Mamdani mania: cosa ci dice il boom del nuovo sindaco di New York – 6/11/2025
Dall’elezione a sindaco di New York del socialista Zohran Mamdani alle nuove riduzioni di emissioni approvate dall’Unione Europea in vista della COP30, tra ambizioni climatiche, flessibilità e leadership ambientale in bilico.
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Fonti
#Mamdani
Italia che Cambia – Zohran Mamdani, il nuovo sindaco di New York che pensa ad ambiente, Palestina e mobilità sostenibile
Il Post – Zohran Mamdani ha vinto le elezioni per il sindaco di New York
Il Post – Zohran Mamdani e la questione dell’inesperienza
Il Post – Negli Stati Uniti i democratici hanno vinto le elezioni locali
la Repubblica – Perché Mamdani non può essere eletto presidente degli Stati Uniti
#Ndc UE
Italia che Cambia – L’Europa approva i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni in vista della COP30
Trascrizione episodio
Il personaggio degli ultimi giorni sulla stampa occidentale è indubbiamente Zohran Mamdani, neoeletto sindaco di New York. Se ne parla tanto perché Mamdani è molto giovane, è musulmano, è socialista e la sinistra occidentale lo ha già incoronato l’anti Trump, in maniera forse un po’ avventata, ma anche con qualche ragione. Tuttavia il fatto che se ne parli così tanto qui, in Italia, in Europa, ci dice anche molto su quanto ancora il nostro immaginario sociale e politico sia molto Usacentrico.
Ma andiamo con ordine. Il Post è uno dei giornali che ha dedicato più spazio, in proporzione, all’elezione di Mamdani. È abbastanza normale, il Post è un giornale molto attento a quello che succede negli Usa, il suo direttore Francesco Costa è uno dei maggiori esperti di politica Usa fra i giornalisti italiani, per cui prendo da lì un po’ di materiali per raccontarvi cosa è successo.
Martedì si è votato in diversi “Zohran Mamdani, il candidato del Partito Democratico, ha vinto le elezioni per il sindaco di New York: entrerà in carica il prossimo 1° gennaio per un mandato di quattro anni. È un risultato storico per vari motivi: a 34 anni Mamdani diventerà il sindaco più giovane da oltre un secolo, e anche il primo musulmano. Ha posizioni molto progressiste, si definisce socialista – una cosa ancora insolita negli Stati Uniti – e oltre al Partito Democratico fa parte dei Socialisti Democratici d’America (DSA), come la nota deputata Alexandria Ocasio-Cortez, anche lei di New York.
Da settimane Mamdani era il favorito nei sondaggi, e la sua vittoria era attesa. Con il 91 per cento dei voti scrutinati, ha preso il 50,4 per cento dei voti, contro il 41,6 per cento di Andrew Cuomo, che come lui fa parte del Partito Democratico ma si era candidato da indipendente dopo aver perso le primarie. Il candidato Repubblicano Curtis Sliwa ha preso il 7,1 per cento”.
In generale – perché non si votava solo a New York – quelle di martedì sono state elezioni favorevoli ai democratici un po’ ovunque. Le loro candidate e candidati sono stati eletti in tutte le competizioni principali, tra cui quelle per le governatrici di Virginia e New Jersey, e per i sindaci di varie città, tra cui New York, ed è passato anche un referendum promosso dal governatore della California per modificare i confini delle circoscrizioni elettorali in favore dei democratici, in risposta a una iniziativa simile adottata dai repubblicani (sarebbe una roba un po’ complessa da spiegare, che ha a che fare con un fenomeno chiamato gerrymandering, ma ne parliamo un’altra volta).
Comunque il voto di New York è stato sicuramente il più significativo ed è stato soprattutto uno scontro interno ai democratici. Perché Mamdani ha appunto sconfitto Andrew Cuomo, che rappresenta l’altra fazione, l’altra anima dei dem, quella molto più legata all’establishment.
Comunque, vi leggo dalle nostre news chi è Mahmdani. “Musulmano e socialista. Sono queste le due parole più utilizzate per definire Zohran Mamdani, il nuovo sindaco di New York, eletto con il partito democratico e originario dell’Uganda, dove è nato 34 anni fa da madre induista e padre islamico, entrambi indiani. Il programma politico presentato da Mamdani in una campagna elettorale caratterizzata da azioni e discorsi virali – il sindaco ha un background nel campo artistico e comunicativo – è incentrata su tre capisaldi: tassazione dei redditi più elevati, gratuità del trasporto pubblico e implementazione delle politiche per l’infanzia”.
“Mamdani si è districato in modo quasi virale dagli attacchi politici; durante i festeggiamenti per la vittoria ha dichiarato: “Che tu sia un immigrato, un membro della comunità trans, una delle tante donne di colore che Donald Trump ha licenziato da un lavoro federale, una madre single che aspetta ancora che il costo della spesa scenda, o chiunque altro con le spalle al muro, la tua lotta è anche la nostra. Donald Trump, dato che so che stai guardando, ho tre parole per te: alza il volume!“.
Oltre ad aver abbracciato una politica economica di stampo socialista – incentrata sulla tassazione delle persone più ricche per incrementare i servizi pubblici, un’operazione stimata in circa 10 miliardi di dollari –, Zohran Mamdani si è espresso anche con risolutezza su alcuni temi centrali anche nella politica federale, come quello ambientale e il posizionamento rispetto al genocidio palestinese. Soprattutto in merito a quest’ultimo, il neoeletto ha fatto dichiarazioni che hanno messo in imbarazzo lo stesso partito che lo appoggia.
Per quanto riguarda le politiche ambientali, Zohran Mamdani ha sempre messo in primo piano il tema della decarbonizzazione e della lotta ai cambiamenti climatici nel corso della campagna elettorale, dichiarando che “clima e qualità della vita sono di fatto due facce della stessa medaglia”. In particolare, il suo impegno per l’ambiente si riversa in due dei suoi tre punti chiave. Il primo è la mobilità: “Implementare il trasporto pubblico di massa è il più grande regalo che possiamo fare alla lotta ai cambiamenti climatici”, ha dichiarato. La sua visione infatti connette la crisi ambientale con quella sociale.
Anche il suo passato politico testimonia una spiccata attenzione per i temi ambientali, come lo strenue supporto fornito al Build Public Renewables Act – una legge statale sulla realizzazione di impianti di energie rinnovabili su vasta scala – e l’opposizione a diversi progetti di infrastrutture per fonti fossili. Il taglio green delle suo politiche emerge anche nel pilastro dedicato all’istruzione: una delle proposte principali è quella di abbattere l’impronta ecologica di 500 scuole cittadine con impianti solari, sistemi ecologici ed efficienti di raffrescamento e riscaldamento e ampie aree verdi.
Insomma, Mamdani ha tutte le caratteristiche per essere il nuovo idolo della sinistra. Di una sinistra che vince senza snaturarsi. Molti lo vedono già come il nuovo anti Trump (anche se non potrà mai diventare Presidente Usa perché non è nato negli Usa). Il suo stile molto accattivante, il suo riuscire ad essere di sinistra vera, ma in maniera che non suoni polverosa, come a volte succede a chi è di sinistra, vedrete che ispirerà, con fortune alterne, le sinistre di mezza Europa. E vi dico anche già che in molti proveranno a scimmiottarne l’estetica e la comunicazione, prevedo spesso con esiti abbastanza trash, senza capirne i messaggi. Ma tant’è.
Detto ciò, la quantità di notizie che ha invaso i giornali sul fenomeno Mamdani dice anche molto di noi e di come la società italiana, ma su questo direi quella europea in generale, sia ancora molto Usacentrica. Cioé, siamo ancora convinti che la politica mondiale coincida con la politica Usa, quando da anni non è più così. Sui giornali cinesi, indiani, di molti paesi africani, mamdani non viene nemmeno nominato. La stragrande maggioranza della popolazione mondiale non sa chi sia, e in buona parte si sbatte anche di quello che dice o fa Donald Trump. E siamo noi ad essere minoranza, numericamente ma sempre più anche come peso sulle sorti delle società umane nel mondo.
Ieri mattina, dopo una lunga notte di negoziati, i ministri dell’Ambiente europei hanno approvato a maggioranza qualificata il nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 in vista di COP30, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che inizia lunedì a Belem in Brasile.
Era una decisione molto attesa, l’Ue era infatti fra i pochi stati o gruppi di stati che partecipano alla conferenza a non aver ancora presentato i propri obiettivi di riduzione delle emissioni. I cosiddetti NDC, ovvero i Nationally Determined Contributions, che sono i contributi nazionali volontari — ma misurabili — con cui ogni Stato aderente all’Accordo di Parigi dice come intende fare la sua parte per contrastare il cambiamento climatico. Sono uno degli ingredienti fondamentali delle COP.
Cosa prevede questo aggiornamento? E com’è? È buono? Non è buono? Perché c’era parecchia attesa anche per capire quali sono le ambizioni climatiche di questa nuova Europa, se vuole comunque provare a restare uno dei leader globali sul tema della crisi climatica o se molla definitivamente il colpo.
Io inizio con lo spiegarvi le novità, poi commentiamo. Allora, innanzitutto viene aggiunto un nuovo traguardo intermedio di riduzione delle emissioni al 2035. Fino ad oggi c’era l’obiettivo di riduzione del 55% al 2030, del 90% al 2040 e del 100% al 2050. Il nuovo traguardo invece prevede una riduzione delle emissioni nette compresa fra il 66,25% e il 72,5% entro il 2035, mentre gli altri obiettivi restano invariati. Che già è qualcosa perché c’era anche chi spingeva per abbassare la soglia del -90% di emissioni nette al 2040.
In generale però il nuovo piano Europeo approvato l’altroieri, è all’insegna della flessibilità. Un concetto molto caro alla nostra premier Giorgia Meloni, che ha spinto perché venisse introdotto anche in sede europea. Che vuol dire flessibilità? Vuol dire che c’è più margine di scelta su come raggiungere gli obiettivi prefissi.
Ad esempio, una novità introdotta è l’aumento delle quote di possibili “crediti esteri” nel conteggio delle riduzioni di emissioni. Provo a spiegarvela in maniera semplice: l’Accordo di Parigi permette a un Paese di calcolare come proprie anche delle riduzioni delle emissioni fatte altrove, tramite un sistema di crediti. Tipo, io finanzio un progetto per proteggere una foresta in Indonesia, o un progetto di riforestazione in Brasile. E quindi mi prendo il merito — contabile — di quelle emissioni risparmiate.
Che però è una pratica controversa. Innanzitutto perché spesso i progetti che vendono crediti di carbonio sono fuffa (oltre il 90% secondo un’inchiesta del Giuardian di qualche anno fa), poi perché se i conti non sono precisissimi, rischi di conteggiare due volte le stesse riduzioni. O di sopravvalutarle. O ancora di considerare come “aggiuntivi” progetti che in realtà si sarebbero fatti lo stesso. Ma soprattutto spesso diventa una scappatoia per evitare di ridurre davvero le emissioni a casa propria ed evitare di prendere decisioni e fare cose scomode, ma che vanno fatte.
Nel nuovo piano europeo, la quota consentita di questi crediti esteri sale dal 3% al 5% rispetto all’obiettivo 2040, con possibilità di valutare in futuro un’ulteriore estensione del 5%. Il governo italiano ha spinto molto in questa direzione, presentandola anche come un’opportunità di cooperazione climatica con Paesi africani. Ma secondo molte reti ambientaliste — e lo stesso comitato scientifico della Commissione Europea — questa mossa mina l’integrità ambientale dell’intero piano.
Un’altra novità riguarda lo slittamento dell’ETS2, cioè la seconda fase del sistema europeo di scambio delle emissioni, che dovrebbe estendersi anche a edifici e trasporti. Anche qui scusate ma devo fare una mini spiegazione. Al momento esiste un sistema ETS di scambio di crediti di carbonio interno all’Ue. Immaginatevelo come un meccanismo di quote. Ogni anno esistono una serie di permessi di inquinare che le aziende europee attive in alcuni settori possono acquistare e scambiarsi secondo logiche di mercato. Il numero di questi permessi, o quote, o crediti, cala di anno in anno fino a raggiungere lo zero, e quindi in teoria questi permessi sono sempre più rari e costosi e questo dovrebbe spingere le aziende a compiere la transizione ecologica. Il problema è che questo sistema attualmente riguarda un numero piuttosto piccolo di settori: gli impianti di produzione di energia, l’aviazione, l’industria pesante.
Con l’ETS2 si dovrebbe introdurre un secondo mercato del carbonio parallelo, che riguarderà invece la mobilità e il riscaldamento casalingo. In cui i produttori e i distributori dovrebbero comprare queste quote. Questo dovrebbe rendere più costoso usare combustibili fossili e incentivare pompe di calore, isolamento termico, mobilità pulita. Ecco, l’applicazione di ETS 2 che doveva iniziare nel 2027 slitta di un anno, al 2028. Questo in teoria per non pesare sulle casse delle famiglie soprattutto dove le bollette dell’energia sono già care, ma vuol dire anche rallentare la transizione.
Quindi per fare due somme: l’obiettivo di riduzione del 90% al 2040 resta sulla carta, e questo è importante. Ma le concessioni fatte — crediti esteri, slittamenti — rischiano di renderlo meno solido nella pratica. Considerate che nel 2023 la riduzione di emissioni nette dell’Ue era del 37% rispetto al 1990 che è stato l’anno di picco. Servirebbe uno scatto per arrivare al 55% entro il 2030. Non è impossibile, ma ecco, sarebbe meglio investire in misure per fare in modo che i rincari non pesino sulle famiglie, più che far slittare i regolamenti.
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