Deforestazione, benessere animale, biofuels: green deal sotto attacco? – 23/10/2025
In pochi giorni la Commissione europea accelera verso una transizione più industriale che ambientale, spinta dalle destre europee. Parliamo anche di altre notizie brevi dal mondo.
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Fonti
#GreenDealUE
Italia che Cambia – La Commissione Ue rinvia ancora il regolamento contro la deforestazione: cosa significa davvero
SportMediaset – L’Europa ripensa la transizione: sì ai biocarburanti
GreenMe – Foreste europee senza bussola: il Parlamento Ue boccia la legge sul monitoraggio ambientale
Italia che Cambia – Benessere animale, dietrofront dell’Ue
#RiarmoEuropeo
Valori – Fine della sostenibilità? L’Unione europea autorizza il primo fondo “verde” per le armi
Italia che Cambia (podcast) – Il Green Deal va a fare la guerra – Io Non Mi Rassegno #16
Italia che Cambia (podcast) – Europa e riarmo
#Mondo
Internazionale – Il Brasile autorizza esplorazioni petrolifere al largo dell’Amazzonia
Italia che Cambia – Cile: verso un divieto nazionale di allevamento intensivo dei polpi
Il Post – Chi è Sanae Takaichi, la prima premier donna del Giappone
Trascrizione episodio
Quella che avete ascoltato era una citazione di Ursula von der Leyen risalente all’11 dicembre 2019, giorno della presentazione ufficiale del green deal, in cui Ursula definiva il piano per la transizione ecologica europea il momento “uomo sulla luna” per l’Unione.
E in effetti il Green Deal ai tempi era una roba fuori dal normale. Un testo che, come lo definì in un’intervista l’eurodeputato Dario Tamburrano, sembrava scritto per buone parti da un permacultore. Una cosa avanti anni luce rispetto a qualsiasi legislazione si fosse vista fin lì, a quei livelli.
Quell’11 dicembre l’Ue stava promettendo ai suoi cittadini un futuro basato sulla sostenibilità, sulle rinnovabili, sulla protezione della biodiversità e il ripristino della natura, sulla agricoltura sostenibile, sulla riforestazione.
A distanza di 6 anni, alcune di quelle promesse sono state mantenute, e su tanti aspetti l’Europa è oggi un continente all’avanguardia nella legislatura ambientale. Solo che da un po’ di tempo il green deal europeo è oggetto di attacchi ripetuti che ne stanno depotenziando la struttura di base, svuotando lo scheletro. E non si capisce bene dove voglia andare la politica europea sul fronte delle politiche ambientali.
Solo negli ultimi giorni sono successe parecchie cose. Proviamo a metterle in fila e poi a fare qualche ragionamento finale.
L’altro ieri, il 20 ottobre la Commissione Ue ha proposto un nuovo parziale rinvio dell’entrata in vigore del regolamento “anti-deforestazione”, nome tecnico European Union Deforestation Regulation (EUDR). Si tratta di un regolamento fondamentale, che vuole impedire che prodotti che nella loro filiera hanno causato deforestazione da qualsiasi parte del mondo entrino nel mercato europeo.
Parliamo soprattutto di prodotti come cacao, caffè, soia, olio di palma, carne bovina, legno, gomma e derivati, che spesso arrivano da Paesi che per coltivare o produrre queste cose disboscano. E quindi il regolamento, impedendo alle aziende europee di importare quei prodotti, non solo fa sì che in Europa non ci siano prodotti che causano deforestazione, ma spinge anche i paesi produttori a diventare più sostenibili, se vogliono continuare a esportare in Ue.
Il meccanismo di attuazione di questo regolamento è abbastanza complicato, lo spieghiamo un po’ meglio in una nostra news pubblicata ieri (che trovate fra le fonti). Ma il succo è che l’Ue sta continuando a rimandare l’applicazione di questo regolamento, entrato in vigore nel 2023 ma con applicazione spostata prima a fine 2024, poi rinviata di 12 mesi a fine 2025, poi rinviata ancora.
E in mezzo a questo valzer di rinvii, ad aprile è arrivato anche un primo pacchetto “semplificazioni” per alleggerire le procedure per le aziende.
Poi a fine settembre 2025 la Commissione ha segnalato che l’IT centrale per le dichiarazioni, ovvero diciamo la piattaforma su cui le aziende dovrebbero presentare le proprie dichiarazioni di due diligence, in cui dichiarano di essere in regola e di aver fatto le verifiche sui prodotti che importano, potrebbe non reggere i carichi di invio. E quindi mette sul tavolo un ulteriore rinvio, per evitare un crash informatico.
E arriviamo a ieri/l’altro, alla proposta sempre della Commissione di mantenere la scadenza di fine anno per grandi e medie imprese, mentre per micro e piccole si propone un rinvio di un altro anno e qualche ulteriore semplificazione.
Ora, ci sono pareri discordanti: secondo il World Resources Institute, che è un istituto di ricerca sulle politiche ambientali, i pilastri del regolamento comunque restano piuttosto invariati. Mentre ONG come WWF e Greenpeace parlano invece di indebolimento mascherato.
La verità ancora non la conosciamo, perché come al solito la differenza, nelle leggi, la fanno i dettagli d’attuazione. Quindi dovremo aspettare le linee guida, l’interfaccia IT, i criteri di rischio Paese): se la “semplificazione” resta su oneri amministrativi e IT, l’obiettivo ambientale regge; se tocca tracciabilità, esclusioni o classificazioni di rischio, l’efficacia si svuota. Ecco, tutto qui il punto.
Per cui, di per sé, non sarebbe una roba particolarmente grave, o perlomeno è una roba su cui si può sospendere il giudizio. Il problema è che arriva assieme a un altro bel po’ di roba non proprio rassicurante.
Sempre martedì il Parlamento europeo ha respinto una proposta di legge della Commissione Ue, risalente al 2023, per creare un quadro comune di monitoraggio delle foreste. Una legge che fra l’altro non aveva nemmeno grosse controindicazioni per le aziende: proponeva semplicemente di raccogliere in modo armonizzato fra i paesi europei i dati aggiornati sullo stato di salute dei boschi, così da rafforzare la protezione contro incendi, parassiti e siccità. Nella stessa seduta il Parlamento – leggo su GreenMe – ha approvato un’estensione dei compiti del Gruppo permanente di esperti in materia di foreste e silvicoltura, che dovrà ora assistere la Commissione nella valutazione di nuove iniziative legislative.
Vedete che la direzione è, in generale, quella di meno norme vincolanti e semplificazione.
E non è una direzione che riguarda solo le foreste. Lunedì in una lettera ai leader UE la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha detto che la Commissione sta valutando il ruolo di carburanti a zero o basse emissioni “come e-fuels e biocarburanti avanzati” per la transizione del settore automotive. Tradotto: non solo elettrico, si guarda anche a soluzioni alternative, all’interno di una più ampia agenda per rilanciare la competitività dell’economia e dell’industria europea. Un messaggio che potrebbe aprire la strada a una revisione delle regole sullo stop alle auto con motore termico previsto per il 2035.
Nella lettera Von der Leyen cita esplicitamente il concetto di neutralità tecnologica, tanto caro alle destre e all’industria europea.
Ve lo provo a spiegare in breve così avete tutti gli elementi di comprensione. “Neutralità tecnologica” vuol dire: la politica si deve limitare a fissare l’obiettivo (ad es. tagliare le emissioni), ma non deve scegliere a priori la tecnologia con cui arrivarci; lasciando che a decidere siano mercato e innovazione. Quindi ad esempio la politica europea dovrebbe dire solo: dobbiamo ridurre del 50% le emissioni del comparto automobilistico da qui al 2030. Senza dire come. Senza mettere bandi ai motori endotermici. A quello ci pensa il mercato.
Che è un principio che può sembrare anche ragionevole, ma che poi nella pratica non funziona. E spesso diventa una scorciatoia retorica che mantiene in corsa soluzioni meno efficienti o più inquinanti, perché hanno filiere e lobby già pronte.
Pensate proprio al settore dei trasporti. Premesso che è folle immaginare una transizione 1 a 1 del parco auto europeo, con qualsiasi altra tecnologia, e che quindi inevoitabilmente dovremo andare verso un modello com molte meno auto, ma comunque il trasporto elettrico sembra essere fin qui la soluzione di gran lunga più ecologica, pur con tutti i suoi limiti. Ma un passaggio all’elettrico richiede scelte infrastrutturali nette e grossi investimenti. Servono colonnine di ricarica ovunque, standard condivisi, incentivi mirati.
Mentre ad esempio l’idrogeno ha bisogno di un’infrastruttura completamente diversa. mentre i biocarburanti comportano di lasciare in piedi l’infrastruttura attuale. Capite che la neutralità tecnologica ti porterebbe a mandare avanti tutti e 3 i modelli in parallelo e poi far scegliere il mercato. Ma vuol dire probabilmente disperdere gli investimenti, fare un sacco di spese inutili, non farne bene nessuno, e fra l’altro sappiamo già che due di questi non funzionano.
Ma cambiamo ancora ambito. Martedì sempre la Commissione Ue ha pubblicato il Programma di lavoro 2026, un documento annuale che viene pubblicato in autunno e contiene le leggi a cui la Commissione intende lavorare l’anno successivo. E — come temevano in molti — non ci sono nuove proposte di legge organiche sul benessere animale.
Una assenza che pesa, visto che quest’anno la rete di End the Cage Age aveva raccolto oltre 1,4 milioni di firme in un’ICE proprio sul benessere degli animali e sugli allevamenti, in cui si chiedeva il divieto dell’uso delle gabbie negli allevamenti.
L’Ice è uno, anzi il principale, strumento di democrazia diretta dell’architettura europea, con cui almeno un milione di cittadini UE può chiedere alla Commissione di proporre una legge. La Commissione deve esaminare la richiesta e motivare la sua decisione: non è obbligata a legiferare, ma se non mantiene gli impegni presi i promotori possono agire davanti al Tribunale dell’UE. Ed è quello che i promotori faranno.
Comunque, ecco, se prendiamo tutte queste novità assieme, e fra l’altro stiamo parlando solo degli ultimi 3-4 giorni, vedete che il quadro è quello di un’Ue che sta cambiando radicalmente rotta e infrangendo le promesse di transizione ecologica.
Qualche tempo fa, se qualcuno di voi è abbonato a ICC magari ricorderà quella puntata, in un nostro podcast per abbonati avevo intervistato l’eurodeputato Dario Tamburrano, che mi aveva parlato – in tempi non sospetti – del fatto che sembrava in atto un tentativo di svuotare dall’interno il green deal e trasformarlo in un grande piano di conversione bellica dell’economia europea. Un po’ per seguire il clima bellicista che stava attraversando i vertici di Bruxelle. Un po’ per attrarre investimenti e rianimare un’industria europea morente. Tante delle cose che aveva previsto allora sono in effetti successe, siamo persino arrivati a un piano di riarmo europeo.
Pochi giorni fa, a segnare un ulteriore passaggio in questa direzione, è arrivato un altro fatto. Come scrive Andrea Baranes su Valori, martedì 21 ottobre, “Era nell’aria da tempo, ieri è diventato ufficiale. Il primo fondo europeo che investe esplicitamente in armi è stato autorizzato dall’Unione europea a essere classificato come “sostenibile”.
Insomma, l’Ue sta virando verso una transizione più “industriale” e meno regolatoria, con parole d’ordine tipo competitività, neutralità tecnologica, semplificazioni. A spingere in questa direzione sono soprattutto le destre europee, che vogliono svuotare dall’interno il Green Deal, chiedono più flessibilità per le imprese, meno “ideologia green” e più sicurezza e riarmo, come priorità.
È importante saperlo. Non significa che tutto sia perduto. Anzi, se c’è qualcosa che la storia recente ci insegna è che i contesti possono cambiare molto rapidamente, in peggio come in meglio. e l’Ue poi è un organismo complesso, che tiene in pancia spinte e pulsioni contrastanti. Proprio ieri, ad esempio, è arrivato un timido segnale di resistenza da parte del Parlamento Ue. Oddio, spiegare questa cosa in maniera rapida e semplice è quasi impossibile ma ci provo.
C’è un altro grosso pacchetto di semplificazioni proposto dalla Commissione, si chiama Omnibus I, e “semplifica” altri due pilastri del green deal, ovvero la direttiva UE che obbliga le imprese medio-grandi a rendicontare gli impatti ambientali, sociali e di governance, e la direttiva sulla due diligence, che impone alle grandi imprese di monitorare lungo la catena del valore che siano rispettati diritti umani e ambiente.
Ecco, anche questi due blocchi sono sotto attacco, e lo sono in particolare dopo che a luglio Ursula von der Leyen ha promesso a Trump un accordo commerciale molto permissivo, in cambio di un abbassamento dei dazi.
La commissione giuridica del parlamento aveva approvato una posizione negoziale abbastanza permissiva con cui approcciarsi al cosiddetto trilogo, ovvero al confronto con Commissione Ue e coniglio europeo che porta all’approvazione finale. E ieri il parlamento doveva validare che quella espressa dalla commissione giuridica andasse bene come posizione di partenza.
Nei giorni precedenti al voto di ieri, riportano molte fonti, sono arrivate lettere congiunte USA-Qatar che chiedono di ridimensionare/stralciare la due diligence, citando rischi per export LNG e competitività. Ma ieri il Parlamento Ue ha tenuto la schiena dritta e ha bocciato la posizione della Commissione giuridica e ha chiesto una discussione della norma in parlamento. Che di per sé non è ancora una vittoria, ma perlomeno non è una resa incondizionata. È un segnale di vita, mettiamola così.
Quindi ecco, la situazione ha ancora margini di manovra. E comunque il ruolo europeo nel mondo non è così centrale in questo momento. Eravamo o potevamo essere un faro, per un periodo, in questo momento, alla vigilia di Cop 30, in questo momento non lo siamo più. ,magari torneremo ad esserlo in futuro. Ma adesso sono altri i Paesi che ambiscono alla leadership della politica climatica e ambientale globale.
Al volo, prima di chiudere. Accennavamo a Cop30. A Belém bisognerà passare dalle parole ai fatti nelle politiche climatiche, definendo meccanismi e fondi di cui si parla da anni. Inoltre ci sarà la più grande contro-COP della storia, che vedrà riuniti movimenti, organizzazioni, sindacati e popoli indigeni da tutto il mondo. Il Brasile è un paese in fermento e si propone come guida per un nuovo modo di tenere assieme politiche ambientali ed equità sociale.
Tuttavia non è esente da contraddizioni: lunedì 20 ottobre L’azienda petrolifera statale brasiliana Petrobras ha annunciato di essere stata autorizzata dal governo brasiliano ad avviare una contestatissima esplorazione petrolifera al largo dell’Amazzonia.
Intanto il Giappone ha la sua prima premier donna della storia! Si chiama Sanae Takaichi, ha 64 anni, è di posizioni molto conservatrici. Era molto vicina all’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe, che fu ucciso in un attentato nel luglio 2022. Il Giappone è un paese profondamente maschilista, scrive un articolo del NYT, e quindi l’elezione di Abe ha un peso simbolico molto importante.
Poi, si è votato in Bolivia, e ha vinto l’opposizione di centrodestra guidata da Carlos Mesa, che con il suo slogan “Capitalismo per tutti” ha superato di pochissimo il candidato del Movimiento al Socialismo (MAS), il partito dell’ex presidente Evo Morales. Un risultato riflette un paese spaccato, dove pesano crisi economica, conflitti interni al MAS e proteste per la gestione del litio e delle risorse naturali. Mesa promette una linea più conciliante con i mercati e le istituzioni internazionali, ma dovrà fare i conti con una società civile molto mobilitata e con la sfida della tutela ambientale.
Infine il Cile, potrebbe diventare il primo paese al mondo ad avere un divieto nazionale di allevamento intensivo dei polpi. Infatti la deputata Marisela Santibáñez, con il supporto di altri sette rappresentanti del Congresso, ha presentato un disegno di legge per vietarlo, che ora è al vaglio della Commissione Ambiente e Risorse Naturali. Al momento solo al mondo ci sono solo due Stati americani (Washington e California – con quello delle Hawaii che si sta per accodare) che in seguito a una massiccia campagna di pressione nel 2024 hanno vietato di allevare polpi.
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