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14:16 15 Luglio 2025 | Tempo lettura: 4 minuti

Ex Ilva, presentato il piano di decarbonizzazione da parte del Governo. Marescotti: “non vogliono farla davvero”

Il ministro Urso presenta il piano di decarbonizzazione dell’ex Ilva. Un piano che non convince chi da tempo si occupa dei numerosi aspetti che ruotano intorno alla produzione dell’acciaieria.

Autore: Redazione
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ex ilva piano decarbonizzazione
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Lunedì 14 luglio il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha presentato la prima bozza del Piano di decarbonizzazione dell’ex Iva, un piano da mettere a punto in otto anni con la realizzazione dei nuovi impianti entro il 2033. Per fare in modo che i siti produttivi continuino a essere operativi, che vengano tutelate le occupazioni e per stare al passo con le esigenze del mercato, bisogna garantire una produzione fino a 8 milioni di tonnellate annue di acciaio.

Un raggiungimento che può verificarsi solo con la costruzione di quattro forni elettrici, di cui tre da realizzare a Taranto (per una capacità produttiva complessiva di 6 milioni) e uno presso lo stabilimento di Genova (con 2 milioni di capacità) a servizio delle unità produttive del Nord. In linea con il Piano di decarbonizzazione, si prevede inoltre la realizzazione di quattro impianti di preriduzione (Dri) localizzati nello stabilimento di Taranto con il consenso degli enti locali. Con l’accordo sulla decarbonizzazione si potrà riottenere l’AIA, l’Autorizzazione integrata ambientale. 

Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione PeaceLink, ma anche attivista, professore e giornalista, da sempre in prima linea sulle questioni relative all’Ilva, si dice scettico sul piano e scrive nel suo profilo Facebook, «non hanno alcuna intenzione di fare la decarbonizzazione per ragioni economiche (costa troppo) e occupazionali (comporta un taglio devastante di posti di lavoro).

L’obiettivo di questa manovra è far firmare al Sindaco l’Accordo di Programma con la promessa della decarbonizzazione e poi fargli apparire inevitabile anche l’approvazione dell’AIA [Autorizzazione Integrata Ambientale, un’autorizzazione obbligatoria per gli impianti industriali più inquinanti, che stabilisce limiti e condizioni ambientali da rispettare, una specie di “licenza di inquinare entro certi limiti”, ndr] in quanto includeranno (nella prescrizione 3 che oggi è solo un vago richiamo alla decarbonizzazione) un riferimento all’accordo di Programma. Così l’AIA diventa prescrittiva e cogente sul rifacimento dei forni elettrici ma rinvia all’Accordo di Programma che non è prescritto e cogente».

In pratica, secondo Marescotti, il nuovo piano di decarbonizzazione dell’ex Ilva sarebbe più una manovra politica che un reale impegno ambientale. A suo dire, l’obiettivo non è tanto ridurre le emissioni quanto ottenere il via libera del Sindaco e legittimare l’approvazione dell’AIA, l’Autorizzazione Integrata Ambientale, rendendo vincolante la costruzione dei forni elettrici ma legandola a un Accordo di Programma che, in realtà, non ha valore prescrittivo. Il rischio, secondo lui, è che tutto si riduca a promesse su carta, utili solo a sbloccare autorizzazioni, senza veri obblighi per l’azienda a cambiare rotta sul piano climatico o sociale.

Passando all’aspetto più ambientale commenta: «chi ha potuto consultare i documenti sa che non vengono riportati i livelli occupazionali e che i dati della CO2 sono molto carenti. Si parla di “cattura della CO2”. Prevedono di catturarne 1,5 milioni di t/a ma le emissioni cumulative di EAF e DRI  (produzione a 2 milioni) sono 2,9. Sfugge un quantitativo annuo di 1,4 milioni di t/a che finisce in atmosfera. Moltiplicato per quattro (perché vogliono portare la produzione a 8 milioni) significa arrivare a 5,6 milioni di t/a. Un quantitativo notevole».

In altre parole, Marescotti sottolinea che i documenti ufficiali non chiariscono né i livelli occupazionali né forniscono dati precisi sulle emissioni di CO₂. Si parla di cattura dell’anidride carbonica, ma i numeri mostrano che gran parte delle emissioni continuerà comunque a finire in atmosfera: anche con la tecnologia di cattura, il piano prevede di trattenere solo 1,5 milioni di tonnellate su un totale di 2,9. E se la produzione salisse a 8 milioni di tonnellate di acciaio l’anno – come previsto – le emissioni residue quadruplicherebbero, arrivando a 5,6 milioni di tonnellate. Una quantità tutt’altro che trascurabile.

Anche sull’aspetto di ricollocazione dei lavoratori i dubbi sono tanti e i numeri non tornano. La decarbonizzazione nei fatti comporterebbe la chiusura dell’area a caldo, che prevede un organico di 5.000 addetti, e la sostituzione con tecnologie altamente automatizzate. Per domani 17 luglio è prevista la Conferenza sull’AIA in un orizzonte difficile e quanto mai controverso.

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