Per un’ecologia del tempo e della parola: a settembre non “torniamo operativi”
Settembre è spesso descritto con un linguaggio da dispositivi elettronici: ricaricare le batterie, tornare operativi. Ma cosa perdiamo quando ci percepiamo come macchine? Il pensiero di Chiara Minardi dell’associazione Filò, il filo del pensiero.
Con la fine dell’estate, giungiamo, come ogni autunno, a un nuovo inizio, con le emozioni, le aspettative e i progetti che questo porta con sé. Eppure, il linguaggio con cui sentiamo descrivere questo periodo dell’anno così denso e pieno è tutt’altro che poetico. Spesso destiniamo a settembre un vocabolario tecnologico: abbiamo dovuto “ricaricare le batterie” per “tornare operativi”, ci siamo messi “offline” per tornare “più carichi”.
Descriviamo noi stessi come dispositivi, le vacanze come momenti di spegnimento e la ripartenza come un processo di accensione; come fossimo ingranaggi di un sistema più vasto, che necessita di una manutenzione stagionale prima di riprendere a pieno regime.
Questa semantica, impersonale ma senza dubbio efficace, credo riveli qualcosa del nostro pensiero: forse stiamo iniziando a percepirci più come macchine che come esseri biologici, perdendo di vista i nostri bisogni e desideri e svuotandoci di quella dimensione più autentica e imprevedibile che è propria dell’essere umano. I nostri ritmi biologici, il nostro sonno, il desiderio di svagarsi non vengono più visti come parte integrante del nostro essere, ma come interruzioni da gestire, o malfunzionamenti da correggere.

La pausa estiva è, troppo spesso, una sospensione, un’interruzione forzata più che un vero momento di rigenerazione. È il respiro preso al volo tra un’immersione e l’altra, un’attesa del ritorno alla normalità produttiva ed efficiente. In questa visione, il tempo libero, l’otium, non ha valore intrinseco, ma è un semplice intervallo funzionale, un vuoto da colmare prima di ripartire.
Fare ecologia del tempo significa riappropriarsi della nostra esperienza umana intesa come esperienza temporale, che prende significato al di là della logica della produttività.
L’otium latino, lo sappiamo bene, non era l’abbandonarsi alla nullafacenza, ma era il tempo dedicato alla coltivazione dello spirito, alla filosofia, alla poesia, al dialogo e alla cura di sé, un tempo non produttivo, ma generativo. A questo proposito ho trovato molto appropriato il pensiero di Piero Bevilacqua in Ecologia del tempo: l‘idea di un tempo “vuoto” è un’illusione, poiché il tempo stesso è una risorsa che però va oltre la sua utilità economica.
Fare ecologia del tempo significa riappropriarsi della nostra esperienza umana intesa come esperienza temporale, che prende significato al di là della logica della produttività. La vera sfida non è “ricaricarsi”, ma vivere il tempo in modo sostenibile, per noi stessi e per gli altri, liberandoci dalla fretta e dalla pressione di essere costantemente efficienti.
In questa polarità tra accesi e spenti, tra operativi e inoperativi, l’avvento dell’intelligenza artificiale aggiunge un ulteriore grado di complessità. Con la sua capacità di assolvere a compiti in tempi brevissimi, non umani, l’IA sta ridefinendo il nostro stesso senso del tempo e del tempo utile per agire nel mondo.
Ci abitua all’accelerazione, spostando il limite. Se non gestiamo con saggezza questo strumento, il rischio è che la nostra vita diventi una corsa senza fine verso un’efficienza che non è, e non può essere, umana. Prendiamo allora questo settembre come un tempo di incertezze o di progetti e non solo come il momento in cui tornare, come se il riposo fosse stata una parentesi e nient’altro. Permettiamo al tempo del riposo di cambiarci e ci farci stare bene, non in virtù della fatica che faremo a settembre.
E prima di buttarci di nuovo a capofitto negli impegni autunnali chiediamoci come possiamo amare i nostri tempi senza la costante necessità di riempirli.










Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi