28 Novembre 2025 | Tempo lettura: 7 minuti
Ispirazioni / Voci da Italia che cambia

Serve un giornalismo ecologico per raccontare (e cambiare) il mondo

Nonostante le evidenze scientifiche, il dibattito sulla crisi climatica rimane vivo e fortemente polarizzante. Che ruolo può avere il giornalismo ecologico in tutto questo?

Autore: Andrea Degl'Innocenti
giornalismo ecologico

Quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato davanti all’Assemblea generale dell’ONU che il cambiamento climatico è “la più grande truffa mai perpetrata nel mondo”, a molti dei 190 rappresentanti dei Paesi del mondo presenti a New York è sfuggito un “ohhh” di stupore. Non perché avessero improvvisamente capito di essere stati truffati – da chi poi? Dagli scienziati? Da loro stessi? – ma per la sfacciataggine di uno degli esseri umani più potenti del Pianeta nell’affermare qualcosa di completamente errato e  antiscientifico.

Trump non è certo il primo leader mondiale a fare sparate del genere sul clima. Negli ultimi decenni molti personaggi di primo piano hanno negato o ridicolizzato il cambiamento climatico. Nel 2015 l’ex senatore repubblicano USA James Inhofe aveva usato le stesse identiche parole – “la più grande truffa mai perpetrata” – in Senato, portando con sé addirittura una palla di neve, la cui presenza a suo modo di vedere smentiva in maniera inconfutabile il riscaldamento globale.

E ancora, l’ex primo ministro australiano Tony Abbott ha definito “assoluta spazzatura” la scienza sul cambiamento climatico, mentr l’ex presidente ceco Václav Klaus, autore del libro Blue Planet in Green Shackles, ha parlato di “isteria” sul riscaldamento globale, fino ad arrivare all’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro – appena arrestato con l’accusa di tentato golpe – che ha liquidato la questione come una “bufala marxista”.

giornalismo ecologico

Il problema di affermazioni come queste è che generano molti effetti negativi. Il primo è che, pur non avendo alcun fondamento, fanno pensare che ci sia ancora un dibattito in corso. In realtà il cambiamento climatico è il singolo argomento più studiato nella storia dell’umanità e ormai non esistono più ragionevoli dubbi non solo sul fatto che esista, ma anche sulla sua origine antropica, insomma sul fatto che siano le azioni degli esseri umani a causarlo – principalmente bruciando combustibili fossili, ma anche deforestando e compiendo altre azioni ad altissimo impatto ambientale. Viceversa, queste dichiarazioni non hanno alcun effetto sulle molecole di CO2 presenti in atmosfera, che continuano a riscaldare il Pianeta piuttosto indifferenti alle nostre convinzioni su di esse.

Ma non finisce qua: questi messaggi generano una serie di reazioni altrettanto critiche. Scienziate e scienziati non si limitano più a produrre dati, ma devono difenderli nello spazio pubblico, organizzare appelli, campagne, manifesti, entrando in una logica di schieramenti che può logorare la percezione della loro neutralità. Chi è già diffidente verso la scienza vede confermato il sospetto che “anche loro fanno politica”.

Parallelamente anche il sistema dell’informazione, per farsi sentire, tende continuamente ad alzare il volume, con titoli catastrofisti, toni indignati, scontro permanente. Così anche questioni scientifiche serissime rischiano di trasformarsi in rissa ideologica. Il risultato è però spesso opposto a quello che ci si aspetta. Chi è bombardato da allarmi e contro-allarmi si stanca, si anestetizza, smette di distinguere tra notizie importanti e brusio di fondo. Così crescono polarizzazione e cinismo, al pari dei fenomeni di evitamento come la news avoidance, mentre lo spazio per un confronto razionale, paziente e sfaccettato si restringe. E tutto si riduce a uno scontro fra parti, di cui – di nuovo – alle molecole di CO2 in atmosfera non frega granché.  

Il punto è che tendiamo a rispondere agli slogan urlati urlando a nostra volta, ma questo – per quanto sia un meccanismo umano comprensibile – non aiuta. Aumenta solo la confusione, il rumore di fondo. Per il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, il modo in cui circola l’informazione oggi è parte del problema del cambiamento climatico. Han parla di “società dell’angoscia”: siamo bombardati da scenari apocalittici – pandemie, guerre, catastrofe climatica – e da immagini di fine del mondo che non aiutano la transizione ecologica, anzi paralizzano: ci fanno sentire impotenti, alimentano risentimento e sfiducia nelle istituzioni, fino a mettere a rischio anche le democrazie.

Elogio della Terra. Un Viaggio in Giardino
Elogio della Terra. Un Viaggio in Giardino
Byung-Chul Han
Con 24 illustrazioni di Isabella Gresser
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In Elogio della terra. Un viaggio in giardino, il pensatore asiatico propone un’altra via: una trasformazione del nostro rapporto con la Terra attraverso la lentezza, la contemplazione, l’esperienza del bello e del paesaggio, come base per una “coscienza planetaria” e per una visione non estrattiva del mondo. E se questa “cura” valesse anche per il mondo dell’informazione?

In un altro saggio recente dal titolo Activistas del amor, la comunicatrice e attivista spagnola Lucila Rodríguez-Alarcón propone di recuperare l’amore come atto politico. Per amore non si riferisce al sentimento romantico – anzi, l’autrice critica la riduzione del termine a un concetto così specifico – ma a una scelta consapevole di costruire comunità, cooperazione e cura, contro le narrazioni di paura e polarizzazione. L’amore diventa così una herramienta de construcción masiva, una forza capace di rompere il loop infinito di disinformazione e odio, generando nuovi racconti positivi e inclusivi e pratiche molto concrete che restituiscono alle persone la sensazione di poter ancora cambiare qualcosa. 

Insomma, le società umane hanno un forte bisogno di cambiare rapidamente, diventare più sostenibili e resilienti, ma perché ciò possa succedere è necessario che prima cambi il modo in cui le raccontiamo. Non basta limitarci a ripetere ogni giorno quanto è grave la situazione, è necessario porci altre domande: chi sta già cercando di riparare? Quali forme di cura, cooperazione, innovazione stanno emergendo? E come possiamo stimolare sistemi di collaborazione e relazioni che permettano al nuovo di emergere e fiorire?

Il punto è che tendiamo a rispondere agli slogan urlati urlando a nostra volta, ma questo non aiuta

Già, le relazioni: sono centrali. In Verso un’ecologia della mente il sociologo Gregory Bateson propone una lettura relazionale del mondo: la mente non è solo nel cervello del singolo, ma è un insieme di relazioni tra persone, ambiente, cultura, simboli, linguaggio. Pensare in termini di ecologia della mente vuol dire vedere idee, emozioni e comportamenti come parte di un sistema vivente di connessioni e feedback, non come fatti isolati.

Forse abbiamo bisogno di un giornalismo “batesoniano”, che non cerchi il colpevole unico né la soluzione magica, ma mostri pattern che connettono, come politiche, economie, culture, corpi, emozioni e immaginari si influenzano a vicenda. Che esca dalle narrazioni lineari e polarizzanti del tipo “cattivi contro buoni” e crei ponti e descriva mappe di relazioni.  Insomma, serve un’informazione ecologica, che non neghi il disastro, che non si tiri indietro di fronte alla sfida della complessità, ma che affronti queste sfide in maniera costruttiva, dando alle persone gli strumenti per comprendere e accettare la realtà e per provare a trasformarla.

Su Italia che Cambia, con passione e fatica, ci interroghiamo quotidianamente su come costruire un giornalismo ecologico. Da molti anni raccontiamo le storie di chi prova, spesso in silenzio, a cambiare il modo di vivere, lavorare, produrre e prendersi cura dei territori. Cerchiamo di tenere insieme denuncia e proposta, criticità e soluzioni concrete, senza rinunciare ai dubbi e alla complessità, per allargare i confini di ciò che consideriamo possibile.

Il modo più semplice per sostenere ed essere parte di questo sforzo è abbonarsi al nostro giornale. O regalare un abbonamento a qualcuno che pensate ne abbia bisogno. Chissà cosa farebbe e direbbe Donald Trump, se solo leggesse Italia che Cambia… 

Informazioni chiave

Perché c’è un dibattito?

Il mondo scientifico ha fornito dati incontrovertibili sull’esistenza dei cambiamenti climatici e sulla loro origine antropica, ma molte persone mettono in dubbio queste evidenze.

Toni alti

La forte polarizzazione accende i toni di chi partecipa al dibattito, generando confusione e quello che viene chiamato “rumore di fondo”.

Il ruolo del giornalismo ecologico

Per questo il giornalismo ecologico può avere una funzione cruciale: riportare sia i toni che i contenuti sui giusti binari.

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