10 Luglio 2025 | Tempo lettura: 8 minuti

È arrivato il caldo estremo, ma cosa fanno i bambini nelle città bollenti?

Quanto migliorerebbe la condizione dei bambini se in quest’era di caldo estremo ci fossero aree gratuite e diffuse con prati, zone d’ombra, accesso all’acqua e possibilità di giocare? Ne parliamo con la pedagogista Vanessa Niri.

Autore: Valentina D'Amora
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In breve

L’infanzia urbana dimenticata nell’era del caldo estremo.
  • In estate milioni di bambini e adolescenti restano nelle città senza spazi adeguati, mentre le temperature superano i 40 gradi. Le città italiane non sono pensate né progettate per loro.
  • Chi vive in una situazione di fragilità è doppiamente penalizzato: senza refrigerio in casa, l’unico “rifugio” sembrano essere i centri commerciali.
  • L’assenza di una progettazione urbana e sociale per l’infanzia è una scelta politica. Rendere le città a misura di bambine bambini richiede coraggio, investimenti e un netto cambio di paradigma.

Ogni estate si ha la percezione che le città si svuotino. Ma è davvero così? In realtà a restare è una popolazione silenziosa di cui poco si parla: durante i mesi estivi sempre più adolescenti, bambine e bambini abitano spazi urbani diventati inospitali e soffocanti. Quello che dovrebbe essere un periodo di libertà e svago, nell’era del caldo estremo rivela una situazione ben più complessa e soprattutto diseguale.

Recentemente una pedagogista ha pubblicato sui social questo post: “Non si parla mai di niente, quando si parla di infanzia e adolescenza, perché non c’è pensiero, non c’è immaginario e non c’è percezione del problema. A me sembra invece che sia incredibilmente urgente che iniziamo a mettere insieme i tasselli di un puzzle che ci dimostra che non solo l’esistente è insufficiente, ma sta diventando anche insostenibile”.

La riflessione ha portato alla luce domande tanto scomode quanto urgenti: cosa accade all’infanzia urbana nell’epoca del cambiamento climatico? Quali spazi e quali proposte rispondono ai bisogni degli under 18 che vivono in città dove in questi giorni si raggiungono i 40-45 gradi percepiti? Ho fatto una chiacchierata con Vanessa Niri, coordinatrice pedagogica di Arci, che è l’autrice del post, un grido d’allarme e allo stesso tempo una chiamata alla responsabilità politica e sociale.

Vanessa, cosa significa crescere in una città che supera i 40 gradi in estate? Quali sono gli impatti quotidiani di questo caldo estremo su bambini, bambine e adolescenti?

Una città con queste temperature è un problema per tutti, ma ovviamente lo è di più per chi non può permettersi case con spazi aperti o aria condizionata. Chi vive condizioni di fragilità è più esposto di altri anche alle variabili e il caldo estremo è una variabile molto impattante, sulla salute, sul benessere, sui livelli di stress.

caldo estremo
Vanessa Niri

Le famiglie – e quindi i minori – in stato di povertà assoluta o relativa in Italia sono 4 milioni. Tra questi, adolescenti e bambini che vivono nelle città roventi non trovano refrigerio in casa e nemmeno di notte, non hanno abitazioni in campagna, ovviamente non hanno accesso agli stabilimenti al mare o in piscina. Ma anche per le famiglie che non fanno parte di quelle in stato di povertà l’estate rovente significa poche opportunità con i bambini se la città non struttura spazi aperti, diffusi e gratuiti dotati di verde, acqua e ombra.

Ci puoi fare degli esempi concreti di bisogni che oggi non vengono presi in considerazione quando si progetta lo spazio urbano estivo?

Lo spazio urbano non è mai – o quasi – pensato a misura di bambino e bambina. Le piazze sono sempre di più strutturate in modo da disincentivare la possibilità di fermarsi o giocare: sono spazi a misura di un adulto lavoratore che li attraversa solo per andare da un luogo a un altro. I bambini lasciati senza spazi aperti e accoglienti sono obbligati a passare il loro tempo in luoghi strutturati, sotto il controllo diretto degli adulti e con poche possibilità di sviluppo dell’autonomia.

D’estate i bambini passano il tempo sostanzialmente in due luoghi: a casa o nei centri commerciali con l’aria condizionata, che sono il paradosso più visibile, dal momento che pur essendo luoghi commerciali per eccellenza, permettono di poter passare intere giornate al loro interno senza essere obbligati a spendere, cosa che non succede invece negli stabilimenti balneari, nelle piscine e addirittura in alcuni parchi urbani e extraurbani per i quali si paga un biglietto.

Se la città non struttura spazi aperti, diffusi e gratuiti dotati di verde, acqua e ombra, l’estate rovente significa poche opportunità con i bambini

Nel tuo post parli di assenza di pensiero politico: secondo te in che modo potrebbe attivarsi un’amministrazione cittadina oggi, di fronte a queste temperature e all’assenza di soluzioni?

Ci sono tantissimi urbanisti, architetti ed equipe di lavoro multidisciplinari che hanno proposto e sperimentato soluzioni urbane più a misura dei bambini. Ma queste esperienze non trovano gambe nelle amministrazioni, perché prevedono costi di manutenzione ma soprattutto un pensiero di città diverso, meno connesso allo sviluppo economico e ai bisogni degli adulti. Scegliere di rendere le città a misura di bambino e quindi a misura di tutti significa seguire un pensiero politico preciso, con una precisa idea politica di sviluppo. Ci vuole coraggio da parte delle amministrazioni, ma credo che sia evidente che non si possa più aspettare.

Pensando a Genova, quali sono gli spazi urbani che secondo te andrebbero ripensati o riconvertiti?

La prima che mi viene in mente è la terribile Piazza Caricamento, su cui è stato fatto un lavoro di riqualifica che grida vendetta. Ugualmente, l’assenza di alberi diffusi nell’area del Porto Antico è incomprensibile nel 2025 e questo se parliamo del centro. Nelle molteplici periferie di questa città abbiamo una situazione di ville urbane poco pensate, poco curate, difficilmente raggiungibili, il cui verde è spesso recintato in modo che le persone non ne possano godere se non camminando sui vialetti asfaltati. Le ville urbane invece potrebbero restituire spazi verdi e freschi di prossimità.

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In Germania, Spagna, Svizzera, Regno Unito, Finlandia, Francia nelle città sono presenti numerosi giochi d’acqua e splash pad gratuiti per far rinfrescare i bambini in estate.

Ma penso anche a quanto sarebbe necessario, in questo periodo di caldo estremo, creare piazze in cui inserire playground acquatici ad accesso libero e gratuito, come se ne vedono in tutta Europa, in Paesi che non raggiungono neanche lontanamente le nostre temperature. Poi chiaramente andrebbero anche ripensati i centri estivi, che andrebbero dotati di spazi e offerte adeguati al caldo e alle temperature elevate e che possano essere veicolo di accesso a opportunità per tutti e tutte, in particolare per i figli delle famiglie fragili.

Secondo te qual è il rischio se di anno in anno continuiamo a ignorare il problema?

I bambini delle nuove generazioni stanno crescendo in un clima di guerra e di crisi climatica. Moltissimi tra loro sono poveri o poverissimi e sono destinati a non riuscire a elevare il proprio grado sociale perché la scuola non è più un ascensore sociale. Non hanno la possibilità di passare il proprio tempo a giocare con i coetanei perché non hanno spazi dove farlo. Crescono in città che quando sono piccoli non li vogliono perché disturbano e che quando sono adolescenti e si sfogano con risse e microcriminalità, invocano interventi repressivi, tanto più inutili quanto parliamo di adolescenti in età di sviluppo.

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La piscina può essere un’ottima soluzione per affrontare il caldo estivo. In alternativa ci sono giochi d’acqua gratuiti pensati per i bambini, come fontane “a raso” nei parchi cittadini.

Stiamo dicendo ai bambini in tutti i modi che non li vediamo, non li pensiamo e non ci occupiamo di loro fino al momento in cui non ci danno fastidio. L’estate certifica tutto questo con un lungo periodo di abbandono, senza figure extrafamiliari di riferimento, senza spazi accoglienti, senza proposte culturali o aggregative gratuite e diffuse. Non stiamo dando loro nulla, come adulti, se non una richiesta pressante di intervenire clinicamente sul malessere. Possiamo solo aspettarci il peggio.

Che tipo di narrazione pubblica servirebbe per cambiare sguardo su questi temi?

I bambini da più di trent’anni sono al centro della riflessione della politica e della società solo quando sono connessi a doveri sociali – come la scuola o il rispetto delle regole, ad esempio – oppure quando sono un problema per la famiglia che non può andare a lavorare in assenza di scuola o servizi educativi. I bambini e le bambine invece devono essere pensati come soggetti autonomi, con bisogni specifici a cui dovrebbe dedicarsi l’intera comunità.

I servizi educativi, se non si concepiscono i bambini in quanto soggetti politici, diventano un recinto strutturato a favore degli adulti e non dei minori. I risultati di questa assenza di riflessione – che ha toccato il suo apice con la legislazione nel periodo Covid – sono l’aumento del malessere dei bambini e degli adolescenti, che tocca livelli allarmanti e pare che nessuno metta in discussione il modo in cui questa società, le famiglie e la scuola li pensano. O meglio, non li pensano.