1 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 9 minuti

Come poche persone hanno fermato gli idranti della polizia generando un effetto domino nonviolento

A Porto Marghera, durante una manifestazione per Gaza, pochi attivisti hanno scelto di sedersi davanti agli idranti. Un gesto di resistenza civile che ha innescato un effetto domino e ha trasformato la protesta.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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In breve

Un gesto imprevisto di resistenza civile nonviolenta ha cambiato il corso della manifestazione del 22 settembre a Porto Marghera.

  • Pochi attivisti di Extinction Rebellion si sono seduti davanti agli idranti della polizia.
  • Nel giro di pochi secondi 200 persone hanno imitato il gesto, bloccando camionette e idranti.
  • L’azione è stata estemporanea, ma resa possibile da un metodo e strumenti precisi: check-in emotivo, ruoli di benessere, buddy system e infine il “metodo decisionale rapido”.
  • La polizia ha spento gli idranti e si è fermata, evitando lo scontro.
  • L’episodio mostra la forza della nonviolenza organizzata e condivisa.
  • Extinction Rebellion invita a costruire convergenza tra movimenti per incidere davvero sulla crisi climatica e sociale.

«Quando gli idranti hanno iniziato a sparare, siamo rimasti lì. Ci siamo guardati e qualcuno ha detto: “E se ci sedessimo davanti alle camionette?”. E allora ci siamo seduti a terra con le braccia alzate». Prima in pochi, poi via via sempre di più, in un effetto a catena silenzioso ma inarrestabile: nel giro di qualche decina di secondi 200 persone sono sedute con le braccia alzate. 

Gli agenti provano a spostare i manifestanti, ma è presto chiaro che in troppi hanno iniziato a sedersi perché possano essere rimossi. Così alla fine chiudono gli idranti, fermano le camionette e attendono. Sono da poco passate le 14: di fronte a loro, lungo il porto di Marghera, si stende una marea immobile di persone. 

A raccontarci questi fatti è Gianluca Esposito, attivista di Extinction Rebellion (XR), movimento nato nel 2018 nel Regno Unito che usa la resistenza civile nonviolenta per spingere governi e aziende ad agire sulla crisi climatica. Ma come si è arrivati a un episodio tanto simbolico e potente? Dietro quella che può sembrare una magia spontanea c’è, in realtà, un metodo preciso e una serie di scelte condivise fin dal mattino.

La preparazione

Ore 8:30 circa del mattino. Presso la sede di XR a Marghera iniziano ad arrivare decine di persone. La manifestazione, in programma per le 10, fa parte della mobilitazione generale indetta dall’Unione dei sindacati di base e altre sigle in sostegno di Gaza, a cui Extinction Rebellion aveva scelto di aderire senza però organizzare niente di specifico. Spiega Gianluca che «i tempi erano troppo stretti per pianificare con cura un’azione diretta nonviolenta, che di solito richiede almeno tre settimane di lavoro». 

resistenza civile nonviolenta Gianluca Esposito
L’attivista Gianluca Esposito (tuta rossa e zaino giallo) durante la manifestazione, prima dell’inizio dell’azione di resistenza civile nonviolenta. Ph: Nicolò Zanatta

Alla fine sono una quarantina a presentarsi all’appuntamento. Tanti. Come prima cosa, gli attivisti fanno quello che in facilitazione viene chiamato un check-in: un giro di condivisione sullo stato emotivo di ciascuno, in particolare su come ci si sentiva di fronte agli scenari possibili, seguito da un giro dei bisogni: “Di cosa ho bisogno per partecipare con più serenità?”.

Dalle esigenze espresse in cerchio si passa alla divisione dei ruoli. «Abbiamo trovato dei responsabili del benessere – spiega Gianluca – che si occupavano di portare acqua, cibo e di dare supporto psicologico in caso di attacchi d’ansia. Altri si sono offerti per la parte materiale. E poi abbiamo identificato i peace keeper, persone formate per la de-escalation».

Un ultimo passaggio cruciale è stata la formazione dei buddy, coppie di compagni di azione. Ognuno sceglie una persona con cui condividere le intenzioni e restare insieme per tutta la giornata. «È un modo per non essere mai soli», racconta Gianluca. «Se decidi di arretrare, lo fai con il tuo buddy; se decidi di restare, restate insieme. E deve esserci chiarezza: se uno vuole esporsi di più e l’altro no, non possono fare coppia. Così ci si protegge a vicenda».

«Erano lì, bagnati, non erano intimiditi nonostante decine di agenti in tenuta antisommossa con scudi e manganelli: provavano a dialogare. Allora li ho raggiunti e mi sono messo accanto a loro»

La decisione rapida in azione

Ore 13 circa. Il corteo è iniziato da qualche ora ed è arrivato all’ingresso principale del porto di Marghera, dove la polizia ha già eretto un blocco imponente: camionette schierate, barriere alte in stile “zona rossa” e idranti pronti all’uso. La marcia si arresta lì, trasformandosi in un’occupazione. Ma intorno alle 13 comincia a circolare una voce insistente: fra un’ora – alle 14 – la polizia userà gli idranti. Non tutti ne vengono informati, ma la notizia arriva al nucleo di Extinction Rebellion, che decide di riunirsi in un punto più appartato per valutare come agire.

«Ci siamo detti: tra un’ora aprono gli idranti, cosa vogliamo fare?», racconta Gianluca. Per agire in fretta gli attivisti e le attiviste di XR attivano il metodo decisionale rapido, pensato per contesti di tensione. «Eravamo una settantina e ci siamo spostati in un punto più silenzioso. Ci siamo divisi in gruppetti da cinque: ognuno ha avuto 15 minuti per discutere cosa avrebbe fatto in caso di idranti. Poi un referente per ogni gruppo ha riportato le decisioni in un cerchio più ristretto».

Il processo serve a garantire che tutti abbiano voce, che nessuno resti isolato e che si arrivi a una scelta condivisa. «Alla fine la maggior parte ha deciso di restare defilata, arretrando in caso di getti d’acqua o tensioni. Ma sette-otto persone hanno detto chiaramente: noi vogliamo restare davanti, per osservare e per sostenere il più possibile». Quella minoranza, formata anche da attivisti più esperti, ha ricomposto le coppie di buddy in base alle intenzioni: chi vuole stare davanti con chi fa la stessa scelta, chi vuole arretrare con chi condivide la prudenza. La decisione è presa. Non c’è un piano rigido: solo l’impegno a rispettare le scelte individuali, dentro a una cornice comune di nonviolenza.

resistenza civile nonviolenta
Un’immagine del corteo del 22 settembre mentre si dirige verso Porto Marghera, prima dell’azione di resistenza civile. Ph: Nicolò Zanatta

“E se ci sedessimo?”

14 in punto. Gli idranti entrano in funzione. I getti d’acqua colpiscono con violenza, facendo indietreggiare il corteo. «Ne ho preso uno dritto in faccia – racconta Gianluca – che mi ha quasi steso per terra». Le camionette intanto avanzano, spingendo i manifestanti verso la città, mentre la folla arretra lentamente.

Davanti agli scudi però restano una signora anziana e un ragazzo giovane: non indietreggiano, cercano invece di parlare con gli agenti provando a diminuire la tensione. «Quando li ho visti mi sono avvicinato anch’io», ricorda Gianluca. «Erano lì, bagnati, non erano intimiditi nonostante decine di agenti in tenuta antisommossa con scudi e manganelli: provavano a dialogare. Allora li ho raggiunti e mi sono messo accanto a loro».

È in quel momento che accade qualcosa di imprevisto. Gianluca e gli altri si guardano negli occhi e scelgono una via inattesa: sedersi a terra. «Ci siamo detti: “E se ci sedessimo davanti alle camionette?”», ricorda Gianluca. «È stato un momento fuori dal tempo: in due secondi abbiamo deciso e ci siamo seduti, con le braccia alzate».

Gli agenti inizialmente provano a spostarli di lato: li conoscono, sanno chi sono. «Qualcuno della polizia ci ha persino detto: “Dai per favore, non tornate a sedervi…”» sorride l’attivista. Ma intanto altre persone hanno visto il gesto e hanno iniziato a imitarlo. Davanti agli scudi, a terra, ci sono anziani, ragazzi, attivisti esperti e volti nuovi. «C’era persino un ragazzo col volto coperto, con l’aria di chi normalmente si dedica allo scontro», racconta Gianluca. «E invece anche lui si è seduto. Non ha detto una parola, è rimasto lì, in silenzio».

L’effetto domino è inarrestabile: chi vede i primi a sedersi capisce e segue. Nel giro di pochi secondi le prime file del corteo sono tutte a terra, circa 200 persone, mentre migliaia restano in piedi dietro di loro. A un poliziotto sfugge un «e adesso che facciamo?». Il gesto di disobbedienza trasforma completamente la dinamica della giornata: niente più avanzata, niente più scontro. Gli idranti si spengono, le camionette si fermano. I poliziotti guardano la scena, impotenti. «È stata una cosa che non funziona sempre», riflette Gianluca. «Magari in un’altra città non avrebbe avuto lo stesso effetto. Ma lì ha funzionato, anche perché molti di noi erano conosciuti dalla polizia. È stato un momento unico».

Dopo circa un’ora, in seguito anche a una richiesta degli organizzatori, il sit-in si scioglie. «C’era entusiasmo – spiega l’attivista –, molti volevano restare a oltranza, perché ogni minuto in più bloccava il porto e aumentava la pressione. Altri invece pensavano fosse meglio concludere collettivamente, senza aspettare lo sgombero». Quando infine anche gli organizzatori della manifestazione hanno hanno espresso il desiderio di andarsene, affermando che sarebbe stato bello alzarsi tutti assieme, decidendolo, senza che fosse qualcuno a sgomberarli, i partecipanti al sit-in decidono di accettare. Ed ecco che il corteo defluisce, pacificamente.

Un appello alla convergenza

Per Gianluca Esposito, ciò che è accaduto quel giorno a Porto Marghera non è solo un episodio riuscito di resistenza civile nonviolenta, ma anche un segnale per il futuro. «La cosa più importante adesso – sottolinea – è non restare chiusi nei nostri confini di movimento, ma saper costruire convergenza con gli altri. Non pensiamo di essere moralmente superiori perché usiamo certi metodi o perché abbiamo scelto la nonviolenza: dobbiamo avere la forza di riconoscerci, rispettarci e provare a camminare insieme».

L’azione del 22 settembre è stato un gesto simbolico e potente. Ma, avverte Gianluca, nessun gesto da solo è sufficiente: «Se vogliamo incidere davvero, serve che i nostri percorsi si incontrino, che sappiamo sostenerci a vicenda pur nelle differenze. Solo così possiamo costruire qualcosa di più grande di noi stessi».

Informazioni chiave

La resistenza civile funziona

Un gesto nonviolento, semplice e condiviso, può trasformare la dinamica di una protesta.

Un metodo solido

Dietro l’improvvisazione apparente c’è una preparazione accurata da parte di XR: ruoli, buddy system, processi decisionali rapidi.

L’importanza della convergenza

La sfida è unire movimenti diversi senza superiorità morale, per rafforzare le lotte comuni.