5 Novembre 2025 | Tempo lettura: 5 minuti
Ispirazioni / Ripensare il sociale

Lo sviluppatore sociale Francesco Bernabei: “Il cambiamento esiste ma va messo a sistema”

Francesco Bernabei si definisce uno sviluppatore sociale. Con questo articolo presenta e inaugura una rubrica da lui curata in cui analizzerà tutti gli aspetti del cambiamento.

Autore: Francesco Bernabei
sviluppatore sociale

Ho sempre trovato molto interessanti e promettenti il progetto e l’idea di Italia che Cambia. Penso che un sistema di informazione che metta in relazione le attività di chi opera per un cambiamento sano, positivo e pratico con chi magari ha bisogno di idee per partire con le proprie capacità e competenze, sia quello che serve in ogni paese. Mi avventuro a dire che sarebbe compito dei governi e delle pubbliche amministrazioni. Quando mi è stato proposto dall’amico Daniel Tarozzi di avviare una rubrica sui temi che tratto, mi è sembrato un invito a nozze, come si dice di solito.

Io faccio e mi definisco sviluppatore sociale, lavoro per costruire modelli di sviluppo che rendano possibili piccoli e grandi cambiamenti, sperabilmente positivi. Da sempre sono nei progetti degli altri e posso dire, senza alcuna professione di modestia, che i miei progetti vivono grazie alle idee degli altri, che studio con grande interesse perché ho avuto modo di vedere che, in tantissimi ambiti, non sono le idee a mancare ma i metodi di applicazione e le strategie sociali per renderle evidenti.

Anche per questa ragione ho deciso di assumere questo titolo relativamente nuovo – sviluppatore sociale – che talvolta viene scambiato per un “nome di battaglia” e talaltra per un vezzo da fricchettone. Ma il punto è proprio questo: dopo tutto lo sviluppo economico che abbiamo espresso in tutte le forme immaginabili, quello che ci manca davvero è lo sviluppo sociale, cioè il fatto di prendere atto e applicarci alla creazione di idee e percorsi che devono fare la differenza sui diversi ambiti della vita sociale.

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Francesco Bernabei in un incontro in Piemonte

Sì, perché da una parte siamo in grado di parlare con chiunque presente sul pianeta grazie a un oggettino grande come una calcolatrice, avere sott’occhio tutte le informazioni pubblicate traducendole da ogni singola lingua del presente e del passato, costruire case e infrastrutture a velocità record, avere ogni forma di cibo e tante altre cose che sarebbero state giudicate meraviglie da maghi solo dalla generazione precedente. Ma dall’altra parte siamo talmente indietro da non riuscire a opporre un ragionamento strutturato a chi propone guerre, interventi sanitari di massa mai sperimentati prima, leggi inique e salva(una)persona, sistemi di distruzione ambientale a norma.

Tutte cose che rimandano alla classica figura dell’alieno hollywoodiano: avete presente il tipico calamaro tentacolato che dice “vengo in pace”, ma poi vuole distruggere tutta l’umanità e succhiare il pianeta per poi lasciarlo morto e passare a un altro pianeta? Ecco, quell’alieno è proprio il parto della mentalità di questi tempi: con un fantastilione di possibilità di sviluppo, navigando fra infinite galassie, potrebbe vivere da privilegiato.

Pure senza NASPI, dedicandosi alla ricerca della bellezza e della comprensione ultima dell’esistere e tutto quello che fa il nostro cinico tentacolato è aprire un’attività in proprio su di un pianetino per depurarlo dai legittimi abitanti e spolparlo fino all’ultimo e, a fine percorso, andarsene come un qualunque calamaro dei nostri mari in cerca di cibo. Avrà pure 10 in scienze, ma davvero non credo arrivi al classificabile nel resto! Questo alieno è interessante perché è la proiezione semicosciente di come ci vediamo davvero collettivamente: grandi promesse pratiche, ma poca capacità di agire per il meglio; importanti conquiste tecnologiche, ma ancora scarsa consapevolezza dei piani emotivi e veramente intellettuali che sono la vera promessa della nostra specie biologica. 

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Quando capita di parlare di possibilità positive e di etica in pubblico, non posso non notare che, per lo più, si viene percepiti come sognatori, idealisti, magari anche un po’ fanfaroni, poco avvezzi al mondo e alle sue logiche. Mentre chi propone guerre, distruzioni ambientali, tagli alla spesa che è fondamentale per il benessere della società, lui sì che è nel mondo, lui sì che è uno che capisce le situazioni e sa gestirle e, se poi le cose non andranno come è stato rappresentato, è solo perché così va il mondo.

Non mi sto sfogando – anche se a volte serve –, ma voglio solo proprio sottolineare questa incoerenza: la mancanza della mentalità dello sviluppo sociale ha prodotto lo strano incredibile risultato per cui il cinico, quello freddo e calcolatore sarebbe il sano, mentre chi prova a cambiare le cose e a proporre linee evolutive che mettono insieme gli interessi leciti di tutti e tutto è quello che risulta inaccettabile. Come se fossimo destinati a vivere male e basta. Come se non ci fosse nemmeno da provarci. 

Quello che ci manca davvero è lo sviluppo sociale, applicarci alla creazione di idee e percorsi che devono fare la differenza sui diversi ambiti della vita sociale

Siccome tutto questo, se detto ad alta voce e ammesso con sincerità, rivelerebbe l’inconsistenza del ragionamento e probabilmente si sistemerebbe da solo, senza bisogno di parlarne più di tanto, è venuto il momento di rendere conto non dei mali ma dei beni possibili. Vorrei che gli articoli a seguire illustrassero non solo le potenzialità, i “futurismi”, ma anche le concrete vie di sviluppo che potrebbero generare non solo approvazione ma anche sacrosanta azione. 

Le persone che stanno creando cambiamento ci sono eccome, sono tante e motivate ma non si vedono perché non fanno notizia e perché non amano nemmeno mettersi in mostra. Questo giornale le racconta da anni e il punto adesso è mettere a sistema non un movimento collettivo, cosa che si è dimostrata ancora non matura per i nostri tempi, ma tutte le vie di relazione e connessione fra i progetti e percorsi che permetteranno l’emergere di stili di vita migliori e coerenti con l’obiettivo di una società più sana e in rapporti evoluti con le altre società.

Solo così potremo trattare davvero le sfide dei nostri giorni e, a un certo punto, arrivare a contare su di una classe politica autentica espressione di votanti meno egoisti e più dotati di uno spirito comunitario intelligente. Quella sarà l’ora della democrazia che non abbiamo mai conosciuto perché non è mai stato un progetto da perseguire seriamente. Ma arriverà anche questo e dipenderà anche da noi.