12 Nov 2024

Elon Musk vuole dominare il mondo? – #1018

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Elon Musk è praticamente onnipresente a fianco di Donald Trump. Ma che intenzioni ha l’uomo più ricco del mondo? Vuole forse conquistare il mondo? Parliamone, seriamente. Parliamo anche della posta in gioco a Cop29 di Baku, di un comitato sardo nato per contrastare il DDL sicurezza, delle notizie false sul clima che stanno complicando le cose in Spagna dopo il nubifragio, delle fusioni nel mondo del biologico in Belgio e di una bella novità che riguarda i cervi in Abruzzo.

In molti se lo stanno chiedendo in questi giorni, sui giornali, sui social, nei bar. E allora chiediamocelo anche noi. Elon Musk vuole governare il mondo? So che può sembrare una esagerazione, una roba da cattivo della Marvel più che da essere umano in carne e ossa, ma se mettiamo i vari pezzetti al loro posto, un po’ il dubbio viene. E almeno la domanda bisogna farsela.

In questi giorni i giornali descrivono un Musk presentissimo al fianco di Trump in ogni occasione, che praticamente alloggia nella sua villa a Mar a lago in Florida, fa i comizi insieme a lui, lo consiglia su qualsiasi cosa, secondo la CNN dice la sua su tutto, partecipa alla scelta degli uomini della nuova Amministrazione. C’era anche lui durante la telefonata a viva voce con Zelensky e altri leader. Probabilmente ha giocato un ruolo non da poco nella sua vittoria elettorale.

E in tanti si chiedono come mai. Da cosa dipenda questa sua presenza costante. Peraltro, come ricorda Travaglio in un editoriale, Musk in passato è stato molto critico con Trump e ha spesso supportato i democratici, come buona parte del mondo digital e della silicon valley. 

Il fatto è che, secondo alcuni analisti, Musk potrebbe avere un ruolo ancora più importante rispetto a qualsiasi sarà il suo eventuale incarico formale, in queste ore ci sono molte ipotesi. Potrebbe essere, nei fatti, una sorta di spin doctor di Trump, colui che detta la linea al Presidente americano, che comunque, va ricordato, ha 78 anni ed è il presidente più anziano ad essere stato eletto nella storia degli Usa. 

E questa cosa apre ad alcuni interrogativi non da poco. Perché il tassello della politica era forse l’ultimo tassello che mancava a Musk, che è l’uomo più ricco del Pianeta e che già presidiava ogni settore della società umana del presente e soprattutto del futuro. Vi faccio un rapido ripasso.

Musk possiede Tesla, il principale player nell’ambito della mobilità elettrica, che è la mobilità del futuro, e che un ruolo di primo piano anche nelle batterie di accumulo, che sono sempre più importanti per l’energia. Con i suoi progetti legati all’accumulo di energia, alle reti di ricarica globali e a tecnologie avanzate per veicoli autonomi, Musk sta costruendo un ecosistema in cui la sua azienda può dominare il mercato energetico, posizionandosi come leader nella transizione ecologica. Tesla potrebbe diventare il veicolo di una “infrastruttura intelligente” capace di monitorare e gestire flussi energetici, decisioni di trasporto e accesso alla mobilità. Quindi potenzialmente controlla il modo con cui le persone si spostano.

Ha starlink, la rete satellitare lanciata da SpaceX, che non si limita a fornire internet in aree rurali e inaccessibili, ma costituisce una rete di telecomunicazioni globale, indipendente dai tradizionali provider nazionali. Starlink possiede i due terzi (due terzi!) di tutti i satelliti in orbita ed è diventato anche un mezzo fondamentale per mantenere la connessione in zone di conflitto, come si è visto in Ucraina. Circa un mese fa il New York Times ha lanciato l’allarme sullo strapotere di Mask in ambito satellitare, un settore in cui mancano totalmente regole. 

Come scriveva il giornalista del NYT l’allarme è dovuto anche alla personalità eccentrica di Musk, un “genio innovatore che da solo può decidere se interrompere l’accesso a internet via Starlink per un cliente o un Paese”. Gli eserciti passano da lui per pianificare le strategie militari. Ha accesso a quantità infinite di dati e informazioni. Pensate adesso che ruolo può avere Musk in ucraina, essendo sia il consigliere di Trump che anche colui che permette fisicamente all’esercito ucraino di comunicare.

Ha la robotica, perché grazie a Tesla ha sviluppato un settore di robotica avanzato, con i robot androidi Tesla Optimus, presentati da Musk in persona all’ultimo evento Cybercab in grado di camminare fra le persone, conversare, servire da bere e fare accoglienza. In un recente video l’imprenditore e divulgatore Marco Montemagno buttava là l’ipotesi, un po’ scherzando e un po’ no, che Musk volendo avrebbe potuto costruire il suo esercito di Robot per fare la guerra o la difesa.

Ha comprato X, con cui si è accaparrato un social – anzi forse IL social – perché l’ex Twitter è probabilmente il social che è meno influenzato dai trend del momento e più stabile, quello insieme a Linkedin dove sono presenti anche gli opinion leader più influenti. E Musk non ha mai nascosto la sua intenzione di trasformarlo in una “piattaforma di tutto”, con cui potrà influenzare l’infosfera globale. Grazie a X, Musk ha accesso a miliardi di utenti e può innescare tendenze, orientare le conversazioni e, in sostanza, plasmare l’opinione pubblica su scala planetaria. Molti analisti stanno notando come il successo di Trump sia passato molto anche attraverso i trend su X. The New Yorker ha analizzato l’attivismo politico crescente di Musk, sottolineando come utilizzi la piattaforma X per esprimere opinioni su questioni internazionali, dalla politica venezuelana alle elezioni statunitensi, mostrando una propensione a intervenire in dibattiti politici globali.

Ha la sua azienda di intelligenza artificiale, Xai, con cui ha sviluppato Grok, un Chatbot che soprattutto nella sua versione 2.0 sembra aver colmato molte lacune ed essere ormai alla pari con i principali competitor globali. Fra l’altro Grok è integrato in X, può accedere direttamente ai dati di X e interagire con gli utenti.

Ha Neuralink, la società che sviluppa interfacce neurali cervello-computer. Al momento è in fase di test e sembra stia dando risultati importanti su pazienti umani tetraplegici, ma se implementata ad ampio raggio potrebbe dare accesso diretto all’esperienza percettiva e cognitiva umana. Potrebbe avere un impatto diretto sulla coscienza e la mente umana. Capite che anche qui, un’innovazione di questo tipo, gestita da un’azienda privata, potrebbe rivoluzionare il concetto stesso di libertà e autonomia mentale.

E poi c’è SpaceX, il progetto spaziale con cui Musk punta, non ho mai capito quanto sul serio, a colonizzare Marte e andare oltre i limiti del pianeta Terra. Musk sostiene che la specie umana debba diventare “multiplanetaria” per sopravvivere. Ma la visione di una colonia su Marte, completamente controllata da una sua impresa, suggerisce che Musk ambisca a creare non solo una nuova civiltà, ma una civiltà connessa e costruita secondo le sue idee e visioni. In un simile scenario, Musk diventerebbe il pioniere di una nuova società, un’autorità fondante di una comunità interplanetaria.

Ora, il ragazzo è indubbiamente sveglio e un filino megalomane, ma proprio una ‘ntecchia. Il problema è che, se di gente sveglia e megalomane sono pieni il mondo e la storia dell’umanità, io non ricordo un momento in cui un’unica persona aveva così tanto potere concentrato nelle sue mani. Perché sì, ci sono stati i vari Ottaviano Augusto, Alessandro Magno, Gengis Khan, ma qui non si tratta solo del raggio della sua influenza, ma dei settori che riesce a controllare o influenzare contemporaneamente. 

E paradossalmente, l’unico freno al suo potere non sembrano al momento gli stati o i politici, ma altri tizi come lui, con le sue stesse ambizioni, che vorrebbero fare la stessa cosa, tipo Mark Zuckerberg, Jeff Bezos e così via.

Ieri, dicevamo, è iniziata Cop29 a Baku, molto in sordina, come previsto. Lo scorso anno il fatto che la conferenza annuale sul clima delle nazioni unite si fosse tenuta a Dubai, negli EAU, uno dei principali stati produttori di petrolio al mondo, aveva destato scalpore e dibattito. 

Quest’anno, che ad ospitare è l’Azerbaijan, altro petrostato, in realtà non c’è nemmeno dibattito, nemmeno polemiche, perlomeno non troppe. Comunque, vediamo meglio il programma di queste giornate e gli obiettivi che si vorrebbero ottenere da questo incontro. Innanzitutto: l’inaugurazione c’è stata ieri e si continuerà almeno fino al 22 novembre, almeno perché come sappiamo a volte i negoziati proseguono anche oltre la data di scadenza. 

L’obiettivo, come racconta Andrea Barolini su Valori, è soprattutto superare la stagnazione nell’azione climatica che ha caratterizzato le ultime almeno 4 conferenze ONU sul clima che hanno segnato pochi progressi concreti, specialmente nel campo della mitigazione. E in parallelo i governi hanno faticato ad approvare roadmap ambiziose. 

Secondo l’Unep, il programma ambientale dell’ONU, gli attuali impegni governativi porterebbero a un riscaldamento globale tra 2,6 e 3,1°C, un valore critico considerato che gli eventi climatici estremi di oggi si verificano già a un riscaldamento di 1,3°C. 

Alla Cop29 si spera di uscire con una “road map” e nuovi impegni concreti per contrastare questa emergenza. Un obiettivo importante riguarda il finanziamento climatico: i Paesi ricchi avevano promesso alla Cop15 di Copenaghen (2009) di donare 100 miliardi di dollari l’anno ai Paesi più poveri per l’adattamento ai cambiamenti climatici, promessa mantenuta solo nel 2022. A Baku si attende un nuovo obiettivo collettivo su questi finanziamenti, cruciale per supportare le economie vulnerabili di fronte alla crisi climatica.

Sul Guardian, l’attivista svedese e fondatrice di FFF Greta Thunberg denuncia come per il vertice sia stato scelto il tema della “Cop della pace”, ma si teme che questo possa essere solo un tentativo del regime azero di distorcere la realtà delle violazioni in corso. Violazioni dei diritti sociali e civili e violazioni del diritto al futuro, in un paese che basa l’interessa del suo Pil sulle fonti fossili e che non sembra seriamente interessato a una transizione verde. 

La comunità internazionale – scrive Thunberg – deve invece applicare sanzioni immediate, interrompere le importazioni di combustibili fossili dall’Azerbaijan e fare pressioni per la liberazione dei prigionieri politici e la sicurezza delle minoranze.

A proposito di attivismi, e governi che li contrastano, anche da noi la situazione non è delle migliori. Non siamo ovviamente a livelli paragonabili, siamo da questo punti di vista in una parte di mondo ancora privilegiata, dove mediamente, e con qualche eccezione, non si rischia la vita né il carcere per reati d’opinione o di protesta. 

Ma proprio perché abbiamo questa fortuna, è importante presidiarla quando ci accorgiamo che viene indebolita, messa a rischio. Perché quelli che oggi sembrano diritti acquisiti, possono essere rimessi in discussione più facilmente di quanto pensiamo. 

Per questa ragione, credo, in Sardegna, a Sassari, è nato il Comitadu Tataresu A Fora Su DDL 1660, che oggi raccontiamo su SCC in un articolo a firma di Lisa Ferreli. Comitato che a sua volta fa parte della rete nazionale “Liberi/e di lottare NO DDL 1660,” per contrastare – lo avrete intuito – il disegno di legge 1660, considerato una minaccia per i diritti democratici e la libertà di dissenso. 

Ma che cos’è il DDL 1660? Si tratta del famoso DDL sicurezza, di cui abbiamo parlato più volte anche qui in rassegna, approvato dalla Camera dei Deputati il 18 settembre che inasprisce le pene per atti di protesta e introduce misure contro il dissenso pubblico, come il “daspo urbano” e sanzioni per il blocco stradale o ferroviario. 

Visto che in Sardegna c’è una grossa tradizione di attivismo, proteste pacifiche, e mobilitazioni, la cosa non sta passando liscia. Tra le norme contestate ci sono articoli che prevedono pene severe per chi organizza rivolte in carceri o centri di rimpatrio, e limitano ulteriormente il diritto di protesta. 

Nel Sud-est della Spagna, in particolare nella Comunità Valenciana, il ritorno alla normalità è ancora lontano dopo l’alluvione che ha colpito la regione. Come abbiamo raccontato giorni fa però, si stanno diffondendo tante notizie false sull’origine del nubifragio.

La novità, il motivo per cui ne parlo oggi, è che un articolo del Linkiesta svela come queste fake news stiano in realtà creando molta confusione anche nelle persone che in Spagna sono state colpite dal nubifragio. Per cui, accanto a un comprensibile risentimento verso l’immobilismo e le responsabilità delle istituzioni, si sta diffondendo anche una cultura basata su fake news diffuse soprattutto da gruppi di estrema destra che per attaccare il governo e l’amministrazione locale cavalcano la rabbia della popoalzione. 

Ad esempio, racconta Roberta Cavaglià su Linkiesta che – leggo – “Nei gruppi di WhatsApp e Telegram di queste formazioni si organizzano raccolte di alimenti e oggetti destinati “al popolo spagnolo” (escludendo quindi le persone migranti e romaní, che fanno parte del tessuto sociale delle zone più colpite dall’alluvione) e diffondono notizie false o fuorvianti sulle cause dell’alluvione. 

Tra queste, il video di una nave «piena di antenne come una centrale elettrica» che avrebbe portato a una «manipolazione climatica»: in realtà, come segnala il sito di fact-checking spagnolo Maldita.es, il video è stato girato a Istanbul nel 2017. Più nello specifico, l’alluvione sarebbe stata provocata da installazioni, come quella presente sulla nave, legate al progetto Haarp acronimo di High frequency active auroral research program, un programma che esiste davvero negli Stati Uniti e che studia la ionosfera, una delle zone superiori dell’atmosfera terrestre, attraverso l’uso di segnali radio. Questi segnali, tuttavia, non hanno la capacità di alterare il clima o il tempo atmosferico. 

La stessa teoria della cospirazione è stata anche utilizzata per accusare il Marocco di aver «manipolato il clima» per rovinare il raccolto delle arance nella Comunità Valenciana e favorire quindi i coltivatori marocchini.

Altre teorie si rifanno invece al franchismo, accusando il governo Sánchez di aver demolito quattro bacini costruiti dal dittatore Francisco Franco nel 1957 vicino al nuovo corso del fiume Turia, sviato dopo essere esondato lo stesso anno, provocando la morte di ottantuno persone e allagando la città di Valencia. Le infrastrutture demolite negli ultimi anni sono in realtà dighe obsolete o di piccole dimensioni che non sono costruite per contenere acqua. Inoltre, le demolizioni sono iniziate prima dell’arrivo al governo di Pedro Sánchez nel 2018”. 

Tutto ciò si va a mescolare con appunto un risentimento verso le istituzioni comprensibilissimo, ma rischia di far sparare il colpo nella direzione sbagliata. 

La gestione dell’emergenza infatti, racconta ancora Linkiesta, ha evidenziato inefficienze istituzionali: ritardi nei soccorsi, disorganizzazione nel coordinamento dei volontari e disaccordi tra il governo regionale e quello centrale. Il governo regionale accusa il ministero della Transizione ecologica di aver disattivato l’allerta idrologica, ma il ministero ha negato tale responsabilità. Sánchez ha annunciato un decreto legge per supportare le vittime con 10,6 miliardi di euro, ma l’opposizione lo accusa di sfruttare la tragedia per scopi politici.

Insomma, ci sta tutto il malcontento, la rabbia, le richieste verso le istituzioni. Il problema è che, circondati da questa nebbia di notizie false e mezze verità, si rischia di criticare le istituzioni per le ragioni sbagliate e di fare le richieste sbagliate, quando invece sarebbe fondamentale essere lucidi. 

Certo è che se possiamo capire la scarsa lucidità di chi lotta letteralmente nel fango per far riemergere oggetti, case, a volte persone, ecco noi questa scusante non l’abbiamo, e abbiamo la responsabilità di ragionare lucidamente, di non farci abbindolare, di non credere a qualunque teoria stramba ed esotica senza nemmeno verificare le fonti e la veridicità di quello che ci arriva.

Qualche settimana fa abbiamo raccontato su ICC dell’unione fra Girolomoni e La Terra e il Cielo, due storici marchi del bio marchigiano, con Girolomoni che di fatto ha comprato La Terra e il Cielo che era in crisi da anni perché – come mi ha raccontato il suo fondatore Bruno Sebastianelli – non è riuscita a reggere l’impatto della concorrenza del biologico a basso costo prodotto a livello industriale.

Ecco, cose simili non avvengono solo in Italia. C’è un articolo sul quotidiano belga Le Soir a firma di Frédéric Delepierre che racconta come stiano aumentando le fusioni tra grandi catene di negozi di bio, come Farm e Sequoia, che si stanno ingrandendo e collaborano con grandi grossisti internazionali per approvvigionarsi di prodotti. 

Un fenomeno che rende più difficile per i piccoli produttori locali inserirsi nella rete di distribuzione di questi negozi, poiché non hanno le stesse capacità produttive e non riescono a competere con i prezzi e le quantità richieste dalle grandi centrali d’acquisto. E quindi finiscono fuori mercato, sostituiti dai grandi fornitori belgo-olandesi.

Un fenomeno particolarmente accentuato nella regione vallona dove tanti piccoli produttori di alimenti biologici rischiano di essere tagliati fuori dai mercati di distribuzione principali e faticano a far fronte ai criteri di prezzo e standard richiesti dai grandi grossisti.

L’articolo parla anche di come questo fenomeno stia portando a una grande concentrazione nel mercato del biologico e di come questo renda difficile mantenere una produzione biologica di prossimità, vicina ai consumatori.

Inoltre sappiamo anche che i piccoli contadini biologici sono custodi del suolo, sono un presidio contro il dissesto idrogeologico, contro la cementificazione e sono fondamentali per la resilienza alimentare, come abbiamo visto durante il periodo del covid. Quindi ecco, forse andrebbero fatte politiche per incoraggiare quel tipo di produzione, così come i fondi europei all’agricoltura potrebbero essere reindirizzati maggiormente verso questo tipo di produzione, che invece al momento fatica anche ad accedere ai fondi, spesso, che sono proporzionali alla quantità di terreno.

Chiudiamo con una bella notizia. Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso delle associazioni LAV, LNDC Animal Protection e WWF Italia, e ha sospeso la delibera della Giunta Regionale abruzzese che prevedeva l’abbattimento di 469 cervi, inclusi i cuccioli. 

Questo successo legale rappresenta un precedente importante, poiché il Consiglio ha stabilito che la programmazione venatoria deve basarsi su dati certi e raccolti secondo la legge, cosa che in questo caso non è avvenuta. 

La decisione è stata accolta con soddisfazione da numerose associazioni e sostenitori della causa, inclusi cittadini e personalità del mondo culturale che avevano partecipato alla mobilitazione, raccogliendo 136mila firme e decine di migliaia di e-mail di protesta.

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