Riabitare le aree interne è necessario, ma bisogna farlo in maniera consapevole
Una riflessione di Paolo Piacentini – scrittore, camminatore e presidente onorario di FederTrek – su come riabitare le aree interne partendo dalla cura ed evitando i rischi di speculazione.
Durante l’ultimo viaggio a piedi insieme al gruppo che mi segue con affetto per far crescere il Cammino per un Nuovo Umanesimo, siamo rimasti colpiti dall’aumento dei terreni incolti e dai cartelli vendesi e affittasi disseminati nei centri storici attraversati. Siamo nelle aree interne tra Umbria e Toscana, in un angolo della Penisola noto per la bellezza dei paesaggi agrari che circondano paesi di straordinario valore architettonico e monumentale.
Uno spazio geografico da sempre celebrato e idealizzato per una qualità della vita che negli ultimi anni, proprio a causa di un abbandono lento ma continuo, sta perdendo la popolazione più attiva e i servizi essenziali. I dati ISTAT sull’abbandono degli immobili nelle cosiddette aree interne sono davvero preoccupanti e la stessa cosa vale per i terreni. Un patrimonio immenso che non può più essere ostaggio dell’inerzia che la politica ha dimostrato fino ad oggi, non tanto nelle parole o nei proclami ma nei fatti e quindi nelle misure strutturali.
Nel mio girovagare fra le aree interne appenniniche per presentazioni e incontri di comitati, qualche giorno fa sono stato ospite di una delle tappe di IT.ACA’ – il festival itinerante del turismo responsabile – a Cantiano, uno dei paesi alle pendici nord-occidentali del Monte Catria. Un sindaco illuminato, un birrificio rurale che ha vinto la scommessa del fare impresa nelle cosiddette aree interne e una tradizione di allevamento equino fortemente radicato nel territorio, stanno facendo arrivare nuovi giovani abitanti.
Un ruolo interessante lo stanno recitando anche le guide escursionistiche professionali che accompagnano i camminatori a una conoscenza consapevole del territorio, come ha fatto l’ottima Martina Magini, dell’associazione il Ponticello, in occasione del week end di festa a Cantiano. Non si tratta di un fatto quantitativo, anche fossero pochissime persone che si contano sulle dita di una mano, comunque è il segno di un’inversione di tendenza, nonostante la recente pesante alluvione.
Sono tante le luci che, a macchia di Leopardo, accendono la speranza di una rinascita abitativa delle aree interne che io amo definire di cura del territorio. Purtroppo questo processo di ritorno attivo ad oggi non scalfisce il deserto dell’abbandono. La logica però non può essere quella di accompagnare il declino, come riportato recentemente nei documenti governativi e anzi bisogna opporsi in tutti i modi a questa logica suicida.
Alcuni amici naturalisti mi criticano quando parlo della necessità di arrestare l’abbandono perché se l’uso del territorio deve essere insostenibile tanto vale che la natura si riprenda i suoi spazi. In parte hanno ragione: i nuovi abitanti – sia quelli che decidono di restare, sia i nuovi arrivati – devono ripartire da un rapporto diverso con il territorio che sia caratterizzato dalla cura. Vedere oliveti, frutteti e vasti campi abbandonati in aree a forte vocazione agricola è inaccettabile, ma le condizioni da porre per un nuovo utilizzo dovrebbero essere molto chiare.
Ci deve essere chiarezza legislativa per scongiurare il rischio che l’abbandono continui a creare spazi liberi da ogni vincolo per chi ha solo mire speculative
Le coltivazioni devono essere biologiche e bisognerebbe ricreare l’antico paesaggio agrario composto da coltivi, siepi e parte di bosco per fare in modo che anche gli uccelli e gli insetti possano trovare il loro habitat. Quindi lotta all’abbandono delle terre ma con una politica che favorisca la rinascita di un paesaggio agrario che l’agricoltura industriale ha distrutto accecata dalla logica delle colture intensive e del profitto. Le misure per l’utilizzo dei coltivi in abbandono ci sarebbero, ma i tempi sono lunghi e nel caso di terreni privati le formule del comodato d’uso gratuito, dell’usucapione o dell’enfiteusi sono molto complesse.
La riassegnazione delle terre abbandonate, anche per quelle in cui non è facile risalire ai proprietari – ci sono moltissimi terreni abbandonati appartenuti a persone emigrate da decenni – deve avvenire con normative chiare e che tengono fuori qualsiasi tipo di speculazione. La logica dovrebbe essere quella del diritto all’uso della terra a favore delle comunità locali delle aree interne per trarne i frutti attraverso un uso razionale e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale.
In montagna si discute da anni sulla necessità di favorire il riaccorpamento dei terreni che spesso risultano avere delle proprietà troppo frammentate. Potrebbe anche essere una soluzione per alcune aree montane ma con a monte una norma legislativa chiara che vieta un futuro utilizzo speculativo. Ci deve essere chiarezza legislativa per scongiurare il rischio che l’abbandono continui a creare spazi liberi da ogni vincolo per chi ha solo mire speculative.

A proposito di esperienze positive di recupero di coltivi abbandonati, approfitto per ricordarne una già raccontata su Italia Che Cambia relativa ai ragazzi della cooperativa del Ceresa, nata dopo il sisma dell’Italia Centrale. Proprio in questi giorni i GAS delle Marche sono andati a fare visita ai castagneti recuperati dalla cooperativa di comunità per una raccolta collettiva e solidale. Quello che era un castagneto abbandonato è diventato un luogo che ha ridato senso all’abitare con cura la terra creando una microeconomia locale legata alla vendita del prodotto fresco e alla trasformazione in marmellate ed altro.
Al recupero del castagneto si sono affiancate altre piccole attività agricole e creative determinando i presupposti per altri possibili arrivi di nuovi residenti. Questa piccola grande storia dei Sibillini è una delle tante luci di speranza di cui accennavo all’inizio e se vogliamo che diventino numerose come quelle della Via Lattea dobbiamo sostenerle con un consumo critico e consapevole su scala regionale e nazionale.
Bisogna implementare la rete orizzontale tra coltivatori e consumatori senza limitarsi all’acquisto dei prodotti, ma facendo rete anche nelle battaglie per il diritto al cibo pulito e all’utilizzo delle terre abbandonate. Senza una nuova forte alleanza per rimettere al centro una vera sovranità alimentare da praticare nelle cosiddette aree interne della nostra Penisola, sarà molto difficile cambiare il verso dell’abbandono. La stessa logica vale per l’abbandono degli immobili, ma ci torneremo.
Informazioni chiave
Lo spopolamento è un problema reale
Le statistiche riportano numeri preoccupanti sull’abbandono delle aree interne, aggravata da un’inerzia politica che non propone soluzioni efficaci.
Qualcosa si muove
Nel suo costante viaggio in giro per l’Italia, Paolo Piacentini ha notato che qualcosa si sta muovendo, con esempi virtuosi di rivitalizzazione come quelli di Cantiano e del Ceresa.
Punti fermi
Nel dibattito su come favorire il rilancio delle aree interne, Piacentini individua alcune priorità come partire dalla cura del territorio ed evitare speculazioni.
Tocca a noi
Le iniziative virtuose già attive vanno sostenute non solo col consumo critico, ma anche facendo rete su alcuni temi chiave, come la sovranità alimentare.









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