17 Dicembre 2025 | Tempo lettura: 5 minuti

Alessandra Guigoni: “La cultura gastronomica sarda oggi non sta molto bene, ma c’è sempre più attenzione”

Autrice dell’Enciclopedia gastronomica della Sardegna, Alessandra Guigoni dialoga attorno al tema della tradizione gastronomica sarda, tra globalizzazione e nuove consapevolezze.

Autore: Sara Brughitta
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Viviamo un’Isola dove quasi ogni paese custodisce un sapore che lo racconta: un pane che si prepara in un solo giorno dell’anno, un formaggio stagionato tipico, una ricetta che passa di mano in mano come un’eredità. Per l’antropologa culturale, giornalista e autrice Alessandra Guigoni – che avevamo già intervistato qualche anno fa –, tutto questo non è solo oggetto di studio, ma un modo di guardare all’Isola.

«Ogni paese della Sardegna possiede una pietanza identitaria: il cibo è il primo gradino per avvicinarsi a una cultura altra», dice. La sua “Enciclopedia gastronomica della Sardegna” è nata così: come un viaggio iniziato negli anni Novanta e durato più di venticinque anni. Una raccolta immensa di storie, ingredienti e memorie culinarie. Ma è anche, e forse soprattutto, un invito a ripensare il modo in cui l’Isola si rapporta al proprio cibo, al proprio territorio e alla propria identità.

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Formaggi sardi – Canva

Tradizione in transizione

Quando le chiedo come stia oggi la cultura gastronomica sarda, Alessandra Guigoni non usa giri di parole: «Rispetto a 25 o 30 anni fa la tradizione gastronomica non sta molto bene». La sua non è nostalgia né rifiuto del nuovo: è la constatazione di una trasformazione rapida, spesso poco consapevole. «È normale che una cultura alimentare cambi e si contamini, ma in Sardegna fondiamo la nostra identità – e anche parte della nostra economia – sul cibo. Il fatto che oggi si consumi più sushi che malloreddus fa riflettere».

Il cambiamento non riguarda solo ciò che mettiamo nel piatto, ma anche ciò che ci aspettiamo di trovare nei ristoranti dell’Isola. «Si crede di poter trovare gli stessi piatti ovunque: questo crea anonimato gastronomico e ci fa perdere il senso dei luoghi». Se ogni paese perde i suoi sapori, perde anche la propria storia. «Così rischiamo di lasciare indietro paesaggi che le comunità hanno costruito in migliaia di anni».

Tradizione gastronomica tra mode e contraddizioni

Nella trasformazione del gusto il ruolo dei social è evidente: «Esistono piatti che sono veri e propri “gastro-anonimi”, che potrebbero essere serviti ovunque». Fotogenici, replicabili, piacevoli alla vista più che al palato. E poi c’è il paradosso tutto contemporaneo: alcuni ingredienti tropicali, come mango o avocado, a causa del cambiamento climatico oggi crescono davvero in Sardegna, mentre prodotti ritenuti autoctoni possono arrivare da migliaia di chilometri di distanza. «Il cibo è un tema complesso: una bottarga che pensiamo locale può arrivare dall’altra parte del mondo, mentre il mango che percepiamo più lontano potrebbe magari provenire da un paese vicino».

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Pani della tradizione gastronomica sarda – Canva

Per questo, dice Guigoni, serve consapevolezza: «Volevo creare una sensibilità nel leggere le etichette ed esercitare il senso critico». Nel frattempo però il rapporto con il cibo continua a complicarsi. «Prima si mangiava per sopravvivere, poi per il gusto: oggi si mangia anche per vivere di più». Il cibo è diventato terreno di paure, aspettative, mode nutrizionali. E questo spesso allontana dalla semplicità. «Fare terrorismo alimentare non serve: crea solo confusione».

La ristorazione è uno degli specchi più immediati di questa transizione. «I ristoratori spesso propongono sempre gli stessi piatti per pigrizia: sono piatti noti, che non vanno spiegati». Un approccio che rassicura il turista ma impoverisce la biodiversità gastronomica dell’Isola: «Così si appiattiscono i gusti e si perde il legame con i territori». Il problema per Guigoni non riguarda solo ciò che si cucina, ma anche ciò che si produce. «Non è che produrre cibo non convenga più, è che non viene pagato quanto dovrebbe». Ma la soluzione non solo esiste, è anche alla nostra portata: «Servirebbero circuiti virtuosi tra produzione, consumo e ristorazione».

Si appiattiscono i gusti e si perde il legame con i territori

Filiera corta, distribuzione più semplice per i piccoli produttori, maggiore presenza dei prodotti locali nelle città. L’obiettivo non è elitizzare il cibo, anzi: «Il cibo deve essere democratico: oggi purtroppo non lo è». Ma per cambiare serve coinvolgimento, non giudizio. Il cibo è qualcosa che introduciamo nel corpo ogni giorno, e per questo le scelte alimentari possono generare curiosità ma anche timore.

Siamo costantemente bombardati da nuove diete che promettono salute e longevità o da integratori miracolosi che assicurano risultati immediati, al contempo urge adottare un’alimentazione etica e sostenibile. Per cui è normale chiedersi: ci farà bene? Ci farà male? È stato prodotto in maniera sostenibile? Un rumore di fondo il cui rischio è sentirsi confusi. Guigoni invita a uscire da quest’impasse con un approccio non giudicante: «Colpevolizzare non serve: produce l’effetto contrario. Bisogna educare con dolcezza».

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Dolci tipici sardi

Cosa (invece) funziona

Le ombre ci sono, sì, ma quello di Alessandra Guigoni non è uno sguardo pessimista. Anzi. «Le persone oggi leggono di più le etichette e sprecano meno». Non è solo una questione di dati, ma di mentalità: un’attenzione nuova, fatta di curiosità e responsabilità. E poi ci sono le persone giovani, molte delle quali restano o tornano alla terra: riprendono i terreni dei nonni, sperimentano, innovano. Non è un ritorno nostalgico, ma un modo diverso di immaginare il futuro, una risposta concreta ai cambiamenti climatici e sociali. Anche nella ristorazione qualcosa si muove: «Vedo più attenzione ai prodotti locali e più piatti vegetariani».

Una crescita di consapevolezza che potrebbe avere ricadute importanti anche sul settore del turismo sempre centrale nelle politiche isolane, soprattutto però se si guarda oltre il modello balneare. Un turismo che dialoga con le economie locali e con ciò che ogni territorio produce. «Credo tantissimo nel turismo enogastronomico: è un turismo diffuso, sostenibile e possibile tutto l’anno». Un turismo in cui ciò che viene consumato è il prodotto, non il luogo. Cambiare è dunque possibile, attraverso  piccoli gesti – scegliere un formaggio prodotto a pochi chilometri, chiedere un piatto davvero locale al ristorante, leggere un’etichetta – per recuperare il senso dei luoghi attraverso ciò che mangiamo.