5 Maggio 2025 | Tempo lettura: 5 minuti

Supercoppa UEFA 2025: volontari o lavoratori gratis?

La FIGC recluta volontari per la Supercoppa UEFA 2025, un evento sportivo multimilionario. Ma si tratta davvero di volontariato o di lavoro non retribuito? Un’analisi sul confine tra impegno gratuito, terzo settore e sfruttamento del lavoro nello sport.

Autore: Paolo Cignini
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In breve

La Federazione Italiana Gioco Calcio cerca volontari per ricoprire ruoli professionali; si apre così un dibattito sul senso del lavoro.

  • Per l’evento di Supercoppa UEFA 2025 è stata lanciata una call per volontari che ricoprano ruoli come controllo degli accessi e gestione dei flussi di spettatori.
  • Questo fatto apre un dibattito sul ruolo del volontariato in Italia e sul suo rapporto con il lavoro regolare.
  • Per una riflessione corretta è opportuno non solo prendere in considerazione l’aspetto economico ma anche capire che ruolo ha il lavoro dal punto di vista sociale e culturale.

La FIGC ha recentemente diffuso un bando per reclutare “volontari” in occasione della Supercoppa UEFA 2025 in programma per il prossimo 13 agosto a Udine. Parliamo di un evento internazionale che sarà trasmesso in mondovisione, sostenuto da sponsor di altissimo profilo e con diritti televisivi da capogiro. Eppure una parte significativa dell’organizzazione sarà affidata a persone non retribuite, verosimilmente attratte dalla possibilità di partecipare attivamente a un grande evento. Ma prestare supporto operativo a chi, esattamente? E soprattutto: si può davvero definire volontariato?

La questione non è soltanto l’assurdità di vedere la Supercoppa UEFA 2025, uno degli eventi sportivi più lucrativi, affidarsi anche al lavoro gratuito di cittadini. Il punto centrale è che tale dinamica sta diventando normalizzata. E questa progressiva normalizzazione merita uno sguardo critico e consapevole. Il termine “volontariato” ha assunto connotazioni ambigue, arrivando a includere attività che in altri contesti sarebbero legittimamente retribuite e regolarmente inquadrate.

La call per la Supercoppa UEFA 2025

Nel caso specifico della FIGC e della Supercoppa UEFA 2025, ciò che emerge è una richiesta di lavoro non retribuito nel settore sportivo, mascherata da esperienza volontaria. Le mansioni richieste ai volontari sono tutt’altro che simboliche. Si tratta di ruoli operativi: accoglienza, logistica, gestione dei flussi, controllo accessi. Compiti tipici del personale professionale. Ma senza contratto. Senza compenso. Al loro posto si offrono un badge, una pettorina e l’illusione di vivere da vicino un grande evento.

stadio udine
Lo stadio di Udine ove si Giocherà la Supercoppa UEFA 2025

Questo tipo di “volontariato professionale” nel contesto sportivo introduce un’ambiguità semantica rilevante: si tratta di lavoro o intrattenimento mascherato? È probabile che molte persone si candidino. Ma cosa le spinge davvero? Forse il fatto che in una società dove il lavoro è sempre più precario, svalutato e disumanizzato, ciò che conta è esserci. Sentirsi coinvolti. Attribuirsi un ruolo, anche provvisorio, anche gratuito.

Quando il lavoro perde di significato, quando viene svuotato di progettualità e riconoscimento, anche il simulacro di un’occupazione può assumere un valore simbolico forte. Questa dinamica ci pone di fronte a una domanda sostanziale: qual è il limite tra volontariato autentico e lavoro gratuito dissimulato? In eventi di questa portata, la partecipazione gratuita non è più percepita come un’anomalia. Diventa quasi un privilegio, un’opportunità di visibilità e coinvolgimento. Ma nel linguaggio e nella pratica si perde così il senso profondo del valore del tempo, dell’impegno e delle competenze individuali.

Oggi il concetto di lavoro è in crisi anche sul piano linguistico. Sempre più confuso con passione, attivismo, svago. Un paradosso contemporaneo: milioni di persone lavorano troppo, altre non lavorano affatto. E nel mezzo c’è chi lavora gratuitamente per sentirsi riconosciuto. Nel mondo dello sport e non solo, la retorica della “formazione sul campo” e della “grande esperienza” ha preso il posto della dignità e della giusta retribuzione.

In una società dove il lavoro è sempre più precario, svalutato e disumanizzato, ciò che conta è esserci

Il lavoro, per essere tale, dovrebbe essere riconosciuto. E valorizzato. Dovrebbe produrre significato per chi lo compie e per chi ne beneficia. Se genera valore, va retribuito. In modo proporzionato, equo, trasparente. Non si tratta di demonizzare il volontariato né di opporre chi lo pratica “per bene” a chi lo vive in modo più individuale o occasionale.

Qualche numero su volontariato e terzo settore

Esistono contesti in cui l’impegno volontario è motore di trasformazione, fondato su gratuità, reciprocità, valore collettivo. In Italia il terzo settore è tra i più articolati in Europa. Secondo l’ISTAT, al 31 dicembre 2022 operavano 360.061 organizzazioni non profit, con 919.431 dipendenti, in aumento del 2,9% rispetto all’anno precedente. Quanto ai volontari, nel 2021 il 72,1% di queste realtà si avvaleva del contributo gratuito di oltre 4,6 milioni di persone.

Questi numeri raccontano un tessuto sociale vitale. Ma indicano anche la necessità di non banalizzare la parola “volontariato”, soprattutto quando utilizzata in contesti orientati al profitto o alla visibilità commerciale. Serve una riflessione culturale, condivisa, per salvaguardare l’essenza di un impegno che ha senso solo se radicato nella gratuità consapevole. Italia Che Cambia osserva e racconta quotidianamente la varietà del mondo non profit. Conosce le esperienze che nascono dal desiderio autentico di contribuire. E sa quanto sia importante non semplificare, né confondere.

Vuoi approfondire?

Ascolta la puntata di “A tu per tu” sul senso del lavoro.

Distinguere è oggi un atto di giustizia. Da un lato ci sono contesti in cui l’impegno gratuito costruisce comunità e valore condiviso. Dall’altro situazioni in cui il lavoro non retribuito si traveste da opportunità, ma replica dinamiche di sfruttamento del lavoro gratuito. Quando la parola “volontariato” viene utilizzata per coprire la mancanza di tutele e compensi in eventi milionari, si genera un corto circuito etico. Non si tratta più di partecipazione, ma di lavoro gratuito subordinato a una narrazione promozionale.

Volontariato: da dove ripartire?

Allora sorgono domande cruciali: come chiamiamo tutto questo? Come raccontiamo queste scelte? Che parola usiamo per chi lavora, senza retribuzione, con responsabilità e orari? Forse è proprio dal linguaggio che occorre ripartire. Dalla consapevolezza che il lavoro ha una dignità non solo economica, ma anche culturale, simbolica, sociale. Distinguere tra dono e obbligo, tra partecipazione e subordinazione, tra entusiasmo e necessità: questa è una delle sfide culturali più urgenti del nostro tempo.

Anche se il Primo Maggio è trascorso, vale la pena continuare a porci queste domande. Che rapporto abbiamo oggi con il lavoro? Siamo ancora in grado di riconoscerlo, di rispettarlo? Perché senza riconoscimento, il lavoro non esiste. Senza consapevolezza, non c’è scelta. E senza dignità, non può esserci festa. Nemmeno quella dello sport.