2 Mar 2023

Tragedia migranti, quei ritardi sospetti – #680

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Sono emersi nuovi dettagli sulla tragedia sulle coste calabresi che è costata la vita a 66 persone migranti, dettagli che mettono qualche ombra sull’operato dei soccorsi. Parliamo anche del terribile incidente fra due treni in Grecia, della situazione in Perù, del piano laghetti contro la siccità e infine dello sciopero internazionale per il clima di domani, indetto dai Fridays For Future.

Ricorderete il terribile incidente di pochi giorni fa, che ha postato alla morte di 66 persone migranti. È stato, nelle parole di Annalisa Camilli su L’Essenziale, “il naufragio più grave sulle coste italiane dal 2013”. Se per caso non ve lo ricordate, ve lo riassumo prendendo in prestito sempre le parole di Camilli: “Il 26 febbraio un’imbarcazione di legno si è spezzata ed è naufragata davanti alle coste calabresi: i morti recuperati finora sono 66, tra cui almeno dodici bambini e un neonato, ma potrebbero essere centinaia. Il naufragio è avvenuto a Steccato di Cutro, vicino a Crotone. La barca trasportava almeno 170 persone ed era partita quattro giorni prima da Izmir, in Turchia”.

Ci eravamo lasciati quando ne abbiamo parlato con il fatto appena successo, con la promessa che ne avremmo riparlato quando ci fossero stati dei dettagli in più per definire sia la dinamica che le responsabilità dell’accaduto. Ecco: scrive il Post che “nelle ultime ore stanno emergendo sempre più elementi che fanno pensare che i soccorsi al peschereccio con a bordo circa 150 migranti naufragato domenica in provincia di Crotone, in Calabria, siano arrivati con diverse ore di ritardo. Anche il procuratore capo di Crotone, Giuseppe Capoccia, in un’intervista a Repubblica pubblicata ieri ha ipotizzato che «forse qualcosa si poteva fare, per salvare quelle persone». Martedì sera i morti nel naufragio sono diventati 66”.

Provo a sintetizzarvi la questione. “Il nodo principale riguarda le decisioni prese dalle autorità italiane fra la serata di sabato 25 febbraio e le prime ore di domenica 26” fra ritardi, rimpalli di responsabilità e decisioni operative che potrebbero avere avuto un ruolo nel naufragio.

Infatti sabato sera il peschereccio era stato avvistato a circa 70 chilometri dalle coste calabresi da un piccolo aereo di Frontex, l’agenzia di frontiera dell’Unione Europea. Frontez, come da prassi in questi casi, aveva avvisato diverse forze dell’ordine italiane, e solo per conoscenza aveva incluso fra i destinatari anche la Guardia Costiera italiana.

Nella comunicazione Frontex segnalava che sull’imbarcazione non c’era traccia di giubbotti di salvataggio e che c’era una “significativa risposta termica”, cioè una numerosa presenza di persone sotto coperta, osservate con le telecamere a rilevazione termica. Al momento della segnalazione il mare era molto mosso e con onde fra 1,25 e 2,5 metri.

Spiega ancora il Post che “Non esistono criteri ben definiti per stabilire se una barca è in difficoltà o meno: ma per chi lavora con i soccorsi in mare un’imbarcazione piena verosimilmente di migranti, in mare aperto, senza tracce di giubbotti di salvataggio, viene considerata in difficoltà e quindi bisognosa di essere soccorsa”.

Invece dopo la segnalazione di Frontex, viene presa la decisione di avviare un’operazione di sicurezza, volta a fermare l’imbarcazione e catturare eventuali scafisti e trafficanti, e non di soccorso di eventuali persone in difficoltà. Vengono quindi inviate incontro al peschereccio due imbarcazioni della Guardia di Finanza, e non la Guardia Costiera. 

Non è chiaro chi abbia preso questa decisione. Repubblica scrive «qualcuno da Roma», suggerendo sia stata una decisione del governo di destra guidato da Giorgia Meloni. Una ricostruzione che però, scrive il Post, non è corroborata da altri giornali né da conferme ufficiali.

La Stampa aggiunge che dal momento in cui viene presa la decisione di fare intervenire la Guardia di Finanza, sabato sera, si decide anche di aspettare due ore, in modo che il peschereccio entri nell’area di competenza della Guardia di Finanza. Quindi passa del tempo. Poi fra la mezzanotte e le due del mattino di domenica 26 due navi della Guardia di Finanza provano a raggiungere il peschereccio, ma non ci riescono per via del maltempo. Il Corriere della Sera fa notare che nel porto di Crotone erano presenti alcune motovedette della Guardia Costiera «specializzate proprio nel recupero di persone in difficoltà e capaci di affrontare mare forza 7-8», cioè onde più alte di quelle registrate nella notte fra sabato e domenica nell’area dove si trovava il peschereccio. Che però non sono state attivate, se non diverse ore dopo, intorno alle 5:30, dopo che alcune persone a bordo del peschereccio avevano chiamato il numero di emergenza della Guardia Costiera italiana.

Alle 5:30 però era già troppo tardi per evitare il naufragio: molte persone erano già cadute in acqua. Lo ha raccontato alla Stampa il pescatore Antonio Conbariati, chiamato a intervenire sul posto da «un amico della Guardia Costiera».

Qui si fermano i fatti che sappiamo o che possiamo più o meno ricostruire. Da questo fatto, terribile, è nata una grossa polemica politica di cui vi do giusto qualche elemento essenziale, senza soffermarmi troppo – come invece fanno i giornali – su tutte le dichiarazioni di tutte le forze politiche. Il punto principale è che in una intervista al Corriere della Sera il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che “chi scappa da una guerra non deve affidarsi a scafisti senza scrupoli, devono essere politiche responsabili e solidali degli Stati ad offrire la via di uscita al loro dramma”.

Un’uscita che è stata interpretata da molti come un voler rigettare la colpa dell’accaduto sui migranti stessi, motivo per cui diversi esponenti dell’opposizione, fra cui la stessa Elly Schlein nel suo primo intervento in Parlamento da segretaria di partito, hanno chiesto le dimissioni del ministro.

Ieri fra l’altro è successa un’altra tragedia, in Grecia, dove uno scontro frontale fra due treni (uno passeggeri e uno mefci) ha causato almeno 40 vittime e 130 feriti (ma sono ancora fra i 50 e i 60 i dispersi) nei pressi della città di Larissa.

Scrive Ansa che “Il capostazione di Larissa è stato arrestato nell’ambito dell’indagine. Secondo il racconto di un giornalista greco della Bbc i treni viaggiavano a grande velocità perché non sapevano che l’altro stesse arrivando e l’impatto è stato così grave che “non è rimasto nulla delle prime due carrozze” dopo l’incidente”.  

Tanti gli studenti universitari a bordo del treno, secondo quanto ha riferito il sindaco di Tempé, Yorgos Manolis. Tornavano a Salonicco dopo un fine settimana prolungato a causa del Carnevale in Grecia. Il treno passeggeri stava infatti viaggiando da Atene a Salonicco, la seconda città più grande della Grecia, mentre il treno merci viaggiava nella direzione opposta. Secondo i servizi di emergenza greci. 

Mi fermo qui per adesso, se volete ulteriori informazioni le trovate negli articoli che vi segnalo sotto FONTI E ARTICOLI.

Come potrete immaginare un incidente del genere ha subito delle ripercussioni anche politiche, un po’ come nel caso della tragedia dei migranti. E mi ha colpito che in questo caso, subito dopo il disastro ferroviario, si è dimesso il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Kostas Karamanlis, pur non avendo nessuna responsabilità diretta sull’accaduto, dando un messaggio di serietà istituzionale. Ha detto: “Sono in politica da qualche anno, ma considero un elemento necessario della nostra democrazia che i cittadini del nostro Paese abbiano fiducia nel sistema politico. Questa si chiama responsabilità politica. Per questo rassegno le mie dimissioni dalla carica di Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. È quello che sento il dovere di fare come minimo segno di rispetto per la memoria” delle vittime, ha afferma il ministro in una nota. 

Ieri vi parlavo della proposta di legge presentata al parlamento peruviano da un esponente di estrema destra (con lo zampino, probabile, delle compagnie del petrolchimico) che vorrebbe nei fatti annullare i diritti delle popolazioni incontattate. 

Visto che dall’articolo, come vi dicevo ieri, non si capiva benissimo quale fosse la situazione, né si capivano bene i dettagli della legge, ho contattato Flaviano Bianchini, fondatore di Source International, un’organizzazione che raccoglie dati contro lo sfruttamento di multinazionali minerarie e fornisce alle comunità locali strumenti utili per difendere i propri diritti, e che da diversi anni lavora anche in Perù.

Vi faccio ascoltare quello che mi ha raccontato dalla sua viva voce. 

AUDIO DELL’INTERVISTA DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

Cito soltanto, come rapidissimo aggiornamento, che ieri l’Assemblea parlamentare Finlandese ha approvato a stragrande maggioranza l’ingresso del paese nella NATO con 184 voti favorevoli e solo 7 contrari.

Al momento soltanto Ungheria e Turchia non hanno dato il loro benestare all’espansione dell’Alleanza Atlantica (serve l’unanimità), ma la Presidente ungherese Novak ha invitato il Parlamento a discuterne e a dare un parere positivo.

Allora, vi ricordate che qualche settimana fa, parlando della siccità vi dicevo che avrei voluto approfondire il piano laghetti di cui si sente tanto parlare? Ecco, il Post, che evidentemente segue assiduamente INMR, ha deciso di pensarci lui e di darmi materiale su cui lavorare pubblicando un articolo che si chiama proprio “Cos’è questo piano laghetti contro la siccità”. E vabbé Post, almeno citami esplicitamente, io ti cito sempre.

Alla fine di gennaio è stato inaugurato un nuovo invaso realizzato nella cava dismessa di Bargnana a Castrezzato, in provincia di Brescia: ha una superficie di 20mila metri quadrati e una capacità di 150mila metri cubi di acqua. Servirà a contenere le eventuali piene del canale artificiale Trenzana-Travagliata, che scorre al suo fianco, ma soprattutto farà da bacino artificiale per accumulare l’acqua necessaria all’irrigazione in un territorio che negli ultimi due anni ha sofferto molto la siccità. L’ex cava di Castrezzato fa parte del cosiddetto “piano laghetti”, che punta a sostenere vecchi e nuovi progetti di invasi artificiali in tutte le regioni con l’obiettivo di evitare la dispersione di acqua e soddisfare il fabbisogno idrico.

Nonostante l’enfasi con cui era stato rilanciato lo scorso anno, finora i risultati del piano laghetti sono stati scarsi: ne sono stati fatti pochi e in ritardo rispetto alle previsioni iniziali. L’invaso di Castrezzato è la dimostrazione delle difficoltà dovute principalmente alla burocrazia: è il primo realizzato in Lombardia, sei anni dopo la legge regionale che aveva consentito di sfruttare le ex cave come bacini artificiali.

L’articolo ricostruisce poi la storia abbastanza travagliata del Piano, da quando è stato presentato dall’Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni assieme a Coldiretti nel 2021 fino ad oggi, raccontando anche che l’idea è nata da una constatazione: “ogni anno in Italia cadono circa 300 miliardi di metri cubi di acqua di cui si riesce a trattenere soltanto l’11 per cento. In Spagna, per esempio, ne viene trattenuto circa il 35 per cento. Dall’inizio degli anni Novanta il fabbisogno idrico in agricoltura si è molto ridotto grazie all’innovazione tecnologica e alla cosiddetta agricoltura di precisione, ma la siccità ha annullato questo vantaggio.

Nelle intenzioni dei suoi promotori, il piano laghetti dovrebbe sfruttare meglio tutta l’acqua che oggi viene dispersa. In sostanza, il piano consiste nella realizzazione di 4.000 invasi “consortili”, cioè costruiti dai consorzi di bonifica, e 6.000 invasi fatti dalle aziende agricole. Si tratta di 10.000 bacini artificiali di piccole dimensioni e con un basso impatto ambientale perché non prevedono opere in cemento o l’interruzione di corsi d’acqua.

I bacini artificiali servono a raccogliere l’acqua da utilizzare nei periodi in cui ce n’è poca, ma possono essere utilizzati anche come superficie su cui installare pannelli solari galleggianti per la produzione di energia. Secondo le stime dell’ANBI, a dire il vero piuttosto ottimistiche, si potrebbero produrre fino a 259 gigawattora coprendo il 30 per cento della superficie dei bacini con impianti fotovoltaici galleggianti e con la costruzione di 76 impianti idroelettrici. 

Dei 10.000 progetti del piano complessivo, già dallo scorso anno 223 avevano raggiunto la fase esecutiva, cioè si possono costruire, ma finora ne sono stati inaugurati pochi. I soldi non sembrano essere un problema: il PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, ha già messo a disposizione 880 milioni di euro, una parte consistente dei 3,2 miliardi di euro necessari per questa prima parte del piano, la più costosa. Ritardi e lentezze sono causati piuttosto dalla storica e per certi versi confusa divisione delle competenze all’interno del governo: intervengono di volta in volta e senza criteri precisi i ministeri delle Politiche agricole, dell’Ambiente e delle Infrastrutture, oltre ovviamente a quello dell’Economia. Tutti se ne dovrebbero occupare, ma il risultato è che finora in pochi hanno affrontato davvero il problema. A tutto questo vanno aggiunti gli interventi e le responsabilità delle regioni, delle province, dei consorzi di bonifica, ognuno con sue regole e procedure.

Sul finire dell’articolo vengono esposte anche le critiche a questo piano, che sono l’aspetto che mi interessava capire. L’associazione ambientalista WWF ha scritto che «il proliferare di nuovi invasi e programmi d’intervento straordinari, dettati dall’emergenza, rischia di peggiorare la situazione aggravando il bilancio idrico complessivo degli ecosistemi e delle falde». CIRF, Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, ha sostenuto che la costruzione degli invasi comprometta gli habitat naturali con effetti negativi per le piante e gli animali e che molta dell’acqua raccolta si disperda per effetto dell’evaporazione. Una delle alternative, sostiene l’associazione, è privilegiare coltivazioni che necessitano di meno acqua.

Ok, dovessi dire che ho le idee più chiare sulle criticità, vi direi una bugia. Perché, perlomeno nella forma in cui sono riportate nell’articolo, le critiche mosse sembrano abbastanza vaghe. Per cui al momento la mia impressione resta perlopiù positiva. Ovvio che serva anche sviluppare un’agricoltura a basso impatto idrico. Su questo vi segnalo una videointervista che pubblicammo anni fa ad Angelo Passalacqua nella quale spiegava il suo metodo di agricoltura, basato sui principi dell’agricoltura evolutiva, che non necessita di irrigazione.

In chiusura vi segnalo che domani c’è lo sciopero internazionale per il Clima indetto dai Fridays For Future. Solo in Italia ci saranno manifestazioni in più di 50 città. Trovate la lista completa sul sito dei FFF Italia (vi lascio il link sotto FONTI E ARTICOLI), così potete vedere se c’è qualcosa anche nel comune in cui abitate.

Se per caso partecipate e vi va, vi invito a mandarci entro la giornata di domani qualche foto e magari due righe di vostro commento alla nostra mail di redazione: redazione@italiachecambia.org, autorizzandoci a pubblicarle in un articolo collettivo. Che ne dite? Vi piace l’idea?

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