Carceri, il supporto e la rieducazione dei detenuti migliora le condizioni lavorative degli agenti. Lo dice uno studio
Secondo una ricerca dell’Università Milano-Bicocca all’interno delle carceri è importante un clima collaborativo che possa contribuire al benessere dei detenuti e degli agenti penitenziari.
Uno studio dell’Università di Milano-Bicocca, pubblicato sulla rivista Journal of Criminal Psychology, rivela come un clima carcerario orientato al supporto e alla rieducazione dei detenuti migliori anche l’equilibrio psico-fisico del personale penitenziario. Quando si parla infatti delle carceri non bisogna solo pensare ai diritti dei detenuti, ma anche al benessere psicologico e professionale degli agenti penitenziari.
Lo studio, realizzato in collaborazione con la Direzione generale della Formazione del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, ha coinvolto 1.080 agenti della Polizia penitenziaria italiana e dimostra la necessità di promuovere norme sociali finalizzate al supporto e alla rieducazione delle persone ristrette per contribuire alla soddisfazione lavorativa e alla riduzione del rischio di burnout del personale impiegato negli istituti penitenziari.
«Gli agenti che lavorano in carceri orientati alla dignità e alla rieducazione dei detenuti riportano livelli più bassi di esaurimento emotivo», spiega Marco Marinucci, primo autore e assegnista di ricerca a Milano-Bicocca. «Questo indica che promuovere una cultura penitenziaria improntata al supporto e al reinserimento sociale non solo tutela i diritti dei detenuti, ma rappresenta anche una leva fondamentale per proteggere la salute psicologica degli agenti e prevenire fenomeni di abuso».
Una cultura penitenziaria che mira al recupero dei carcerati, attraverso la promozione di un clima relazionale disteso ed empatico, favorisce atteggiamenti e intenzioni comportamentali più supportivi e meno punitivi, contribuendo a ridurre l’ostilità tra agenti e detenuti e favorendo per gli agenti un coinvolgimento positivo nel lavoro.
Di contro, come segnala lo studio, un’eccessiva vicinanza emotiva con i detenuti può, in assenza di un’adeguata preparazione, aumentare lo stress emotivo degli agenti di polizia penitenziaria. Per questo motivo, i ricercatori suggeriscono di affiancare al cambiamento culturale percorsi formativi capaci di aiutare gli agenti a gestire l’empatia in modo professionale e contenere i rischi di burnout.
Lo studio è di certo un input a promuovere un cambiamento culturale negli istituti penitenziari, a beneficio tanto del personale quanto delle persone detenute, per migliorare le condizioni di lavoro, ridurre i rischi psicologici e costruire carceri più sicure e giuste. Su Italia che Cambia trovate tante storie – da Banda Biscotti a L’Arcolaio, a Cotti in fragranza – che raccontano di attività promosse all’interno delle carceri che aiutano a mitigare le carenze di servizi, il disagio psichico e l’abbandono istituzionale.
Solo nel 2024 ci sono stati circa 1.500 episodi di protesta collettiva non violenta: battiture, rifiuti di rientrare in cella, scioperi della fame. Con il nuovo reato di “rivolta in carcere”, previsto dall’articolo 415-bis del codice penale, queste forme di dissenso potrebbero diventare perseguibili penalmente. Un clima organizzativo avrebbe un impatto significativo sulla qualità del lavoro nelle carceri, sulla condizione dei detenuti e sull’equilibrio psicologico di tutti.







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