chiedere il rispetto dei precedenti piani. Dopo aver accordato un maggior potere per le due figure militari, Hamdok torna brevemente al suo incarico prima però di dimettersi nel 2022, di fronte soprattutto alla decisione dell’esercito di sedare le proteste dei civili con la forza. Si apre così un confronto tra le due anime militari del Consiglio: a dicembre del 2022 si raggiunge un accordo che però resta solo sulla carta e che si inceppa, tra le altre cose, sul confluire delle RSF nell’esercito regolare.

Le morti sarebbero almeno 150.000, ma i numeri, ovviamente, restano incerti

La tragedia in numeri

I passaggi pattuiti dall’accordo non vengono così rispettati, mentre la voce della popolazione civile resta inascoltata. Si aprono così le porte del conflitto che insanguina il Paese, con i primi combattimenti a Khartum che iniziano il 15 aprile 2023. Dalla capitale, il conflitto si è rapidamente esteso, costringendo oltre 11 milioni di persone – non solo sudanesi, ma anche chi in Sudan aveva trovato precedentemente rifugio in passato – a lasciare le proprie abitazioni: 7 milioni di queste sono rimaste all’interno dei confini del Sudan, oltre 4 si sono invece rifugiate nei Paesi vicini, soprattutto in Ciad, Egitto e Sud Sudan.

Le morti sarebbero almeno 150.000, ma i numeri, ovviamente, restano incerti, mentre la vita dei sopravvissuti continua a essere segnata dai continui spostamenti forzati, da un’insicurezza alimentare che colpisce oltre 24,6 milioni di persone e da un accesso insicuro all’acqua per almeno 19 milioni di persone. La presa di El Fasher da parte delle RSF segna così solo l’ultimo tragico passo, con una disumanizzazione delle vittime divenuta palese ai nostri occhi attraverso i video girati nelle ore e nei giorni successivi alla conclusione di un assedio durato oltre 500 giorni – ne abbiamo parlato qui.

Il tutto non ha impedito, nel frattempo, che le parti in causa potessero tessere nuove relazioni o renderne stabili altre. Il rapporto stretto tra Emirati Arabi Uniti e le RSF è stato reso chiaro da più inchieste. L’oro in possesso di Dagalo e della sua famiglia, così come l’appoggio alle truppe emiratine durante la guerra in Yemen, hanno irrobustito un’amicizia che oggi passa in un malcelato sostegno militare ed economico. L’impegno di Dagalo non si è però fermato al Golfo: è approdato anche su altri versanti del continente africano, trovando appoggio soprattutto da Etiopia e Kenya – dove le RSF hanno posto le basi per formare, a febbraio 2025, un governo parallelo – mossi dai propri interessi nella scelta di campo.

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Sudan – immagine di repertorio Canva

Dall’altra, l’esercito continua ad avere il supporto dell’Egitto, che ha necessità di un Sudan stabile per questioni legate allo sfruttamento del Nilo, ma relazioni stabili sono state mantenute anche con la Russia, la Turchia e l’Arabia Saudita. Schieramenti che hanno reso difficile l’azione diplomatica, con i richiami ignorati del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e il rigetto, in almeno due occasioni, delle proposte di tregua presentate dal tavolo composto da quattro attori: Emirati Arabi, Arabia Saudita, Egitto e Stati Uniti, l’ultima delle quali a inizio novembre.

La tregua

La tregua unilaterale annunciata da parte delle RSF potrebbe essere per questo solo un tentativo di mostrarsi affidabili sul piano internazionale, rispetto a un esercito più reticente data la presenza al tavolo degli Emirati e che ha richiesto lo scioglimento delle RSF per trovare soluzioni politiche. I diversi livelli del conflitto, non escludono però quella che è la prima necessità: fermare le armi e la sofferenza di milioni di persone. Per permettere così ai sudanesi di costruire un futuro differente da quello vissuto: le proteste del 2019 e degli anni seguenti avevano dato un segnale chiaro.

Un segnale che continua a essere forte grazie al lavoro sul terreno del Sudan Doctors Network e delle Emergency Response Rooms, associazioni locali di mutuo soccorso che continuano a organizzare una risposta sanitaria e sociale dove altrimenti non esisterebbe. L’evoluzione rapida degli avvenimenti non spaventi. La realtà è complessa, ma non per questo difficile da affrontare. Anche perché, alla fine, tutte le questioni tornano a una radice comune: la necessità di difendere la vita umana e i diritti delle persone di fronte a un sistema o a un conflitto che li opprime.Informarsi è il primo passo per farlo.

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Consigli di ascolto o lettura sul tema:

Siti di riferimento in italiano:
Nigrizia.it – impegnata attivamente per chiedere risposte anche al Governo per fare di più sul piano diplomatico e con una sezione dedicata interamente al conflitto in Sudan sul proprio sito
africarivista.it
focusonafrica.com

Su Instagram:
– i servizi del Tg3 di Giammarco Sicuro sul suo profilo per farvi un’idea della distruzione causata dal conflitto
– seguire Leila Belhadj Mohamed, giornalista che si occupa di Africa e area Swana, con una newsletter su Substack – “Matassa” che può dare una mano importante ad orientarsi

In lingua inglese:
– BBC – Reuters – Africanews – Al Jazeera
Atar Magazine, Sudan
The Continent: un progetto sudafricano che raccoglie le notizie principali dal continente e ogni settimana presenta un magazine gratuito con approfondimenti