Camminare o fare un cammino: qual è la differenza?
Camminare, fare un’escursione, percorrere un cammino. Concetti spesso accomunati nascondono delle differenze sostanziali. Quali? Lo abbiamo chiesto alla guida ambientale escursionistica Sara Zanni.

Camminare è una delle prime attività che impariamo a fare nella nostra vita. Eppure «viviamo in una società che si è distaccata dalle modalità di vita tradizionali e camminare è percepito come un’attività sportiva svolta in modo quasi velleitario. Quando dici “vado a camminare” si pensa al benessere o allo svago, non che i nostri piedi possono essere anche un mezzo di spostamento».
Comincia così la chiacchierata con Sara Zanni, guida ambientale escursionistica e autrice di guide di cammini. L’ho contattata per uno scopo preciso: definire con precisione la differenza che c’è fra camminare e fare un cammino. Tale differenza appare abbastanza scontata, ma ci sono molte interessanti considerazioni che ne definiscono i confini.
«Tradizionalmente – mi spiega Sara – soprattutto nelle zone alpine si cammina come attività turistico-ricreativa, si fa turismo lento, stanziale, nel senso che si stabilisce una base e poi si fanno escursioni di 1 o 2 giorni per poi rientrare. Questa è un’attività turistica su cui basa buona parte dell’economia di tante località». In comunità dove le modalità veloci di spostamento – e più in generale di vita – faticano a fare breccia dunque, camminare ha ancora molti scopi, non ultimo quello turistico. «Negli ultimi anni questa attività ha iniziato a prendere piede anche in zone d’Italia che prima non erano interessate da questo tipo di turismo, anche se magari la gente del posto andava già per boschi», aggiunge Sara.

Camminare, cammini ed escursionismo
La mia interlocutrice scende ulteriormente nei dettagli e mi spiega che «il camminare è una categoria molto più ampia rispetto al turismo dei cammini, ma c’è anche una sottocategoria che è quella dell’escursionismo itinerante. Ad esempio quello dei GR [dal francese Grand Randonnée, ndr], sentieri lunghi che si possono percorrere a tappe fermandosi ogni giorno in una località diversa. A loro volta i cammini sono una sottocategoria del camminare itinerante».
Fra i cammini il capostipite è sicuramente quello di Santiago, ma oggi abbiamo più di 120 cammini in Italia. «Santiago è ancora quello più frequentato, ma soprattutto negli ultimi 10 anni il settore dei cammini italiani è cresciuto moltissimo. Abbiamo iniziato con la Francigena, che è stata riconosciuta come Itinerario Culturale europeo già nel 1994 e adesso è candidata a diventare patrimonio dell’umanità Unesco. Dalla Francigena poi il movimento si è esteso in tutta Italia».
Percorrere un cammino significa sì camminare, ma spesso con uno scopo abbastanza preciso. «La maggior parte dei cammini italiani ha un’origine tematica e si rifà magari alla vita di un santo o conduce un santuario – come il Cammino di Oropa. C’è comunque spesso una forte ispirazione religioso-culturale. La differenza fra un sentiero e un cammino sta in questo approccio culturale: un cammino ha sempre un’identità precisa, non è solo un bel percorso da fare a piedi in Natura, ma serve anche a chi l’ha ideato per raccontare un aspetto specifico del territorio attraversato».
Questo approccio si differenzia in maniera sostanziale da quello dell’escursionismo sui sentieri, a partire dall’ambientazione: i sentieri di montagna e le alte vie si snodano in quota, i cammini spesso si snodano in campagna, sulle colline o a mezza valle. Ma la differenze non finiscono qui: «L’escursionista cerca spesso l’immersione nella natura, chi fa cammini percorre itinerari generalmente con modesti dislivelli ma con grandi distanze. Il camminatore da escursionismo poi spesso ha un approccio performante, chi fa cammini è più turista lento, vuole immergersi nella natura, vivere un’esperienza culturale, incontrare persone, scoprire un territorio. Sono due mondi che si toccano, ma non è detto che ci sia uno scambio facile utenza. Anche le scarpe sono diverse!».

Sempre più gente in cammino
In Italia quello dei cammini è un movimento che è cresciuto moltissimo dal 2014 circa. «All’inizio – ricorda Sara – si trattava di piccole associazioni di volontari che strutturavano i percorsi poi a partire dal 2016, proclamato dal Ministero “Anno dei cammini”, si è registrato un significativo aumento di presenze. L’iniziativa era volta a sostenere questo movimento che stava iniziando a lavorare su tanti territori periferici per portare flussi ed economie in località soggette ad abbandono. Ma lo scopo era anche regolamentare questo settore con criteri minimi per il riconoscimento dei cammini».
Durante la pandemia c’è stata un’ulteriore impennata del numero di persone che volevano approcciarsi ai cammini, a cui però non è corrisposta una comunicazione attenta sui valori e sulle ragioni del cammino. «Diciamo che c’è stata un forte spinta alla valorizzazione dei territori e un’attenzione non altrettanto forte a quelli che sono i valori del camminare. Per inciso, guardando in modo critico i dati degli ultimi anni vediamo un grande aumento di cammini ma un aumento non proporzionale del numero di camminatori». La tendenza quindi, secondo Sara, va verso un’offerta eccessivamente ampia rispetto alla domanda.
Camminare è anche un riappropriarsi del proprio corpo
Come si arriva dal camminare al fare un cammino?
Il camminare in genere sta crescendo molto perché include una serie di attività più ampia. Ciononostante, il passaggio dal camminare al fare il cammino non è scontato: «Nel 2024 soci Club Alpino Italiano erano 356000, quasi tutte persone che vogliono supportare il settore anche se magari non camminano spesso oppure escursionisti da giornata».
In generale, camminare sta entrando sempre di più nella quotidianità delle persone, anche di quelle che si sentono ancora lontane da escursioni e cammini. Sara – bolognese come me – mi fa un esempio che conosciamo bene entrambi: «Prendiamo il portico di San Luca a Bologna [portico che conduce all’omonimo santuario lungo circa 2,2 chilometri con 215 metri di dislivello, ndr], nei weekend e ormai anche durante la settimana bisogna quasi fare la fila per percorrerlo». L’utenza? Sportivi, fedeli, turisti, gitanti della domenica e tante altre variegate categorie di persone. Tutte legate da un filo rosso: camminare.
«Molta gente ha voglia e bisogno di muoversi, si è riscoperto che camminare fa bene, anche solo per una questione di salute questo genere di attività, come anche il ciclismo, sta prendendo piede», fa notare Sara in conclusione. «È anche un riappropriarsi del proprio corpo. Io lo vedo come un elemento di speranza il fatto che gli esseri umani si stiano ricordando di avere delle gambe e dei piedi. In un contesto urbano esplorare modelli diversi di mobilità rispetto al sedersi in macchina è una prospettiva che si dovrebbe esplorare di più. Camminando non passi sopra, passi dentro. E ti riappropri degli spazi».
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