29 Nov 2017

L’azionariato critico per il bene comune

Scritto da: Domenico Villano

Prassi molto diffusa negli Usa, l'azionariato critico è stato introdotto in Italia da Fondazione Finanza Etica con l'obiettivo di portare la voce della società civile nelle grandi aziende convertendo la loro produzione verso attività orientate al bene comune.

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Qui di seguito troverete un estratto di uno dei moduli di educazione critica alla finanza realizzati dalla fondazione finanza etica, nell’ambito del progetto EducarCi: si tratta di una piattaforma multimediale per la formazione, gratuita e accessibile a tutti, il cui lancio è previsto per l’inizio del prossimo anno. Sulla piattaforma potrete vedere dei brevi video, realizzati in collaborazione con esperti e professori, scaricare un kit pronto all’uso (slide, video, canovacci, testi, link) per l’organizzazione di seminari e discussioni, approfondire i temi trattati, leggendo brevi schede riassuntive e continuare il percorso con collegamenti ipertestuali alle più svariate pubblicazioni e organizzazioni.

 

L’azionariato critico è uno strumento molto semplice: una organizzazione non profit o un gruppo di pressione acquista un piccolo pacchetto di azioni di grandi società, per poi poter andare in assemblea a sottoporre alcune questioni cruciali in materia di responsabilità socio-ambientale, trasparenza e governance. L’entrare a far parte del gruppo degli azionisti permette di svolgere un’attività di pressione interna, volta a denunciare le attività che più stridono con la responsabilità etica d’impresa, non solo in occasione dell’assemblea ma anche portando avanti un dialogo continuo con l’impresa in quanto comproprietari della stessa.

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L’azionariato critico è una prassi molto diffusa negli USA, introdotta in Italia nel 2007 dalla Fondazione Finanza Etica (all’epoca Fondazione Culturale Responsabilità Etica), con l’acquisto di azioni di Enel ed Eni; l’obiettivo era portare la voce della società civile e dei movimenti del Sud del mondo nelle assemblee di due delle più grandi società quotate del nostro paese. Ai primi due acquisti ne sono seguiti altri nel tempo ed oggi la Fondazione si impegna in numerose attività di azionariato critico insieme a ONG e gruppi di attivisti come Greenpeace, SETEM , Global Witness, Re:Common, Amnesty International Italia. L’attività di azionariato critico non è volta alla mera denuncia, ma alla proposta di convertire la produzione delle grandi aziende selezionate verso attività orientate al bene comune della comunità.

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I tre principi dell’azionariato critico, secondo Andrea Baranes, presidente della Fondazione Finanza Etica, sono i seguenti:

 

  1. Riflettere sul ruolo dell’azionista: in questo senso l’azionariato critico si lega alla finanza etica e a una riflessione sull’uso del denaro. Essere un azionista non significa unicamente cercare i più alti profitti nel minor tempo possibile, ma in primo luogo diventare comproprietario dell’impresa; questo implica diritti ma anche doveri, primo tra tutti quello di partecipare attivamente alla vita dell’impresa.

 

  1. Partecipare alla vita delle imprese in un’ottica di democrazia economica: spesso, in molte imprese, il capitale sociale è estremamente disperso, il che dà un potere sproporzionato ai manager e alla dirigenza, che hanno l’unico obiettivo di massimizzare il valore delle azioni al fine di assecondare le aspettative degli azionisti di maggioranza. L’azionariato critico, ponendo l’accento sul ruolo attivo e la responsabilità etica di ognuno dei comproprietari, è dunque anche uno strumento che permette di migliorare la conoscenza e la partecipazione dei piccoli azionisti e dei cittadini alle scelte delle imprese in campo finanziario.

 

  1. Dare voce a organizzazioni e popolazioni, che combattono per la difesa dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, il cui benessere è a rischio a causa delle attività delle grandi imprese, per farle emergere di fronte agli occhi di tutta la comunità (cittadini, azionisti, investitori). Troppi progetti e investimenti di multinazionali hanno infatti impatti negativi sulla vita e anche sui diritti fondamentali delle popolazioni soprattutto del Sud del mondo, che spesso hanno anche difficoltà a rivendicare i propri diritti.

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