21 Feb 2024

Violenza di genere: “Tutti noi dovremmo mettere in discussione i nostri valori, opinioni e credenze”

Soltanto nelle ultime due settimane in Italia sono state uccise cinque donne per mano di uomini a loro vicini. Erano i loro mariti, i loro compagni, i loro padri. Siamo al punto in cui il fenomeno della violenza ha assunto in Italia il carattere dell'emergenza? Ne abbiamo parlato insieme a Ginevra Minichini, psicologa e coordinatrice del Centro Antiviolenza di Pomigliano d'Arco.

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Campania - Sono spaventose la velocità e la costanza con cui si verificano casi di femminicidio – 8 solo nel primo mese del 2024, secondo il Dipartimento della Pubblica sicurezza. Ma il drammatico dato ha continuato a crescere: soltanto durante le scorse due settimane abbiamo ascoltato, a pochi giorni di distanza, le notizie atroci di cinque donne che hanno perso la vita per mano di un uomo. Eva Kaminska, uccisa l’8 febbraio. Antonella Salomone, uccisa insieme ai suoi due figli l’11 febbraio. Nicoletta Zomparelli e sua figlia Renée Amato uccise il 13 febbraio e, il giorno dopo, Alessandra Mazza.

Compagni, mariti, fidanzati e ancora padri, fratelli e figli. Troppo spesso gli uomini si comportano come se la vita delle donne gli appartenesse. A volte le donne esistono per compiacerli e, quando non lo fanno, vengono uccise. E per quanto sempre più spesso si senta parlare di sensibilizzazione e di politiche di contrasto alla violenza di genere, alla luce degli ultimi avvenimenti questo sembra non bastare. Abbiamo lasciato la parola sul tema della violenza di genere a Ginevra Minichini, psicologa e coordinatrice del centro antiviolenza Estìa a Pomigliano, uno dei quattro CAV gestiti da Proodos.

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Perché la violenza di genere è ancora così radicata nella nostra cultura?

Purtroppo la violenza di genere, soprattutto la violenza sulle donne, è un fenomeno sempre più dilagante e le ultime vicende ne sono l’evidenza. Questo dato è inaccettabile in una società che si definisce, come fa la nostra, civilizzata. Le statistiche affermano che una donna su tre nel mondo subisce una qualche forma di violenza. La violenza sulle donne trova origine in fattori socioculturali, in particolare nella cultura patriarcale che si manifesta nelle differenze in termini di potere tra i generi. L’uomo esercita la sua autorità su moglie e i figli, mentre la donna si occupa prevalentemente dei lavori di cura. Questa cultura inizia a essere interiorizzata fin dall’infanzia, in modo più o meno evidente.

In tutto ciò che lotta e contrasto alla violenza di genere siamo ancora all’inizio. Come centro antiviolenza portiamo avanti attività di sensibilizzazione, soprattutto in contesti scolastici, perché crediamo che sia importante agire sulle giovani generazioni e far sviluppare nei ragazzi pensieri e valori basati sul rispetto. Vogliamo insegnare a non vedere il maschile come opposto o superiore al femminile, e a non disprezzare e rifiutare tutto ciò che riguarda il femminile.

Abbiamo bisogno di una rivoluzione civile e culturale. Abbiamo bisogno di informare le nuove generazioni, ma non solo. Noi adulti dobbiamo mettere in discussione noi stessi, perché siamo il modello di riferimento dei ragazzi in qualità di educatori, di genitori, di formatori e abbiamo il dovere di adottare in prima persona modelli educativi che siano basati sul rispetto e sull’uguaglianza.

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Molto spesso si tende a scambiare la gelosia con l’amore ed episodi di violenza con romanticismo. Come possiamo decostruire questa cultura del possesso, che ci spinge a voler controllare il o la partner?

Bisognerebbe portare avanti un’educazione affettiva e insegnare a riconoscere emozioni e sentimenti, per evitare di sviluppare relazioni patologiche o disfunzionali basate sul controllo e sulla gelosia. Oggi tra le ragazze si sente spesso parlare del “malessere”, di quanto piaccia il ragazzo possessivo e controllante. Bisognerebbe andare a indagare perché una figura del genere attiri. Con il centro Estìa stiamo per inaugurare degli eventi di sensibilizzazione, in cui cercheremo di analizzare e affrontare queste tematiche e capire quali sono i riscontri dei ragazzi.

Che tipo di supporto viene dato alle donne all’interno dei centri antiviolenza?

I centri antiviolenza accolgono donne e figli che vivono momenti di difficoltà emotiva, relazionale e sociale a causa di maltrattamenti e violenze. Al loro servizio c’è un’equipe di donne professioniste con una formazione specifica in questo campo, come psicologhe, assistenti sociali, educatrici e anche avvocate.

Siamo donne che lavorano per altre donne, aiutandole e accompagnandole lungo un percorso di rinascita

Il supporto psicologico aiuta le donne a elaborare i propri trascorsi di violenza e a ricostruire il proprio sé, sviluppando nuovi saperi, nuove competenze e prospettive. L’assistenza legale con il gratuito patrocinio dà la possibilità di essere seguite gratuitamente nel processo penale dalle nostre avvocate. Inoltre, importantissimo è l’orientamento al lavoro, perché una delle forme di violenza trasversale è proprio la violenza economica. Molte donne decidono di restare all’interno di una relazione violenta perché, prive di indipendenza economica, credono di non avere alternative.

Oltre alla questione economica, quali sono le altre ragioni che inducono le donne a rimanere in relazioni violente?

Spesso si sviluppa una dipendenza psicologica, per donne che, nella maggior parte dei casi, non hanno coltivato una libertà individuale e credono di non essere in grado di affrontare la vita da sole, hanno paura di non farcela e preferiscono stare con un uomo maltrattante perché sono sicure di quello che hanno. Sono donne non conoscono le proprie risorse perché non hanno sviluppato nel tempo la capacità di individuarle e tendono a indentificarle con quelle che sono gli uomini a mostrare loro. Sentendosi dire continuamente di essere incapaci, di non vale a nulla, di non essere buone madri o buone mogli o molto di peggio, perdono la propria l’autostima, si immedesimano in queste parole, iniziano a crederle vere.

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L’ultima fase del ciclo di violenza viene chiamato “luna di miele”: l’uomo, dopo aver perpetrato violenza per anni, per paura di perdere la donna considerata un oggetto di sua proprietà mostra un pentimento e chiede perdono. A questo punto è come se la donna rimuovesse il ricordo dei maltrattamenti e tende a perdonare e a sperare in un qualcosa di migliore per il futuro. Dopo anni di maltrattamenti, un piccolo gesto d’affetto appare meraviglioso. Ma non dura a lungo. Riprende il ciclo di violenze in un crescendo, fin quando non si arriva a una nuova esplosione di violenza psicologica, verbale, sessuale o fisica che sia.

Nel caso in cui sospettassimo episodi di violenza subiti da persone a noi vicine, come dovremmo comportarci?

Credo che sia utile aiutare la donna che crediamo vittima di violenza a riflettere e a riconoscere gli atteggiamenti che il maltrattante mette in atto nei suoi confronti. Consigliarle poi di rivolgersi alla rete territoriale adibita a quello di cui ha bisogno, tra cui i centri antiviolenza, e magari aiutarla a reperire numeri e contatti o consigliarle di rivolgersi direttamente alle forze dell’ordine.

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Cos’altro si potrebbe fare per mettere fine a questi continui femminicidi ed episodi di violenza di genere?

Nel privato tutti noi dovremmo mettere in discussione i nostri valori, opinioni e credenze, perché tutti proveniamo da una cultura patriarcale e molto spesso alcuni atteggiamenti si sono insiti in noi senza che ne siamo consapevoli. Credo tantissimo nell’attività di sensibilizzazione e rientra nelle nostre a attività come centri antiviolenza anche quella di far riflettere l’opinione pubblica sul tema della violenza di genere. Inoltre sarebbero necessari maggiori investimenti nei centri antiviolenza, perché purtroppo sono un servizio che più che mai si è reso necessario.

Infine, applicare le strategie inserite nella Convenzione di Istanbul, “le strategie delle tre P”: prevenire, cercando di estirpare alla radice i motivi culturali che portano alla violenza di genere, cambiando i nostri atteggiamenti, eliminando gli stereotipi e sensibilizzando l’opinione pubblica; proteggere le vittime attraverso centri speciali di protezione, come i rifugi o i centri antiviolenza; punire e dunque garantire che sia debitamente perseguita la violenza perpetrata.

Nel lavoro che facciamo ogni giorno nei centri antiviolenza, trovo la speranza che le cose possono cambiare in futuro. Abbiamo sposato la causa della lotta alla violenza di genere e ci facciamo forti del fatto che siamo donne che lavorano per altre donne, aiutandole e accompagnandole lungo un percorso di rinascita.

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