17 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 11 minuti
Ispirazioni / Io faccio così

Un esperimento di condivisione radicale per mettere in comune guadagni e spese

Si chiama Economia in Comune ed è nato all’interno di Ultima Generazione. L’idea di base è: persone che non vivono assieme ma che condividono tutte le entrate e tutte le spese sulla base della fiducia reciproca.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
economia in comune

In breve

Un gruppo di attivisti di Ultima Generazione sperimenta un modo rivoluzionario di vivere il denaro: condividere stipendi e spese come fossero comuni.

  • Mizi, Aldo, Daniele e Federica mettono in comune entrate e uscite mensili, pur mantenendo case e conti separati.
  • L’esperimento, chiamato Economia in Comune, nasce dentro la rete di mutuo aiuto di Ultima Generazione.
  • Il modello si ispira alla tedesca Gemeinsame Ökonomie, diffusa in diversi collettivi europei.
  • Non esiste un conto condiviso: tutto si basa su fiducia e trasparenza reciproca.
  • Le decisioni economiche vengono prese in modo informale, tramite dialogo costante nel gruppo.
  • Per chi partecipa, la fiducia è il vero capitale: “Se manca quella, nessun sistema funziona”.
  • Il progetto è anche una presa di posizione politica contro le disuguaglianze nella distribuzione del denaro.
  • Economia in Comune è una ciambella di salvataggio collettiva, un modo per prepararsi insieme alle crisi economiche e sociali che verranno.
  • Chi vuole può replicarlo, partendo da un piccolo gruppo di persone con cui esiste già fiducia reciproca.

Mizi, Aldo, Daniele e Federica non vivono assieme, non fanno parte della stessa famiglia, né hanno legami di sangue. Anzi, hanno età e vite piuttosto diverse. Eppure ogni mese condividono i loro stipendi, le loro spese e considerando i loro soldi come soldi di tutti e quattro. È un esperimento nato all’interno di Ultima Generazione, il movimento di disobbedienza civile nonviolenta nato per agire contro la crisi climatica di cui i quattro fanno parte. Si chiama – l’esperimento – Economia in Comune e consiste proprio nel mettere insieme entrate e spese, gestendole come un unico fondo collettivo. «I soldi che guadagniamo ogni mese e che spendiamo ogni mese sono soldi di tutti», spiega Aldo, 44 anni, attivista e formatore in comunicazione nonviolenta.

Da anni Ultima Generazione porta avanti una rete di mutuo aiuto, della quale questo progetto fa parte. L’ispirazione è arrivata da un’esperienza già consolidata in Germania: la Gemeinsame Ökonomie, letteralmente “economia comune”, che conta decine di gruppi diffusi in tutto il Paese. «Abbiamo fatto alcune call con Dennis, un ragazzo tedesco che ha aiutato molti gruppi a partire – racconta Daniele, 59enne attivista che vive a Milano, anche lui formatore sulla gestione dei conflitti e sulla  nonviolenza. Più che spiegarci regole ci faceva domande, ci aiutava a riflettere sul nostro vissuto e sul rapporto che abbiamo con il denaro».

Una scelta di condivisione radicale

Il meccanismo è tanto semplice quanto potenzialmente rivoluzionario. I quattro membri di Economia in Comune hanno deciso che tutti i guadagni e le spese correnti sarebbero stati condivisi, mentre i risparmi accumulati in passato sarebbero rimasti personali. «Avevamo situazioni di partenza molto diverse – racconta Aldo –, c’era chi aveva una vita di risparmi e chi invece non aveva nulla. Così abbiamo deciso che quei soldi restavano personali, mentre tutto ciò che entra o esce ogni mese lo consideriamo comune».

attivisti ultima generazione - economia in comune

Ciò che distingue Economia in Comune da altre iniziative di condivisione finanziaria, piuttosto diffusi in esperienze di coabitazione o comunità intenzionali, è che si tratta di quattro persone che non vivono assieme. Ciascuno continua a vivere nella propria casa, non esiste nemmeno un conto bancario collettivo. Ognuno mantiene la propria indipendenza e il proprio conto, ma il denaro è percepito come appartenente a tutti.

«Abbiamo scelto di farlo nel modo più informale possibile», spiega Mizi, attivista e ricercatrice universitaria marchigiana prossima alla pensione. «Se mi servono soldi per qualcosa, scrivo nel gruppo Telegram e chiedo: “C’è qualcuno che può girarmeli o pagare per me?”. E lo risolviamo così, in modo semplice, basato sulla fiducia. All’inizio ci chiedevamo se fosse il caso di aprire un conto comune, fissare delle regole, verificare tutto. Poi ci siamo detti che qualunque sistema, se manca la fiducia, non funziona. La cosa importante è costruirla e mantenerla viva».

L’accordo di fondo è che nessuno deve giustificare le proprie spese, ma tutti devono essere trasparenti. Se qualcuno ha bisogno, chiede. Se qualcuno può, aiuta. «Nonostante fossi in difficoltà economiche, grazie al gruppo ho potuto pagarmi una formazione a Firenze che da solo non avrei potuto permettermi», racconta Daniele. «Costa 1.500 euro, era al di fuori della mia portata, ma mi servirà per trovare un lavoro migliore. Il gruppo mi ha dato la possibilità di farlo».

La fiducia reciproca gioca un ruolo centrale. «Siamo partiti da una base già forte – spiega Aldo – perché ci conosciamo da anni come attivisti, abbiamo condiviso azioni, rischi legali, momenti difficili. È come se quella fiducia conquistata nelle strade ora la stessimo portando nella sfera economica».

Penso che il capitalismo non si possa convertire, si sta già distruggendo da solo. Quello che possiamo fare è resistere insieme, costruire piccole comunità che ci aiutino a sopravvivere, a restare umani.

Una fiducia che normalmente non siamo disposti a concedere quando si tratta di denaro, ma che spesso accordiamo anche su questioni più importanti, senza farci caso, come ci invita a riflettere Mizi: «Pensiamoci: quanta fiducia diamo ogni giorno a un autista d’autobus che porta noi a lavoro o i nostri figli a scuola, senza che nemmeno lo conosciamo? Perché non dovremmo darla a chi ci è vicino?».

Una scelta politica e pratica

Mettere in comune i soldi non è solo una questione pratica: è anche una scelta politica. In una società in cui il valore delle persone è spesso misurato in base al loro reddito, Economia in Comune prova a ribaltare il paradigma. «Alla base c’è una posizione politica rispetto alla distribuzione del denaro nella società», spiega Daniele. «Ci sono lavori che vengono pagati tanto ma non sono poi così utili e altri – come il lavoro sociale o di cura – che hanno un grande valore ma vengono pagati poco o nulla. Con questo progetto proviamo a riequilibrare, nel nostro piccolo, questa ingiustizia».

Il tutto parte – come è naturale trattandosi si un esperimento nato in grembo ad Ultima Generazione – da considerazioni che hanno a che fare con la crisi climatica. Esiste infatti un legame forte tra attivismo climatico e costruzione di nuove forme di convivenza economica, come risposta sistemica alle crisi. «Facciamo attivismo non solo contro qualcosa, ma per qualcosa», dice Aldo. «Siamo convinti che ci aspettino anni difficili, anche da un punto di vista economico, e sentirsi parte di una rete solidale dà molta più sicurezza che affrontare tutto da soli».

Per Federica, attivista e studente di diciannove anni, il gesto ha una valenza ancora più esistenziale. «Quando ho iniziato non sapevo bene cosa stavo facendo», ammette «Ho visto questa cosa nuova, portata da un ragazzo tedesco e ho pensato: “Proviamo!”. Non avevo paura, forse perché sono privilegiata e sapevo che la mia famiglia, volendo, mi avrebbe comunque aiutata. Ma poi ho capito che dietro questa scelta c’è molto di più».

attivisti ultima generazione - economia in comune
Un’azione di Ultima Generazione

L’attivista racconta di aver vissuto momenti difficili, anche di depressione, di fronte alla crisi climatica. «A un certo punto ho perso la speranza di cambiare davvero il sistema. Penso che il capitalismo non si possa convertire, si sta già distruggendo da solo. Quello che possiamo fare è resistere insieme, costruire piccole comunità che ci aiutino a sopravvivere, a restare umani».

Per lei Economia in Comune non è tanto un esperimento “alternativo”, ma una forma di sopravvivenza. «Non lo facciamo perché è una cosa carina. Lo facciamo perché presto molti di noi non riusciranno a pagare le bollette. E allora è importante sapere che c’è qualcuno che può farlo al posto tuo, se può». Eppure in mezzo a questo disincanto c’è anche tanta gratitudine: «Sono molto grata di aver trovato persone che non danno ai soldi un valore assoluto, ma li vedono per quello che sono: uno strumento per vivere, non un fine. Con loro posso parlare di soldi senza vergogna, senza paura. E questo, per me, è già una rivoluzione».

Le reazioni delle persone attorno

Una delle prime domande che probabilmente vi sarà balzata in mente è: come avranno preso questa decisione le persone intorno? La scelta di condivisione radicale, infatti, tocca indirettamente anche altre persone. «Quando ho detto a mia madre che condividevo i soldi con altre persone, mi ha detto che avrebbe smesso di darmi i soldi», racconta Federica. «All’inizio la mia famiglia non l’ha presa bene. Ma poi ne abbiamo parlato e hanno capito. Adesso sono fieri e curiosi e anche i miei amici vogliono sapere come funziona».

Per Aldo la questione si intreccia con la genitorialità: «Sono separato dalla madre di mio figlio, con la quale abbiamo un accordo chiaro sulle spese. Lei ha reagito con serenità». Mizi invece ha scelto di non condividere subito la notizia con il marito. «Ci sono già tensioni per l’attivismo, non volevo aggiungere un altro motivo di discussione. Ma i miei figli invece l’hanno capita eccome: mia figlia partecipa a un’esperienza simile, uno dei miei figli vuole proporla ai suoi amici. Solo il terzo, che ha un approccio alla vita più imprenditoriale, fa un po’ più fatica, ma mi sostiene lo stesso».

Daniele, separato e padre di due figlie, parla di un effetto “a catena”: «Ne ho parlato con la mia famiglia e nessuno mi ha ostacolato. Anzi, in casa si è creata una sorta di contaminazione: con il mio coinquilino, che non fa parte del gruppo, abbiamo iniziato a fare la spesa insieme senza contare ogni centesimo». Ciò che emerge è che questa esperienza costringe a guardare in faccia il proprio rapporto con il denaro, spesso intriso di paura e controllo. «Penso che abbiamo un attaccamento ai soldi che non ci permette di vederli per quello che sono», riflette Federica. «Li consideriamo importanti ed esclusivi, ma se li metti insieme agli altri, in realtà ne hai di più, non di meno».

Un esperimento di condivisione radicale per mettere in comune guadagni e spese
Un’azione di Ultima Generazione

Prospettive, limiti e possibilità di diffusione

In Germania, esperienze come questa non sono rare. La Gemeinsame Ökonomie — letteralmente “economia in comune” — è ormai una realtà consolidata, con decine di gruppi che da anni condividono redditi e spese, in comunità intenzionali, collettivi urbani o reti di mutuo aiuto. L’esperimento italiano Economia in Comune si ispira proprio a quel modello e immagina che l’esperimento possa replicarsi, adattandosi a contesti diversi. «Abbiamo appena finito di scrivere una pagina wiki che spiega il progetto e come contattarci», racconta Daniele. «Chi è interessato può leggerla, capire cosa abbiamo fatto e mettersi in contatto con noi».

Prima ancora di scrivere o chiedere informazioni però c’è un primo passo personale e relazionale da fare. «Non serve un modello predefinito», spiega Aldo. «Bisogna iniziare da due o tre persone con cui si pensa di avere fiducia reciproca e provare a parlarne. Capire insieme quanto si vuole condividere, come farlo, per quanto tempo. Magari tre mesi di prova, come abbiamo fatto noi. Tutto il resto viene dopo».

Eppure, come ammettono gli stessi protagonisti, questo tipo di progetto non è per tutti. Richiede un livello alto di consapevolezza personale, una buona capacità di comunicazione e un certo grado di disponibilità a mettersi in discussione. Condividere i soldi significa infatti esporsi, rinunciare a parte del controllo individuale e affrontare paure profonde legate alla sicurezza, al potere, al merito.

«Abbiamo tutti un rapporto emotivo con il denaro», riflette Mizi. «E quel rapporto dice molto di noi: di cosa temiamo, di quanto ci fidiamo, di quanto siamo disposti a dipendere dagli altri. Se non lo conosci, se non lo guardi in faccia, è difficile che un’economia condivisa possa funzionare davvero».

Per questo Economia in Comune non è solo un esperimento economico, ma anche un percorso umano. Un piccolo laboratorio di relazioni e fiducia, dove si impara che la sicurezza non deriva dal possedere ma dal condividere. Come dice Aldo, «qualunque sistema tu costruisca, se non c’è fiducia di base non funziona. E se invece la fiducia c’è, anche senza regole, le cose vanno avanti». Chi volesse provarci può contattare Aldo Riboni e Daniele Quattrocchi attraverso i contatti presenti sulla pagina della rete di mutuo aiuto di Ultima Generazione, che offre anche indicazioni e strumenti per partire.

Informazioni chiave

La fiducia è la vera moneta

La condivisione economica radicale può funzionare solo dove esiste fiducia autentica tra le persone. Senza regole rigide, ma con trasparenza e responsabilità reciproca.

Il denaro come bene comune

Economia in Comune ribalta la logica del possesso individuale: il denaro non è più misura del valore personale ma strumento di sostegno collettivo.

Un gesto politico del quotidiano

Condividere i soldi diventa un gesto politico: una risposta concreta alla crisi climatica e sociale, che crea legami solidali e resilienza comunitaria.

Un’esperienza replicabile

Non serve un modello predefinito: basta iniziare in piccolo, sperimentare, fidarsi e adattare il sistema al proprio contesto.