10 Ott 2023

Gaza sotto assedio, Israele taglia acqua, cibo ed energia – #808

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Dopo l’attacco di Hamas e le prime ritorsioni, il governo d’Israele alza pesantemente il livello del conflitto imponendo una specie di assedio alla striscia di Gaza, alla quale ha interrotto ogni fornitura, compresa quella di acqua, cibo ed energia. E pensa ad un’invasione militare di Gaza. Parliamo anche del prossimo incontro fra gabriel Boric, leader cileno, e i vertici cinesi, della situazione in Afghanistan dopo il tremendo terremoto, del voto che questo giovedì i rappresentanti dei paesi Ue daranno sul glifosato, del Nobel per l’economia a Claudia Godin, la prima a studiare la disparità fra i sessi in ambito economico e del lavoro e infine della nascita di Sardegna che Cambia.

Ieri abbiamo raccontato, cercando anche di spiegarlo, del violento attacco aereo e terrestre (con migliaia di missili e infiltrazione di miliziani) condotto da Ḥamās contro diverse località di Israele, e della violenta ritorsione di Israele. 

Molti giornali di ieri e dei due giorni precedenti davano spazio soprattutto alle vittime e agli ostaggi israeliani. In parte perché si trattava soprattutto di civili, ad esempio anche i partecipanti a un rave/festival musicale in cui sono morti in 260, perlopiù ragazzi e ragazze, ecc. In parte perché nel conflitto isrealo-palestinese è eccezionale il fatto che muoiano degli israeliani, mentre è molto meno eccezionale – e quindi fa meno notizia – il fatto che muoiano dei palestinesi. 

Come racconta un articolo del Post “È da decenni, quanto meno dai tempi della guerra dello Yom Kippur, nel 1973, che Israele non subisce così tante perdite, soprattutto tra i civili. Al momento i morti sono più di 900, ma è probabile che il conteggio salirà ancora”, mentre negli ultimi anni si contavano in media una decina di morti l’anno per via di attacchi terroristici palestinesi. Con questo ovviamente non voglio dire che non sia tragica la morte di 900 persone, di cui molti civili, lo è eccome. È anche tragico, come spesso rileviamo, che i media occidentali – ma probabilmente succede la stessa cosa a parti inverse, in altre parti del mondo – diano valori diversi alle vite umane, così come danno poco valore ai morti per i terremoti in Marocco, Siria e Afghanistan e per i nubifragi in Libia. 

Comunque, dicevamo, se fino a ieri i giornali commemoravano e raccontavano perlopiù i morti israeliani, oggi, per forza di cose, cambiano approccio. La violenza della reazione del governo israeliano, simile per alcuni versi alla reazione Usa post 11 settembre, sta monopolizzando le prime pagine dei quotidiani mondiali.

Comunque, al solito, partiamo dai fatti. Ieri, come racconta Limes, “il governo di Benjamin Netanyahu ha dichiarato lo stato di guerra. Dopo aver condotto i primi bombardamenti ritorsivi, le Forze armate dello Stato ebraico si apprestano a organizzare un grande assedio via terra della Striscia di Gaza. Il capo del Comando meridionale e già ministro della Difesa Yoav Galant ha ordinato il blocco totale: “Niente energia, niente cibo, niente acqua, niente gas; tutto chiuso”. Galant ha quindi chiosato con disprezzo: “Abbiamo a che fare con bestie umane e saranno trattate come tali”.

Il che è un bel problema per Gaza, perché come raccontavamo ieri si tratta di un exclave, ovvero una striscia di terra scollegata dal resto della Palestina e circondata dal mare e da Israele, quindi praticamente impossibilitata a rifornirsi autonomamente. 

Insomma, come continua l’articolo su limes, “L’azione bellica di terra non contemplerebbe la sola liberazione di Sderot e dei kibbutz catturati dal Movimento islamico di resistenza, ma anche un embargo pervasivo dell’exclave palestinese!”. 

Ma c’è di più. Ieri sera i giornali hanno diffuso una sorta di indiscrezione, per ora non confermata né smentita, secondo cui il premier Benyamin Netanyahu avrebbe detto a Joe Biden nel corso del colloquio telefonico di domenica che è intenzionato a entrare con l’esercito a Gaza. “Dobbiamo andare dentro. Non possiamo trattare ora”, avrebbe detto Netanyahu a Biden che gli chiedeva degli ostaggi. 

Il presidente americano non avrebbe cercato di convincerlo a non procedere e gli avrebbe chiesto del possibile secondo fronte al confine fra Israele e Libano. Netanyahu gli ha risposto che il fronte libanese è motivo di preoccupazione e Israele si sta preparando, ma non c’è altra scelta che rispondere con forza a Gaza. 

Nel frattempo, (torniamo su Limes) il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin ha ordinato al gruppo d’attacco della portaerei USS Gerald R. Ford di dirigersi verso il Mediterraneo orientale, tenendosi pronto ad assistere Israele. Oltre alla storica alleanza tra Washington e Gerusalemme, ad aver influenzato le decisione del Pentagono è il numero consistente di americani uccisi, rapiti o dispersi. Gli Usa si starebbero quindi preparando a un’evacuazione generale dei cittadini americani presenti nel paese.

Insomma questa è la situazione, direi molto preoccupante. Poi c’è un’altra questione di cui stanno parlando i giornali: i possibili aiuti esterni ad Hamas, il gruppo politico militare che governa la Striscia di Gaza e che ha organizzato l’attacco, proprio nell’organizzazione dell’attacco. Domenica il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo in cui descrive come, negli ultimi mesi, i dirigenti di Hamas e degli altri gruppi armati che operano nella Striscia di Gaza, come il Jihad Islamico, si siano incontrati più volte con funzionari delle Guardie Rivoluzionarie, il gruppo militare più potente dell’Iran e il più fedele alla Guida Suprema, la massima autorità politica e religiosa del paese.

Come commenta un articolo del Post, “Un eventuale coinvolgimento dell’Iran nella guerra tra Hamas e Israele potrebbe provocare grosse conseguenze, con un’enorme estensione del conflitto. Ma al momento, anche se l’Iran ha elogiato l’attacco di Hamas, ci sono ancora dubbi sulla possibilità che davvero abbia avuto un ruolo operativo e di primo piano nella sua organizzazione, e bisogna procedere con un po’ di cautela.

A supporto della tesi del sostegno iraniano ci sarebbe il fatto che l’attacco di sabato è stato fatto via terra, con l’incursione di centinaia di miliziani nei territori del sud di Israele, via mare e persino via aria: un’operazione coordinata e massiccia di questo tipo richiede mesi di preparazione e addestramento, una coordinazione logistica importante e una grande quantità di armi e mezzi e secondo vari esperti questo tipo di attacco sarebbe difficile per Hamas da organizzare con le proprie forze.

Tuttavia, al momento non ci sono prove, e ogni ipotesi in mancanza di prove è per l’appunto un’ipotesi, sulla quale non si possono basare azioni o ritorsioni. 

Restiamo ancora su Limes per un altro rapido aggiornamento interessante di geopolitica. 

Il presidente del Cile Gabriel Boric si appresta a compiere il suo primo viaggio nella Repubblica Popolare Cinese. Scopo della missione è sancire accordi con Pechino per rendere l’economia di Santiago più efficiente e diversificata dal settore delle materie prime. Gli sherpa diplomatici dei due paesi (rappresentante personale di un capo di Stato o di un capo del Governo che prepara un vertice internazionale) hanno lavorato su una dozzina di documenti d’intesa che contemplano innovazione tecnologia e istruzione, volti a coronare l’accordo di libero scambio sino-cileno entrato in vigore nel 2006 e aggiornato nel 2019. 

Il governo di Boric è però alla ricerca anche di un delicato equilibrio tra Cina e Stati Uniti, principali partner commerciali del Cile e grandi rivali nella cosiddetta “Guerra Grande”.

Direi che è il caso di dare qualche aggiornamento anche sull’altro teatro di attualità, l’Afghanistan scosso da un violento terremoto. Qui gli aggiornamenti sono relativi ai soccorsi, che stanno procedendo a rilento dato che molte delle strade che portano alle città più colpite sono bloccate e le comunicazioni sono rallentate. 

Leggo ancora sul Post che “L’area intorno a Herat è principalmente rurale, molte case erano semplici strutture in fango e legno che sono collassate alla prima scossa. Sabato un abitante sopravvissuto ha detto all’agenzia di stampa AFP che «chi si trovava all’interno delle case è stato sepolto vivo, ci sono intere famiglie di cui non ho avuto notizie».

Domenica sera il portavoce dei talebani Zabihullah Mojahid ha detto che le persone morte erano più di 2.400, ma sono numeri da prendere con cautela. Secondo le Nazioni Unite i morti sarebbero oltre mille, con 465 case completamente distrutte e altre 135 danneggiate. Circa 1.400 persone sono state evacuate dalle loro abitazioni verso altre zone del paese, e complessivamente oltre 4mila persone sono state coinvolte nel terremoto e nelle successive operazioni di soccorso. Durante il fine settimana a Herat molte persone hanno dormito all’aperto per paura di ulteriori scosse, anche se durante la notte le temperature scendono notevolmente, arrivando a circa 10 gradi.

Subito dopo la fine delle scosse i sopravvissuti hanno iniziato a scavare tra le macerie a mani nude o con vanghe e picconi di fortuna, cercando di liberare le persone intrappolate tra i resti degli edifici crollati. 

Gli ospedali locali, già in forte difficoltà, non sono in grado di rispondere all’emergenza e fornire cure mediche a tutte le persone che ne avrebbero bisogno. Molti temono che la lentezza dei soccorsi e l’inadeguatezza del sistema ospedaliero facciano aumentare il numero di morti. Già adesso mancano cibo e acqua e le famiglie con donne e bambini non hanno un posto in cui stare.

Per fortuna nelle ore e nei giorni successivi al terremoto alcuni aiuti inviati da varie organizzazioni umanitarie hanno cominciato a raggiungere le aree colpite. Secondo le Nazioni Unite circa 200 persone hanno ricevuto cure mediche all’ospedale provinciale di Herat, dove l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha inviato materiale medico sufficiente per fare circa 150 operazioni. 

Varie agenzie delle Nazioni Unite hanno fornito un riparo di emergenza a circa 700 famiglie, inviando 640 tende e carichi di coperte. È stato distribuito anche cibo per 1.700 famiglie e 1.300 kit con oggetti per l’igiene personale e altri strumenti di prima necessità. Medici Senza Frontiere ha allestito alcune tende mediche nelle zone colpite dalle scosse, capaci di accogliere fino a 80 persone.

Questa settimana è una settimana centrale anche per un altro tema scottante degli ultimi mesi. Giovedì infatti, dopodomani,  a Bruxelles, i rappresentanti dell’Italia dei Paesi UE saranno infatti chiamati a discutere e a esprimersi sulla proposta della Commissione Europea di estendere per altri 10 anni la possibilità di usare il glifosato.

Il Rinnovo della concessione è stato proposto dalla Commissione sulla base del parere di alcuni esperti che però, a detta di molte organizzazioni ambientaliste, sarebbe basato sulle informazioni parziali e non del tutto corrette fornite dalla Bayern la sua principale azienda produttrice.

Del glifosato abbiamo parlato abbondantemente nell’ultimo mese, per cui potete eventualmente recuperare qualche vecchia puntata se non sapete di cosa stiamo parlando. Comunque in breve breve, si tratta di un potente e diffusissimo erbicida, inventato dalla Monsanto che lo vendeva assieme alle sue piantagioni ogm, le uniche in grado di resistergli. 

Alcuni studi hanno mostrato una possibile/probabile correlazione con lo sviluppo di alcuen forme di tumore e altri disturbi e malattie gravi. Inoltre sono dimostrati i notevoli danni agli ecosistemi, agli equilibri biogeochimici, alle api e a tante altre specie animali.  

Per questi motivi, come potrete immaginare, la concessione del rinnovo al glifosato sta facendo molto discutere. Greenpeace italia ha lanciato una petizione per  per chiedere al governo italiano di votare contro il rinnovo dell’autorizzazione europea del glifosato. Nel giro di meno di un mese sono state raccolte 75mila firme, consegnate poi con una simbolica maxi cartolina al Ministero della Salute.

Avrete visto che in questi giorni vengono resi noti i vari premi Nobel. Non sto qui a elencarveli tutti, ma mi ha colpito quello reso noto ieri, ovvero il Nobel per l’Economia che verrà assegnato a Claudia Goldin, la prima donna in cattedra ad Harvard che ha indagato le disparità tra i sessi. Mi sembra un segnale importante. 

Come racconta Stefano lepri su La Stampa, “Sul lavoro delle donne si era capito abbastanza poco fino a quando Claudia Goldin cominciò a indagarlo a fondo, una quarantina di anni fa. Ebrea americana, 77 anni, cresciuta in un quartiere modestissimo e razzialmente misto nel Bronx di New York, nel 1990 fu la prima donna a conquistare una cattedra a Harvard. A prova delle difficoltà che ostacolano il lavoro delle donne, lei stessa all’inizio degli studi universitari non aveva pensato di fare l’economista, ma la biologa, studio nelle idee del tempo reputato più adatto ad una donna scienziato. Ed è ancora solo la terza donna a ricevere il Nobel per l’Economia, a fronte di 93 uomini.

Una delle principali scoperte di Claudia Goldin è che le discriminazioni a sfavore delle donne non dipendono soltanto dalla cultura di un Paese o dal suo livello di benessere, ma tendono a ricrearsi nel tempo e in forme inaspettate. Per esempio, in una fabbrica del Novecento una donna impiegata negli uffici viveva certo meglio di un’operaia di officina, ma la sua differenza di guadagno rispetto ai colleghi maschi era maggiore. Già dall’Ottocento, il lavoro industriale aveva comportato meno impieghi per donne di quanti ne aveva richiesto il lavoro agricolo.

Insomma “Più che primeggiare in un campo di studi, lo aveva creato lei stessa, andando a scoprire dati che non erano noti, che non si registravano, cercando negli archivi fino a 200 anni addietro; e poi interpretando e le scelte che le donne compievano o a cui erano costrette dall’ambiente circostante”.

Secondo i suoi studi, il punto più basso dell’impiego femminile lo si toccò verso il 1910. Ma ancora nel ritrovato benessere dopo la Seconda guerra mondiale era tornato un segno di distinzione sociale che la donna sposata non lavorasse. Goldin confermò anche che un punto di svolta fu dato dalla diffusione della pillola anticoncezionale, sessant’anni fa.

Insomma, i suoi studi sono un punto di riferimento nel campo delle disparità fra i sessi in ambito economico. Anzi, sono il punto di riferimento. E il fatto che le sia stato conferito questo premio mi sembra un simbolo importante. 

Chiudiamo la rassegna di oggi con una notizia importantissima, almeno per noi di ICC. E spero che anche voi apprezzerete. ieri, lunedì 9 ottobre, è abbiamo aperto una nuova redazione locale, Sardegna che Cambia! E fra le tante cose che farà, ci sarà anche una versione locale, settimanale, di INMR, tutti i venerdì.

Su questo lascio la parola al nostro direttorissimo Daniel Tarozzi, perché so che oltre che un nostro obiettivo redazionale, l’apertura di una redazione sarda era anche proprio un suo pallino personale. A te Daniel, che cosa provi adesso che SCC finalmente esiste?

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