13 Novembre 2025 | Tempo lettura: 6 minuti

Putifigari: “Il fotovoltaico dentro l’area UNESCO è l’opposto della transizione energetica”

Intervista ad Antonio Muscas, ingegnere e attivista dei comitati sardi contro la speculazione energetica, sul progetto di impianto fotovoltaico di Putifigari.

Autore: Sara Corona Demurtas
putifigari23
L'articolo si trova in:

Un mese fa il progetto di un mega-impianto fotovoltaico in agro di Putifigari passava, con esito positivo, la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) – ne abbiamo parlato qui. Scavalcando il parere negativo della Soprintendenza, il Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica (MASE) dava il via libera esprimendosi positivamente sulla compatibilità ambientale del progetto. Una notizia che ha fatto scalpore nell’isola: l’impianto ricadrebbe infatti proprio all’interno dell’area di rispetto (buffer) del sito UNESCO di S’Incantu.

Nelle settimane successive sono circolati sui social e su diverse testate numeri spesso contraddittori riguardanti la potenza e l’estensione dell’impianto, che la società proponente – l’Ine Seddonai S.r.l. – avrebbe ridotto nel progetto approvato dal MASE rispetto alla proposta iniziale. Abbiamo provato a fare chiarezza su questi numeri e a valutare il reale impatto dell’impianto insieme ad Antonio Muscas, ingegnere meccanico e attivista nei comitati sardi contro la speculazione energetica.

putifigari
In giallo l’area buffer (da qui)

Carte alla mano, il progetto originario del mega-impianto di Putifigari doveva estendersi per circa 86 ettari. Dopo una lunga procedura di VIA, la potenza complessiva del campo fotovoltaico è stata però dimezzata: da 72,64 MWp del primo progetto, si è passati agli attuali 37,60 MWp. Ma se la potenza è stata ridotta, l’estensione ovvero la superficie di suolo interessata dal parco fotovoltaico è aumentata. Com’è possibile?

È vero che l’estensione complessiva del progetto è aumentata e da 86 si è passati a circa 97 ettari, divisi in due aree, nord e sud. Ma la superficie indicata è quella complessiva delle aree interessate dal progetto; in realtà l’impianto fotovoltaico occupa una superficie di suolo molto inferiore. In quei 97 ettari rientrano non solo l’impianto vero e proprio, ma anche le infrastrutture, le strade di accesso eccetera. Secondo i documenti di progetto, vi rientrerebbero anche terreni destinati al pascolo. 

Ѐ realistico quanto scritto dai proponenti e cioè che si riesca a far coesistere questo mega-impianto con il tradizionale uso agricolo e pastorale dei terreni?

Con l’uso agricolo sicuramente no. Anche se nel progetto si prevede di alzare i moduli da terra, “con mantenimento e miglioramento delle attività agro-zootecniche esistenti”, l’altezza minima indicata è di 1 metro e 30. È chiaro che lì sotto non puoi passare con dei mezzi agricoli per seminarci degli erbai. L’unica cosa che puoi fare è pascolare o decespugliare, ma non con trattori normalmente destinati a uso agricolo.

Esistono casi in cui i pannelli sono stati messi per proteggere le colture, inclusi impianti a scomparsa che permettono di ombreggiare le colture in caso di alte temperature e soleggiarle quando necessario. Nel caso di questo progetto però i pannelli sono fissi, alcuni orientabili: fanno ombra perennemente, per quanto se ne possa cambiare l’inclinazione. Sappiamo quanto è importante il soleggiamento per le colture, soprattutto in alcuni periodi dell’anno.

Antonio Muscas
Antonio Muscas, ingegnere e attivista 

La società proponente dice che metterà dei sistemi per evitare l’accumulo di acqua piovana, ma queste soluzioni sono tutte da vedere e bisogna capire quali saranno gli effetti dell’ombreggiamento sul suolo. Ci sono esperienze in cui l’agrivoltaico può avere un senso, ma il coinvolgimento degli agricoltori e degli allevatori in quei casi è completamente diverso. Sono coinvolti attivamente in tutte le fasi della progettazione, qui per nulla. E poi si tratta comunque di un numero enorme di impianti, che non potranno funzionare tutti quanti e non tutti insieme.

Ecco, a Putifigari di che numeri stiamo parlando?

L’area nord dell’impianto, quella di Monte Siseri – che ricadrebbe nel buffer del sito UNESCO –, copre una superficie totale di 66 ettari, di cui 35 ettari realmente interessati dal sistema agrivoltaico. In questi rientrano: la viabilità interna, infrastrutture come le cabine, e la superficie di suolo sotto i moduli – cioè, quella occupata dai pannelli fotovoltaici. Stiamo parlando di 35 ettari in una zona di pregio, che comprende non solo siti archeologici ma anche aree a valenza naturalistica. Noi a volte ci concentriamo sulla presenza di monumenti, ma dobbiamo pensare che lì ci abitano anche esseri viventi: erbe spontanee, arbusti, animali.

Quando creiamo campi così vasti di specchi concentrati stiamo alterando tutto l’ecosistema. Studi hanno mostrato che in campi come questi la popolazione dei pipistrelli è più che dimezzata. Immaginate: un ettaro di terreno sono 10.000 metri quadri. 35 ettari di specchi vuol dire 350.000 metri quadri di superficie: come 3.500 abitazioni o 50 campi da calcio. Considerato che l’impianto nell’area sud sarebbe di 18 ettari, questo significa due piccoli paesi di specchi, da una parte e dall’altra. Non è roba da poco.

Cosa succede adesso, dopo l’approvazione della VIA da parte del MASE?

Il problema è che la legge regionale sulle aree idonee è stata impugnata dalla Consulta e non sappiamo che fine farà. Intanto il Ministero procede come se la legge non esistesse. Tutto parte dal decreto Draghi: noi come comitati abbiamo sempre chiesto alla Regione di impugnarlo, perché accentra il potere decisionale sul governo e toglie a regioni e enti locali ogni possibilità di mettere voce su questi progetti. Nel caso di Putifigari è chiaro. Dal decreto Draghi, il parere negativo del Ministero della Cultura non ha più il potere di veto. In caso di disaccordo tra ministeri, la palla passa al Presidente del Consiglio che decide se il progetto va avanti oppure no: una delle più grandi aberrazioni introdotte. 

HEADER fotovoltaico putifigari 2
Putifigari, necropoli di Monte Siseri – foto di Gianni Careddu

Perché la questione è così grave?

Il punto è questo: non è l’unico impianto che stanno facendo in quell’area. Noi abbiamo ormai tutta la Sardegna interessata da questi impianti, le cui estensioni sono sempre più ampie. Quello di Putifigari rischia di diventare uno dei progetti più piccoli di tutta la Sardegna. Non c’è un freno reale né una logica in quello che si sta facendo. Si sta parlando di transizione ecologica, ma non è reale. Le linee guida dell’Unione Europea dicono che l’energia deve essere consumata il più vicino possibile a dove viene prodotta e che i territori devono essere coinvolti nella pianificazione degli impianti. Sta succedendo esattamente il contrario.

Realizzare impianti in Sardegna per trasferire tutta questa energia altrove è impossibile e ha dei costi enormi: pensiamo al Tyrrhenian Link, da 3,7 miliardi. Così l’isola sarebbe soverchiata da mega-impianti rinnovabili senza poter smaltire l’energia che producono. Il paradosso è che per sostituire davvero una centrale a carbone ci vorrebbero non meno di 3.000 MWp di impianti rinnovabili installati. Una centrale da 500 MWp lavora fino a 8000 ore l’anno; per capirci, il mega-impianto di Putifigari è da 36 MWp soltanto. Pensate all’occupazione di suolo che sarebbe necessaria per decarbonizzare veramente l’isola.

Se non si pianificano e dimensionano adeguatamente gli impianti, il risultato è una devastazione ambientale. Anche per questo bisognerebbe essere estremamente oculati nella transizione energetica: l’opposto di quanto si sta verificando. Uno dei problemi più grandi in Europa è la perdita di biodiversità a causa della devastazione dei territori; come si concilia questo con la realizzazione di impianti così estesi e con un affollamento tale che quella biodiversità la compromettono? Se noi dobbiamo fare questa cosa per salvarci la vita, per salvare il pianeta, non mi sembra che l’indirizzo che stiamo prendendo sia quello giusto.