3 Mar 2017

Tutta colpa di Miles Davis

Scritto da: Roberto Vietti

Durante il viaggio nel Piemonte Che Cambia si incontrano persone uniche, questo scritto ne è la dimostrazione. Voi vi sentite porti o feudi? Leggete e osservate questo illuminante punto di vista.

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USSEGLIO (TO) – Si sa che il viaggio è fatto soprattutto dalle persone che incontriamo nel nostro muoverci. L’essere a contatto con personalità variegate e con esse scambiarsi opinioni, sensazioni e idee, è il più delle volte un arricchimento senza eguali.

Così, passeggiando nelle Valli di Lanzo, ho avuto il piacere di conoscere un signore molto particolare al quale ho promesso non avrei rivelato la sua identità. Abbiamo trascorso molto tempo insieme, ed alla fine della giornata mi ha consegnato una pergamena che conteneva dei suoi pensieri.
E’ un piacere condividerli con tutti voi.

“E’ complicato collocarsi.
Perché è altamente improbabile che ciascuno di noi sia una cosa sola. Le esperienze, come siamo stati cresciuti, la nostra indole, le forze di cui siamo stati dotati, i talenti, i limiti… troppe sono le componenti che ci impediscono di essere “uno”. Con ciò non sto affermando, per dirla con Pirandello, che questo ci porti necessariamente ad essere “nessuno”, oppure “centomila”. Già avere una traccia, una bussola, è molto. Tale Stella Polare, a dispetto del paragone con la medesima, spesso non riluce così tanto. Sono pochi i fortunati cui è bastato alzare gli occhi. Per molti è stato necessario lavorare alacremente per godere del suo bagliore. Gli altri vagano in una notte senza tempo. A loro va tutto il mio incoraggiamento affinché qualcosa cambi.

Ma questa è in realtà solo una premessa, che vuole introdurre ciò che sto per scrivere. Che non ha nessuna pretesa di completezza, non mi sto ritraendo “a tutto tondo”. Sto soltanto per mettere in luce un aspetto di me che negli ultimi anni si è fatto sentire.
In tutta la prima parte della mia vita (oddio, speriamo che questa non sia l’ultima, ma la seconda, giacché ho poco più di quarant’anni) ero animato esclusivamente dal mio “Sé”. Insomma, nella misura in cui IO c’ero, facevo, dicevo, andavo e tornavo, tutto marciava. Gli altri erano simulacri del mio vivere. Che detto così sembra sia una cosa brutta. Ma non è così: semplicemente, un giovane, si misura con la vita nella maniera in cui un uomo che cammina sul bagnasciuga lascia le proprie orme e stop. Che, intendiamoci, è pur sempre vero, ma dopo mi è sembrato che qualcosa potesse essere diverso.

Ho cominciato a non guardare più così insistentemente le mie orme. Non perché non mi interessassero, anzi! Ma semplicemente perché ormai mi pareva di sapere com’erano fatte, in buona parte.
Viceversa di quelle degli altri non sapevo quasi niente. O meglio, ne sapevo nella misura in cui le confrontavo alle mie. Quindi, più che altro, ho iniziato ad osservarle di per sé, senza comparazione, paragone, raffronto. In pratica ho mandato in part-time quella parte di me che proponeva una visione del mondo egocentrica, per dedicarmi nell’altra metà agli altri, escludendomi dalla scena.

Per tanti versi si può dire che io mi senta come un porto. Sono lì, attrezzato e pronto. (Spero) accogliente. Ho sempre da fare. Ma chi attracca è il benvenuto, se viene in pace. Sennò c’è la guardia costiera, che già a 200m dalla riva ti fa girare i tacchi.

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Mi piace che vengano a trovarmi: ognuno porta qualcosa. E spesso, quando, inevitabilmente, riparte, al porto c’è qualcosa di nuovo. Spero che anche lui se ne vada con qualcosa in più.
Detto così sembrerebbe un idillio: ma si sa, non funziona precisamente in questo modo. A volte è difficile, a volte invece l’apporto è molto tenue, quasi irrisorio. A volte la guardia costiera non ha fatto il proprio lavoro adeguatamente, ed il porto si ritrova con dei danni, che vanno arginati, impegnandosi, lavorando, dimenticando.

Ma ogni tanto è davvero bello vedere cosa può portare una nave che viene d’altrove. Ogni tanto lascia ciò che mai più su questa terraferma si sarebbe immaginato di vedere. Ed è lì che è difficile gestire il problema della ripartenza. In qualche, rarissima, occasione, al ripartire di certe navi, ho pensato che non avesse più senso accoglierne altre, perché il massimo era stato portato, e poco si poteva sperare d’altro. Poi mi sono convinto che se non fossi stato un porto neanche la prima “nave dei miracoli” sarebbe arrivata. E quindi, per quanto sia stato doloroso lasciarla andare, non si può escludere che ne arrivi un’altra, un giorno. Nel frattempo, non è che le altre siano insignificanti, anzi.

Insomma, ho capito che per me va bene essere un porto e non un feudo. Sono incompleto, e forse lo sarò finché vivrò. La differenza tra un porto ed un feudo, per come li immagino io, è questa: un porto aspetta pur sempre le navi. Si difende solo da chi è ostile. Un feudo considera per definizione chi entra come ostile: è lo straniero, l’invasore, l’usurpatore. Un feudo si glorifica dei propri possedimenti, è bulimico, se può li espande. Un porto è lì, pronto ad essere “invaso”, si arricchisce di ogni arrivo. Un feudo divide le cose tra sue e non sue. O sei dentro o sei fuori. Un porto è tale proprio perché arrivi tu, sennò manco è un porto. Ti prende finché ci sei. Poi ti augura buon viaggio, e se hai lasciato qualcosa sarà un porto più bello.

Se passi molto del tuo tempo a proteggere qualcosa, a difendere qualcuno, a tener lontano chicchessia, a scongiurare intrusioni, e, in modo complementare, ad offendere, attaccare, giudicare, collocare, ridurre…beh, pensaci. Così, giusto che ad occhio non sei Carlo Magno e probabilmente ti stai rovinando buona parte della vita nel fare “colui che sta al vertice”. E’ un gioco costoso.

Comunque è tutta colpa di Miles Davis. Stasera lo ascoltavo, col suo quintetto della seconda metà degli anni ’60. Soleva dire, nelle interviste dell’epoca: “Spesso me ne stavo dietro le quinte, per minuti interi, ed ascoltavo gli altri suonare. Erano fantastici. Mi godevo lo spettacolo. Poi rientravo, e partecipavo anch’io. Ma già aver messo assieme una formazione così per me era motivo di grande soddisfazione. Anche starmene in disparte e lasciarli fare era bello.”
Ecco, Miles era un porto.”

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