2 Maggio 2025 | Tempo lettura: 8 minuti

Con il Training Nonviolento il conflitto si risolve… giocando!

Con il mediatore e pedagogista napoletano Antonio Lombardi scopriamo come risolvere il conflitto attraverso il gioco ispirandosi al metodo del Training Nonviolento.

Autore: Fulvio Mesolella
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In un’epoca segnata da guerre sempre più vicine e da una crescente militarizzazione del discorso pubblico, apprendere e insegnare tecniche di pace attiva come il training nonviolento sembra diventare una necessità. L’Europa è tornata a fare i conti con i conflitti armati ai suoi confini e la retorica del nemico da combattere è penetrata profondamente nel dibattito pubblico, nelle istituzioni e persino nelle scuole. In Italia, da diversi anni, la presenza dei militari negli istituti scolastici è in costante aumento: attività di orientamento, percorsi PCTO svolti in caserma, lezioni su legalità e sicurezza tenute da ufficiali, fino a vere e proprie cerimonie militari sono ormai diffuse in tutto il paese secondo quanto riporta l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole.

Nei mesi scorsi abbiamo già raccontato esperienze significative: dalle scuole gratuite di italiano per migranti organizzate dalla Scuola di Pace di Napoli, all’ecopacifismo del Movimento Internazionale per la Riconciliazione, fino allo Sportello della Pace attivo in una scuola della provincia di Caserta. In questo articolo, entriamo nel cuore di un’esperienza educativa diversa e radicale: il Training Nonviolento, raccontato da Antonio Lombardi – pedagogista, mediatore e fondatore del Centro per la Nonviolenza nei Conflitti – che da anni lavora per trasformare il conflitto in occasione di crescita, senza ricorrere alla violenza, ma senza cedere all’inerzia

Nelle nostre scuole entrano sempre più i militari, siano essi forze dell’ordine, per parlare di droghe o i pericoli di internet, siano essi ufficiali dell’esercito, con l’intento di orientare verso l’arruolamento: che ne pensi?

Anche i militari ritengono di educare alla pace: questo è concepito come un equilibrio degli armamenti in chiave di deterrenza e all’occorrenza come effetto di un intervento bellico. Sul piano formativo a questa visione corrisponde un accurato addestramento dei loro allievi a raggiungere il migliore risultato possibile: uccidere senza essere uccisi, distruggere senza essere distrutti. Se la pace ha questa connotazione cimiteriale, allora sembrano utili l’aumento delle spese per la difesa armata, la rappresentazione della guerra come strumento di promozione della pace e le campagne di reclutamento di soldati persino nelle scuole.

nonviolenza

Come dovremmo educare alla pace allora?

Se abbiamo una visione differente della pace – più positiva e costruttiva – allora occorre educare a un modo alternativo ed efficace di affrontare le relazioni difficili, le aggressioni e le ingiustizie, cioè i rapporti conflittuali. La categoria del conflitto è centrale in una prospettiva di pace disarmata, anche se può sembrare strana o contraddittoria tale affermazione. Il disorientamento probabilmente è generato dalla confusione di due livelli: quello del conflitto e quello della guerra, parole molto spesso utilizzate come sinonimi.

Come possiamo discutere di questo con dei militari, in maniera nonviolenta?

Io sono convinto che si possa affrontare un dialogo partendo proprio dalle loro convinzioni, ascoltate con sincera attenzione e rispetto, ma accompagnate da spunti per poterle essi stessi osservare da una prospettiva differente. L’obiettivo è aiutarli a interrogarsi sulle premesse di queste convinzioni – può darsi scarsamente consapevoli, date per scontate, assunte acriticamente – e verificarne l’origine, la validità, l’opportunità di abbandonarle per assumerne altre più libere e costruttive.

Quindi si può discutere anche evitando il conflitto?

Il conflitto è una condizione in cui si trova la relazione tra più soggetti – pensiamo metaforicamente a uno stato febbrile – mentre la guerra è lo strumento che si ritiene utile a scioglierne i nodi – il farmaco che viene utilizzato. Un farmaco nocivo può far salire la febbre anziché ridurla e portare persino alla morte del paziente. Così, una buona strategia per la pace non è imparare a fare meglio la guerra – somministrare due compresse anziché una dello stesso farmaco – ma decisamente cambiare farmaco, fare un’altra cosa.

Tu sei stato operatore del Training Nonviolento. Ci spieghi un po’ come funziona un intervento di questo tipo?

Il Training Nonviolento (TN) è basato su un apprendimento in gruppo soprattutto di tipo esperienziale in cui a tutti è offerta la possibilità di assumere un ruolo attivo. Esso punta alla globalità dell’individuo e ne valorizza non solo l’espressione verbale e cognitiva ma anche quella emotiva e corporea. È finalizzato a facilitare nei partecipanti il rafforzamento della capacità di ciascuno e del gruppo nel suo insieme di scoprire, sviluppare ed esercitare un potere di trasformazione e liberazione personale e sociale orientato alla nonviolenza. Nella sua applicazione concreta il TN si articola su due realtà fondamentali: il gioco (esercizi) e  il conflitto.

Il Training Nonviolento è basato su un apprendimento in gruppo soprattutto di tipo esperienziale in cui a tutti è offerta la possibilità di assumere un ruolo attivo

Parlaci un po’ del gioco.

Il gioco è una formidabile opportunità per ogni età perché – soprattutto con i giochi cooperativi – coinvolge in situazioni in cui sperimentare interazioni, portare bisogni e emozioni, elaborare regole, rispettarle o metterle in discussione, uscire dalle usuali cornici, esplorarle, osservare le proprie risposte che sanno di automatismo e curiosare liberamente andando alla scoperta di nuove visioni della vita. Una situazione protetta inoltre consente di verificare senza eccessivi timori le conseguenze dell’agire. E dopo il gioco c’è il dopo-gioco, il momento riflessivo su quanto è accaduto, la fase più propriamente elaborativa. Gioco e dopo-gioco: il ritmo fondamentale sul quale il TN compone le sue armonie di attivazione per il cambiamento.

Ci puoi fare un esempio concreto di questi tipi di giochi?

Nei percorsi di educazione alla pace, un esercizio con cui può essere opportuno iniziare è finalizzato a rendere consapevole il gruppo dell’idea del conflitto. Ad esempio, utilizzando immagini – senza scritte e non esplicitamente riferite all’argomento – ritagliate da riviste. L’invito ai partecipanti è di scegliere un ritaglio per rispondere a questa domanda: “Che immagine ho del conflitto?”. Una volta completata tale fase, si possono condividere pensieri e sentimenti collegati alla scelta compiuta e farne elementi di riflessione e chiarificazione.

Successivamente, con altri strumenti, si possono esplorare i comportamenti nel conflitto, proponendo strategie e mezzi nonviolenti per una sua trasformazione da rischio a opportunità. Questo cambiamento nell’approccio è certamente impegnativo, tanto nelle relazioni interpersonali quanto in quelle sociali e politiche può risultare anche particolarmente faticoso, ma è sempre praticabile. Esso apre la strada a preferire creativamente qualcos’altro invece di esercitare violenza, sia pure solo verbale, fino a precipitare nella guerra.

Quindi si va a lavorare sulle vere cause del conflitto, per stare nel conflitto…

Abbiamo visto in precedenza come la categoria del conflitto sia centrale nell’educazione alla pace. Una sfida fondamentale del TN è proprio la proposta dell’irruzione nel conflitto di un’alternativa sia alla passività che alla distruttività, che eviti da un lato il senso di impotenza e dall’altro l’esasperazione: cose che, entrambe, possono aprire pericolosamente la via a una crescita della violenza. Si tratta di acquisire una competenza a saper stare nel conflitto.

gandhi

Quell’alternativa è l’assertività empatica ovvero la capacità di assumere responsabilmente un ruolo attivo, affermando senza violenza i propri bisogni e idee, ma restando al contempo aperti a quelli della controparte, mantenendo sempre una coerenza tra mezzi utilizzati e fini perseguiti. È il processo di trasformazione nonviolenta del conflitto, che passa attraverso una comunicazione che sappia: ascoltare attivamente; esprimersi francamente; riconoscere i bisogni; chiarire le richieste.

Lavori ancora su questi temi, ma in altro modo, oggi.

Ho utilizzato il TN per molti anni in contesti educativi e formativi differenti. Fino ad alcuni anni fa ho partecipato attivamente al movimento per la pace poi, in continuità di valori, mi sono interessato al mondo meridionalista e ho applicato la nonviolenza a una lettura critica della storia e della realtà attuale del nostro territorio, scoprendolo oltremodo ingannato ed emarginato. Curo un blog sulla storia di Napoli letta a partire da luoghi della città talvolta meno conosciuti, cercando di dare rilievo all’educazione all’identità come pratica nonviolenta liberatrice.

Ci parli dei tuoi ispiratori?

Vorrei ricordare Narayan Desai a dieci anni dalla morte, una figura forse poco nota ma significativa nell’ambito dell’educazione e formazione alla nonviolenza. Ultimo dei grandi leader viventi tra quelli che parteciparono direttamente alla lotta di liberazione dell’India, era figlio di Durga e Mahadev Desai, il quale fu segretario personale di Gandhi. Narayan trascorse l’infanzia e la giovinezza negli ashram fondati dal Mahatma, dedicando gran parte della vita a far conoscere Gandhi e l’importanza del suo pensiero alle giovani generazioni del suo Paese, anche con tanti ricordi personali.

Un lavoro prezioso e attualissimo, portato avanti con grande creatività. Dei tanti elementi di ammirazione che nutriva per il Mahatma, egli descriveva in particolare la capacità di assaporare i frutti della cultura del passato, rendendoli rilevanti per il presente e spargendo con essi i semi del futuro. Una lezione importante per chi nel nostro territorio vuole intessere la liberazione con il filo della nonviolenza, che è l’amore per la verità e la verità dell’amore.

Informazioni chiave

Guerra e conflitto non sono sinonimi

Il conflitto è una condizione in cui si può trovare la relazione tra più soggetti mentre la guerra è uno degli strumenti che si possono utilizzare per sciogliere i nodi.

Un’alternativa: il Training Nonviolento

Questo metodo spinge ad assumere responsabilmente un ruolo attivo nel conflitto, affermando senza violenza i propri bisogni e le proprie idee.

Il ruolo del gioco nella risoluzione del conflitto

Il gioco è un ottimo strumento perché rappresenta una situazione protetta e consente di verificare senza eccessivi timori le conseguenze dell’agire.