19 Mag 2023

Lunigiana e lunigianesi, una storia di confini, di restanza e di riscatto

Scritto da: Paolo Cignini

Terra di confini, reali o immaginari. Terra di lingue e tradizioni che allo stesso dividono e uniscono. E, al di là di tutto, terra affascinante e ricca di potenzialità. Con il supporto del mini documentario che abbiamo realizzato per il progetto Confini, vi portiamo a visitare la Lunigiana e a conoscere i suoi abitanti, incastonati in questo angolo fra Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna.

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Emilia-Romagna, Toscana - Confine: limite di un territorio, di una proprietà, di una regione geografica, di uno Stato; parte più lontana. Proveniente dal latino confinis, ovvero confinante, è composto dal termine finis – limite – a cui è aggiunto il prefisso con-. È una parola che richiede prospettiva, per essere intesa: il suo essere limite estremo non la racconta tutta. Queste parole, tratte dal sito Una parola al giorno, mi sembrano le più idonee per presentarvi questo nostro ultimo lavoro, il mini-documentario Confini: la Lunigiana tra limiti e opportunità.

Chi ci segue sa che da alcuni mesi stiamo lavorando sui territori della Lunigiana, delle Quattro Province e della Val Pennavaire per il progetto Confini. Il filo conduttore di questa indagine è proprio il concetto di confine: stiamo chiedendo a diverse persone che vivono questi territori di raccontarci la loro storia e di spiegarci cosa significa per ognuna e ognuno di loro vivere in una terra di confine. Perlomeno, percepita o ritenuta tale da chi la osserva. 

Grazie a questo progetto ho avuto il privilegio di poter visitare una terra, quella della Lunigiana, a me finora sconosciuta. Si tratta di una regione naturale e storica appartenente a parte della Toscana, della Liguria e in parte minore all’Emilia, dai confini poco definiti e sfumati – c’è persino una pagina Wikipedia dedicata –, tanto che alcune persone vicine all’antica diocesi di Luni,dove si presume sia nato questo territorio, situata vicina al mare e alla foce del fiume Magra, vero protagonista naturale della Lunigiana, non si riconoscono lunigianesi.

Nelle nostre interviste, insieme alla preziosa Valentina D’Amora, abbiamo scoperto progetti interessantissimi, sviluppati da persone coraggiose e accomunate da una visione: quella di riscattare questo territorio, contrastarne lo spopolamento e creare nuove opportunità per poterlo vivere. Più ascoltavamo le loro storie, più chiedevamo cosa significasse per loro il concetto di confine, più aumentavano i dubbi nella mia testa.

Di fatto, i confini mi hanno sempre affascinato. Da bambino adoravo i mappamondi e gli atlanti: di riflesso, sbirciavo con curiosità le terre che dividevano uno Stato dall’altro. Era un’attrazione naturale, fantasticavo su come potessero vivere le persone lì, cosa facevano, che lingue parlavano. L’ingenuità di bambino, nel tempo, ha fatto spazio a domande tipicamente “adulte”: ma questi confini a quale esigenze rispondono? Sono stati delineati in base a quale criteri? La natura ha ancora voce nella definizione di questi confini oppure sono stati definiti solamente dall’essere umano?

Durante il viaggio in camper di Daniel Tarozzi che ha dato vita ad Italia che Cambia e successivamente in diverse occasioni di viaggio per lavoro, vivevo e vivo la sensazione elettrizzante che mi dona l’oltrepassare il confine tra diverse regioni. Prima di questi ricordo un lungo viaggio da neopatentato, in un torrido agosto, per arrivare dal Lazio alla Croazia, ad Umago, in macchina: lingue e dialetti che gradualmente sfumano per fare spazio ad altri vocabolari, altri cibi, altri abiti e più ne ha più ne metta. Successivamente ho fatto diversi viaggi in aereo, ma non ho vissuto la stessa sensazione: forse il cielo è un elemento comune che sfuma i confini?

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Allora mi domando: se le costellazioni che un tempo servivano anche per orientarsi erano un elemento di unione, perché il confine oggi diventa spesso elemento di divisione? Perché, come ci racconta spesso Daniel Tarozzi, il confine tra Haiti e Repubblica Dominicana – che si trovano sulla stessa isola! – è caratterizzato da una differenza abissale in termini di benessere socio-economico tra i due Stati? Perché, come specie umana, riusciamo a dividere un’isola e poi sentiamo come nostre le storie e le connessioni con persone che da generazioni vivono in Argentina – solo per fare un esempio delle storiche migrazioni italiane – o lontanissimo da noi?

Poi, questi confini sono davvero un limite? Oppure nascondono opportunità che non riusciamo a cogliere? E che dire di un territorio come la Lunigiana, una regione storica e naturale ma priva di riconoscimento amministrativo, divisa tra le attuali Liguria e Toscana ma storicamente e geograficamente connessa anche con parte dell’Emilia? Ha senso parlare di Lunigiana? E se ne ha, in quali termini? Chi vive lì, come si sente? Toscano, ligure, lunigianese, appartenente a una valle, a un fiume, abitante dell’Appennino o che cos’altro? Forse nel sentirsi parte di tutto o di nulla allo stesso tempo risiede la vera opportunità di evoluzione? Cosi, per dirla con Barbara Maffei, il confine è davvero libertà?

In Lunigiana abbiamo scoperto progetti interessantissimi, sviluppati da persone coraggiose e accomunate da una visione: quella di riscattare questo territorio

Questi e altri dubbi amletici li ho condivisi con i pazienti e gentili protagonisti di questo lavoro: tutte e tutti, a loro modo, hanno deciso di rimanere o di continuare a vivere nelle terre lunigianesi e di dare il proprio contributo per valorizzare le meraviglie, naturalistiche e non, di questo territorio. Per creare opportunità, rispondere ad aspettative e sogni delle persone che lasciano questa terra verso altri lidi: la Lunigiana è infatti, nell’immaginario comune, a tutti gli effetti un’area interna – un “territorio marginale”, per citare una delle peggiori espressioni che ho sentito in questi anni – ed è interessata da quasi tutti i fenomeni tipici di queste zone.

Ci sono, d’altro canto, numerosi e concreti segnali di speranza per i “figli dell’Appennino” della Lunigiana, come li ha definiti Pierangelo Caponi di Sigeric.  In questo e altri video abbiamo provato a raccontarveli, perché mai come oggi i territori considerati “sfortunati” hanno bisogno di un nuovo immaginario che valorizzi ciò che di prezioso hanno e possono dare. Con un occhio al passato, perché forse la più grande fortuna di questi territori è proprio quella di non essere stata intaccata profondamente dai processi di industrializzazione della nostra società. Come dicevamo all’inizio, essere un limite estremo non racconta tutta la storia e noi, tutte e tutti, abbiamo bisogno di una narrazione diversa. Buona visione!

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