19 Maggio 2025 | Tempo lettura: 7 minuti

Con Scarto l’arte arriva nelle scuole per parlare di ambiente e cultura circolare

Un laboratorio artistico che ha coinvolto diverse scuole per coinvolgere i giovani parlando di problemi e soluzioni posti dai cambiamenti climatici, dalla crisi ambientale e dalle nuove tecnologie.

Autore: Paolo Cignini
La performer Masako Matsushita avvolta in un telo argentato durante la performance SCARTO/SCRAP – ph. Anna Kushnirenko

“Se fossi uno scarto, mi convincerei di non esserlo. Nessuno è uno scarto”. Così ha scritto Matteo, uno studente di 17 anni, alla fine di un laboratorio sul cambiamento climatico. Non un laboratorio qualunque, ma un percorso che unisce danza contemporanea, intelligenza artificiale, educazione ambientale e un’idea radicale: ridare valore a ciò che viene messo da parte. Agli oggetti, ai corpi, alle emozioni. Ai residui.

SCARTO/SCRAP non è solo una performance e non è solo un laboratorio. È un viaggio esperienziale, politico e poetico che ha attraversato scuole, teatri e territori tra Italia e Finlandia, coinvolgendo oltre 120 giovani, 16 docenti, 4 artisti e una costellazione di partner. Un tentativo riuscito di rispondere all’eco-ansia con il movimento, alla frammentazione con il corpo e alla crisi climatica con nuove narrazioni capaci di rigenerare senso e azione.

Dal Green Learning a SCARTO/SCRAP: la nascita di un dispositivo culturale

SCARTO nasce nel 2022 dal processo di ricerca artistica condotto della coreografa Masako Matsushita durante il progetto Green Learning, promosso da Sineglossa insieme a una rete interregionale che include il Comune di Bassano del Grappa, OperaEstate Festival Veneto, l’Università Politecnica delle Marche, diverse scuole secondarie e Italia che Cambia.

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Scarto, foto di Giulia Di Vitantonio

Il concetto di “scarto” si è rivelato una chiave potente. Scarto come rifiuto, ma anche come margine, resto, occasione. Masako, insieme a un team di artisti e ricercatori, ha iniziato a costruire attorno a questo tema un progetto ibrido: una performance e un laboratorio, due strumenti autonomi ma intrecciati. Nel 2024 il progetto dal titolo “SCARTO/SCRAP: Il valore di ciò che resta” si espande grazie ad alcuni finanziamenti e coinvolge due scuole italiane e due finlandesi in un cammino di sette mesi. Obiettivo: usare danza contemporanea e intelligenza artificiale per affrontare temi come l’eco-ansia, l’ingiustizia climatica, la transizione ecologica. Non da esperti, ma da corpi vivi, in ascolto.

La performance SCARTO: una danza tra corpo, ambiente e intelligenza artificiale

La performance SCARTO è il cuore espressivo del progetto. Una creazione firmata da Masako Matsushita, in collaborazione con il video artist Matteo Matteo Maffesanti, la performer Isabel Paladin e il curatore new media Paolo Paggi, che traduce in linguaggio corporeo le domande su cui si fonda tutto il percorso: cosa significa oggi essere uno “scarto”? Qual è il rapporto tra corpo e tecnologia? Cosa resta di umano in un mondo dominato dai dati?

In scena, la danzatrice si muove in uno spazio digitale in costante mutazione. Ogni gesto interagisce con un sistema algoritmico progettato per elaborare in tempo reale dati di movimento, generando suoni, effetti visivi, risposte ambientali. Il corpo non danza su una musica o su una scena, ma dentro una struttura che lo osserva e reagisce. È una relazione a due: corpo e macchina, presenza e calcolo. Non c’è una storia da seguire, ma un’esperienza da attraversare. La figura danzante – umana, artificiale, ibrida – si trasforma progressivamente: si smaterializza, si frammenta, si rigenera. Il pubblico assiste a un processo che mette in discussione le categorie di centro e margine, inclusione ed esclusione, esattamente come avviene nel discorso sullo “scarto”.

La performance è pensata per essere flessibile e replicabile: si adatta a spazi teatrali, ma anche a contesti scolastici e non convenzionali. È una parte integrante del dispositivo SCARTO/SCRAP sviluppato per il Culture of Solidarity Fund e funziona come attivatore visivo e sensoriale per il lavoro che si sviluppa poi nei laboratori. Per molti studenti e studentesse, rappresenta il primo incontro diretto con un linguaggio performativo non lineare, e apre uno spazio di riflessione che tocca temi molto concreti: il corpo, il limite, l’identità, l’ambiente.

Sono sempre di più gli studi nel campo delle neuroscienze e della pedagogia che mostrano come l’arte attivi aree cerebrali coinvolte nell’empatia, nell’elaborazione emotiva e nella costruzione del senso di sé. Educare attraverso linguaggi artistici, come la danza o la narrazione performativa, non solo stimola la creatività, ma favorisce un apprendimento più profondo, capace di trasformare concetti astratti – come l’ingiustizia climatica o l’eco-ansia – in esperienze vissute. 

Nell’articolo Learning about climate change in, with and through art, la dottoressa Julia Bentz del Centre for Ecology, Evolution and Environmental Changes spiega come un approccio educativo basato sulla paura, quando si parla di questioni ambientali, possa generare eco-ansia nei bambini e nei giovani. Al contrario l’arte sembra capace di suscitare una connessione emotiva, favorendo così una risposta empatica e partecipativa. In altre parole: l’arte non spiega il problema, lo fa sentire. E sentirlo è il primo passo per scegliere di agire.

SCARTO LAB: un laboratorio per attraversare la crisi con corpo e pensiero

Se la performance SCARTO apre una ferita, il laboratorio è il luogo in cui quella ferita si osserva, si nomina e si lavora. Non è un approfondimento teorico, né un debriefing. SCARTO LAB è un’esperienza educativa autonoma, costruita su un approccio partecipativo e corporeo pensato per attivare nei ragazzi e nelle ragazze una riflessione viva sulla crisi ecologica, la percezione individuale e il ruolo possibile dell’azione.

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Il laboratorio dura circa due ore ed è rivolto a classi delle scuole superiori, normalmente tra i 15 e i 18 anni. Viene proposto subito dopo la performance, per sedimentare quanto visto in scena e trasformarlo in strumenti di lettura critica e attivazione. Il tono non è mai didascalico: non si danno risposte, si pongono domande. Si parte da una lettura collettiva del cambiamento climatico, non basata su dati o allarmi, ma sulla percezione che ciascuno ha della crisi. Da lì si apre un lavoro più profondo che affronta la distanza tra ciò che sappiamo e ciò che ci sentiamo in grado di affrontare: un divario che spesso si manifesta come eco-ansia, paralisi o senso di impotenza.

Il percorso prosegue con l’emersione di possibili risposte attraverso il confronto e l’ascolto reciproco. Si lavora su scenari immaginabili, su alleanze, su azioni semplici ma condivise. Infine si entra nel corpo: con esercizi fisici essenziali, si cerca di trasformare il pensiero in gesto, postura, spazio vissuto. Non si tratta di fare danza, ma di attivare il corpo come strumento di elaborazione.

Il laboratorio è stato costruito a partire dalle competenze pedagogiche, tecnologiche e artistiche del team, ma soprattutto è stato modellato sul campo, a contatto diretto con gli studenti. Ed è da loro che arriva la misura più chiara del suo impatto: dai volti, dai silenzi, e soprattutto dalle parole lasciate a fine incontro. Come quella di Francesco: “Il significato di scarto non esiste. È creato da quello che pensiamo”.

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Le parole degli studenti: specchi aperti, non conclusioni

Una frase che vale da sola un articolo, ma che non è l’unica. Le parole raccolte al termine dei due laboratori svolti con gli studenti dell’Istituto Professionale Cesare Pesenti di Bergamo (IT) e della Kruununhaan yläasteen koulu di Helsinki (FI) restituiscono il senso del progetto meglio di qualsiasi descrizione. Alcune sono lampi, altre piccole dichiarazioni di cambiamento. Tutte mostrano che qualcosa si è mosso.

“Se fossi uno scarto, mi convincerei di non esserlo. Nessuno è uno scarto”, scrive Matteo. “Arte e intelligenza artificiale possono collaborare. Lo ho capito proprio oggi”, è il pensiero di Emma, mentre Tommaso racconta che “durante lo spettacolo ho provato stupore, ma anche tristezza. Lo scarto non è un argomento positivo”. “Un oggetto scartato – secondo Silvia – potrebbe essere arrabbiato. Come noi, quando ci sentiamo messi da parte”. E infine Valentina: “Il mio sogno è, dopo essere stato usato e in certi casi rotto, di essere riciclato e rivivere una nuova vita piena di emozioni”.

Nessuna di queste frasi è stata suggerita, preparata o selezionata con anticipo. Sono ciò che rimane dopo un incontro. Il residuo attivo dell’esperienza. È lì che si misura il senso del progetto: non nei numeri, ma nel modo in cui il linguaggio si trasforma, e con esso lo sguardo sul mondo.

SCARTO/SCRAP è un progetto prodotto da 23/C ART / Festival Danza Estate con il supporto di European Cultural Foundation, Culture Moves Europe, Istituto Italiano di Cultura di Helsinki e Linificio e Canapificio Nazionale.

Il progetto si è concluso ad aprile 2025, ma SCARTO – come performance e laboratorio – può essere replicato in scuole, contesti educativi o festival. Per informazioni o richieste è possibile visitare: www.masakomatsushita.com/contacts