“Contro lo spopolamento non bastano i nomadi digitali”. Sul destino delle aree interne, parla Carlo Coni
Per Treballu, contro lo spopolamento non basta attrarre professionisti da remoto, serve costruire legami con le comunità locali, generare cultura e nuove opportunità.

Sempre più spesso si parla di spopolamento in Sardegna, un fenomeno che colpisce soprattutto le cosiddette aree fragili o marginali. Ed è proprio in questo contesto che spesso ci si chiede se i nomadi digitali, ovvero chi da remoto sceglie liberamente il posto in cui lavorare senza vincoli di spazio, possano offrire una risposta concreta al progressivo svuotamento dei paesi.
I social media mostrano spesso immagini e racconti di professionisti che lavorano in modalità smart da luoghi immersi nella natura, dove il tempo rallenta e il silenzio diventa risorsa. È una narrazione affascinante, che si intreccia con quella delle aree rurali, ma solleva anche una domanda: quanto queste rappresentazioni aiutano davvero, e quanto invece rischiano di consolidare nuovi stereotipi difficili da superare? Su questi temi riflette Carlo Coni, fondatore del coliving rurale di Laconi Treballu, tra le realtà coinvolte nella futura rete CRAB, progetto culturale europeo che riunisce una comunità internazionale impegnata nella rinascita dei territori marginali.
Un’occasione di confronto che supera i confini, ma anche un punto di partenza per ripensare in modo più consapevole il ruolo delle aree interne e le loro possibilità di rinascita, in cui si è dato spazio alla situazione isolana: Treballu Hub, promotore dell’incontro ha condiviso questo percorso con le realtà di Cocò Coworking ad Aggius, Absentia a Stintino, Aurora Coworking a Iglesias e RioAccoro a Samugheo. In dialogo tra loro e con i partner europei, questi spazi hanno mostrato come sia possibile produrre cultura, comunità e visione anche (e soprattutto) nei contesti considerati marginali.

Quali sono pro e contro del nomadismo digitale? Può davvero funzionare nei territori marginali?
Abbiamo scelto di ribaltare questa narrazione. Il nomadismo digitale può portare nuove competenze e stimoli, ma per noi è essenziale partire dalla comunità locale. Creare un progetto come Treballu significa costruire un ecosistema radicato nel territorio, non solo ospitare persone di passaggio. Se la comunità non è coinvolta, il rischio è che chi arriva e chi vive il luogo non si incontrino davvero.
Per questo lavoriamo su due fronti: da un lato il co-living, che stiamo ripensando in chiave più integrata; dall’altro la nostra associazione no profit, con progetti Erasmus, percorsi partecipativi e attività culturali. Il nomadismo digitale può essere sì una risorsa, e molti arrivano con rispetto e curiosità. Ma la vera sfida resta il lavoro con chi abita questi luoghi.
Cosa significa creare e gestire uno spazio culturale in un territorio fragile?
Nel progetto attualmente in corso per la creazione di una rete europea di spazi creativi rurali, ci siamo ritrovati accanto ad altre realtà con cui condividiamo una visione comune: la cultura può essere uno strumento concreto per il recupero e il rafforzamento delle comunità locali. In territori fragili, spesso dimenticati o sottovalutati, la creatività può diventare una ventata d’aria fresca. Non solo in senso artistico, ma anche come approccio imprenditoriale, sociale e relazionale. Il progetto mira proprio a dare visibilità e voce a temi che altrimenti rischierebbero di restare ai margini del dibattito pubblico.
Invece di partire dai dati sullo spopolamento, spesso negativi, preferiamo una visione positiva, che vede nelle peculiarità del territorio delle opportunità
Il nostro obiettivo, con Treballu, è quello di andare oltre l’idea di semplice struttura ricettiva — che comunque rappresenta una parte importante per la sostenibilità del progetto — per costruire uno spazio culturale vivo, capace di attivare dialoghi, generare opportunità e stimolare nuove forme di partecipazione nella comunità.
Ragionando sempre a partire dalle parole, parlare di “territori fragili” invece può essere rischioso? Questa definizione rischia di diventare un’etichetta limitante?
È vero, si parla spesso di territori fragili o marginali, ma queste etichette, ripetute troppo, possono diventare riduttive. Per questo prestiamo attenzione al linguaggio. Non abbiamo un termine alternativo, ma spesso dico: “Dove non c’è nulla, si può fare tutto.”Questo approccio ci guida in diversi progetti rurali. Invece di partire dai dati sullo spopolamento, spesso negativi, preferiamo una visione positiva, che vede nelle peculiarità del territorio delle opportunità.
Anche con il nomadismo digitale selezioniamo con cura le persone che accogliamo. Sono spesso loro a farci riscoprire il valore del silenzio, della lentezza e dell’assenza di FOMO, la paura di essere esclusi da esperienze ed eventi; aspetti che per chi vive qui possono sembrare noia, ma che vogliamo valorizzare. Infine, serve creare contenuti e occasioni. Per questo organizziamo un piccolo festival estivo a Laconi, per arricchire l’offerta culturale e favorire aggregazione e nuove connessioni.

C’è però anche un rischio, che la Sardegna – già troppo spesso chiusa nella cornice delle “belle spiagge” – venga ridotta al nuovo slogan della “vita lenta”, che spesso accompagna anche i contenuti legati al nomadismo digitale o all’abitare luoghi spopolati. Come evitare che anche questa narrazione diventi una semplificazione?
Questa è una preoccupazione reale. Noi, rabbrividiamo all’idea di diventare attori di una rappresentazione costruita a tavolino, che riduce la complessità di un territorio a uno slogan di moda. Esistono invece realtà imprenditoriali innovative, anche qui a Laconi, che raccontano tutt’altra storia. Come il progetto che sviluppa piante già micorrizate con tartufo, creando nuove aree boschive vocate alla tartuficoltura: un esempio concreto di innovazione e visione imprenditoriale in un contesto rurale. Queste esperienze dimostrano che le comunità locali non devono restare intrappolate in narrazioni statiche, ma possono diventare luoghi vivi di produzione, sperimentazione e futuro.
Anche il nomadismo digitale, che ha sicuramente dei lati positivi, va gestito con attenzione. Ci sono casi, come quello delle Canarie, in cui l’arrivo massiccio di lavoratori e lavoratrici da remoto ha generato nuove criticità, come l’aumento incontrollato degli affitti. Per questo, nei progetti che portiamo avanti a Laconi, uno dei criteri fondamentali per entrare nel nostro network è proprio la valutazione dell’impatto sociale delle attività sul territorio.

In un contesto segnato dallo spopolamento, puntare sul nomadismo digitale può sembrare contraddittorio: da una parte c’è l’esigenza di una popolazione stabile, dall’altra si parla di persone di passaggio. In conclusione, come si conciliano queste due dimensioni?
È una riflessione molto pertinente. In effetti, Treballu è nato come struttura ricettiva e inizialmente abbiamo ospitato persone che restavano due o tre settimane: una presenza positiva, certo, ma temporanea. Spesso lasciavano qualcosa di utile — uno scambio, un’idea, una connessione — ma poi ripartivano. Per questo motivo ora stiamo cercando di attrarre persone che restino per periodi più lunghi, almeno un mese, così da costruire relazioni più solide con il territorio e con la comunità.
Parallelamente, stiamo lavorando alla creazione di uno spazio funzionale all’interno del mercato civico, pensato proprio per chi lavora da remoto. L’idea è dotare il paese di infrastrutture adeguate non solo al lavoro digitale, ma anche a laboratori, incontri ed eventi aperti alla comunità. In questo modo il nomadismo non rimane fine a sé stesso, ma diventa un’occasione per generare contenuti, attivare reti e stimolare partecipazione locale, contribuendo in maniera concreta al contrasto dello spopolamento.
Informazioni chiave
Lo spopolamento in Sardegna è in crescita
Il fenomeno dello spopolamento è particolarmente accentuato in Sardegna. Secondo Istat, la popolazione dell’Isola nel 2024 è diminuita di 9.114 persone: in dieci anni, dal 2016 al 2024, si sono persi quasi 100mila abitanti.
Le misure anti-spopolamento sono molte
Soprattutto negli ultimi dieci anni le misure anti spopolamento nell’Isola si sono fatte sempre più frequenti, con iniziative pubbliche, private, dal basso, organizzate o autogestite: la lotta contro lo spopolamento si è fatta battaglia collettiva, ma quali sono i limiti?
I nomadi digitali non bastano
Il nomadismo digitale diventa utile se guidato da una visione territoriale e comunitaria, radicata e partecipata. Non basta ospitare persone da remoto: bisogna coinvolgerle, creare legami e valorizzare il territorio in modo autentico, evitando le narrazioni stereotipate e ricordandosi del fatto che una comunità già esiste e non bisogna importarla.
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