28 Feb 2023

E quindi Elly Schlein? – #678

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Elly Schlein è ufficialmente la nuova segretaria del Pd, prima donna a ricoprire questo ruolo. Ieri ne abbiamo parlato un po’ frettolosamente, oggi approfondiamo la questione. Parliamo anche dello storico accordo fra Ue e Regno Unito sull’Irlanda del Nord, delle studentesse avvelenate in Iran e dell’assurdo commercio di farmaci nell’Africa subsahariana.

Allora, torniamo a parlare un po’ della vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd. Prendo in prestito un po’ di considerazioni e stralci di articoli per provare a elaborare un discorso in 3 punti. Il primo punto che mi sembra interessante di questa elezione è il messaggio che arriva dall’elettorato. Lo zoccolo duro del Pd, ovvero gli iscritti al partito, avevano scelto Bonaccini, ma il voto allargato (chiunque può votare alle primarie) ha completamente ribaltato la situazione. Come scrive il Post “Nei 16 anni di vita del PD non era mai successo che il voto degli iscritti venisse ribaltato da quello aperto a tutti”. 

Che vuol dire questo fatto? Come interpretare questa cosa? Mi inerpico in un’interpretazione. È possibile che una parte di elettorato di sinistra, meno dentro al partito, abbia intravisto in Schlein la possibilità di un cambiamento, di una ventata di novità, di politiche più di sinistra. Non dico che questa cosa succederà sicuramente, dico solo che rispetto a un Bonaccini, che incarna anche fisicamente un modo un po’ compassato di fare politica, Schlein ha tutte le caratteristiche per incarnare la voglia di cambiamento: è donna, è giovane, è omosessuale. Nessuna di queste caratteristiche ci dice qualcosa, ovviamente, sul fatto che sarà o meno una buona politica. Ma la politica è fatta anche di simboli e penso che la sua vittoria nettissima possa essere letta anche come sintomo di una estrema voglia di cambiare aria.

Veniamo così a quello che secondo me è il secondo punto interessante. Da ieri abbiamo due donne, una a capo del governo e una a capo del principale partito di opposizione. Le due figure più rilevanti nella politica nazionale, al momento, sono due donne, due donne piuttosto giovani peraltro, il che per il nostro paese è un’assoluta novità. Poi è chiaro che le similitudini si fermano qui, come la stessa Schlein ha voluto rimarcare nel suo discorso quando ha detto: “Sono una donna, amo un’altra donna, non sono madre ma non per questo sono meno donna, perché non siamo uteri viventi, siamo persone con i loro diritti”, una evidente risposta al famoso slogan gridato da Meloni nel 2021 al congresso del partito spagnolo di estrema destra Vox, quando disse: “La nostra identità è sotto attacco, ma non lo permetteremo. Sono Giorgia, sono una donna, sono italiana, sono cristiana e nessuno può portarmi via tutto questo”.

Il terzo punto però rimarca una netta differenza fra le posizioni delle due leader all’interno dei propri partiti. Se Meloni è la leader indiscussa di FdI e della maggioranza di governo, in molti mettono in dubbio che Schlein abbia tutto questo reale potere decisionale all’interno del suo. Questo credo dipenda – anche se può sembrare paradossale – proprio dal loro essere donne nei due schieramenti opposti: essere una donna in un ambiente di destra, in cui nessuno da un particolare valore al fatto che tu sia donna, anzi, è al tempo stesso garanzia del fatto che ogni centimentro politico Meloni se lo sia conquistato a suon di spallate e senza favori.

Essere donna invece in un ambiente politico ugualmente dominato da uomini, ma in cui si suppone che avere una donna al comando possa dare magari un vantaggio elettorale, peraltro in un partito dove da anni comandano sempre le stesse persone, pur al cambiare dei segretari, un po’ il dubbio che questa possa essere una operazione di cosiddetto pinkwashing lo fa venire. Anche qui, non significa che questa cosa succederà o che Schlein sarà solo un fantoccio nelle mani dei vari Franceschini, Orlando, Letta e così via, ma è possibile che l’appoggio incondizionato che le hanno accordato fin da subito celi dei calcoli elettorali, e d’immagine (a maggior ragione dopo lo smacco di una prima premier donna della storia di destra).

Personalmente, mi resta aperta la domanda: quanto riuscirà ad incidere Schlein sui meccanismi interni del partito, sulle dinamiche dell’opposizione (il Pd si avvicinerà al M5S?), sulle politiche concrete? È una domanda aperta, non retorica, perché non lo so. Così come il fatto che sia donna, giovane e omosessuale non è garanzia di un rinnovamento nei contenuti e nelle politiche, il fatto che sia appogiata dalle correnti interne del Pd non è sinonimo del fatto che sarà una marionetta eterodiretta. Staremo a vedere, come sempre, e aspetteremo che siano i fatti a parlare. 

Intanto annoto come cosa positiva, il fatto che abbia parlato di overshoot day durante il suo primo discorso.

Forse ricorderete che uno dei punti da sempre più critici degli accordi fra Regno Unito e Ue post Brexit è quello che riguarda l’Irlanda del Nord. Vi riassumo e semplifico brutalmente, andando un po’ a memoria, ma il punto di frizione principale era che c’era un confine commerciale da mettere da qualche parte, in qualche misura. Perché l’Irlanda continuava ad essere parte del mercato unico europeo, l’Uk no. L’irlanda del nord fa parte del Regno unito, ma al tempo stesso fare una divisione netta fra Irlanda del nord e del Sud significava dover introdurre ad esempio nuove frontiere, dogane, ecc, fra le due irlande, andando a siffiare sui fantasmi del passato.

Ecco, ieri c’è stato un incontro molto importante fra la presidente della commissione Ue Ursula Von Der Leyen e il premier britannico Rishi Sunak. Com’è andata ve lo lascio raccontare dall’articolo di Nicol Degli Innocenti (giuro, non è una mia parente) sul Sole 24 Ore.

“Si apre un nuovo capitolo nei rapporti tra Regno Unito e Unione Europea. Dopo anni di tensione e antagonismo Londra e Bruxelles hanno trovato l’accordo sul Protocollo irlandese, sciogliendo l’ultimo nodo irrisolto di Brexit.

L’annuncio è stato fatto dal premier britannico Rishi Sunak e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in una conferenza stampa congiunta oggi a Windsor. «Siamo alleati, partner commerciali e amici -, ha dichiarato Sunak -. Insieme abbiamo trovato il modo per mettere fine all’incertezza».

L’intesa, definita “l’accordo quadro di Windsor” (Windsor Framework), modifica sostanzialmente il testo del Protocollo siglato nel 2020 per risolvere alcuni dei problemi che fino a oggi sembravano insuperabili mantenendo però l’obiettivo principale di non tornare a un confine interno tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda con il rischio di nuove tensioni politiche e religiose.

I punti chiave dell’accordo di Windsor sono tre: in primo luogo non ci saranno controlli doganali, ostacoli e intoppi burocratici per le merci, compresi prodotti alimentari e piante, provenienti dalla Gran Bretagna e destinate all’Irlanda del Nord, che viaggeranno in una speciale “corsia verde”. Le merci dirette verso la Repubblica d’Irlanda e quindi la Ue transiteranno invece in una “corsia rossa”, per garantire l’integrità del mercato unico Ue.

Il terzo punto è la tutela della sovranità dell’Irlanda del Nord. Sunak ha spiegato che il Parlamento di Stormont avrà il diritto di bloccare le regole Ue e il Governo britannico avrà il diritto di veto. Si tratta di un “freno di emergenza” che rappresenta una “potente salvaguardia” che dovrebbe placare i timori del Dup di trovarsi soggetto alle norme Ue senza voce in capitolo. La Corte Europea di Giustizia resta arbitro supremo della legge Ue, ha sottolineato von der Leyen.

La presidente Ue ha anche confermato che l’accordo sblocca anche la collaborazione sulla ricerca scientifica, permettendo la partecipazione della Gran Bretagna al programma Horizon dal quale era stata esclusa proprio a causa della disputa sul Protocollo. 

Sia Londra che Bruxelles vorrebbero formalizzare l’accordo prima di aprile, quando ricorre il 25esimo anniversario degli accordi del Venerdì Santo che avevano riportato la pace in Irlanda del Nord dopo anni di violenze settarie. Il presidente americano Joe Biden, che ha origini irlandesi, potrebbe andare a Belfast per festeggiare l’anniversario”. 

I risultati delle elezioni in Nigeria si fanno attendere più del previsto, e allora ne approfitto per darvi due notizie che mi hanno lasciato abbastanza allibito e che non compaiono sui principali giornali. Daniele Atzori su il Caffé Geopolitico ci parla di un report Onu pubblicato un po’ in sordina il 31 gennaio secondo il quale nell’Africa subsahariana ci sarebbero qualcosa come 200mila morti all’anno collegabili all’utilizzo di farmaci contraffatti o sotto standard. 

“Secondo un report ONU fino al 50% dei farmaci circolanti nella regione del Sahel è contraffatto o non rispetta gli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Sempre l’OMS stima in un numero compreso tra 72mila e 267mila le morti collegate a farmaci antimalarici contraffatti o sotto standard. In aggiunta si stimano circa altri 167mila decessi connessi a farmaci falsificati utilizzati per curare la polmonite nei bambini. Il rapporto prende in considerazione cinque Paesi dell’Africa subsahariana: Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad.

I Paesi del Sahel prima elencati dipendono, in campo farmaceutico, dalle importazioni estere, che coprono tra il 70 e il 90% del totale della spesa sanitaria e ammontano a circa 14 miliardi di dollari l’anno. Questo, insieme alla mancanza di industrie farmaceutiche sufficientemente sviluppate e in grado di coprire anche solo parzialmente il fabbisogno nazionale, in particolare di farmaci antimalarici, porta inoltre a un debole potere negoziale nei confronti delle multinazionali farmaceutiche estere. La differenza tra domanda e offerta viene in parte colmata sia da farmaci contraffatti che vengono venduti comunque nel circuito legale, sia dal mercato nero. 

Più avanti: “Le rotte che riforniscono il mercato nero partono sia da Paesi europei come Francia e Belgio, che asiatici come Cina e India, ma anche dagli Stati Uniti, per arrivare ai grandi porti atlantici dell’Africa Occidentale. Dalla zona costiera queste merci contraffatte si dirigono via terra verso l’interno del continente, andando a occupare fette di mercato non solo nei Paesi presi in esame dal report dell’ONU, ma in generale in tutta l’Africa Occidentale. Il traffico interno di questi farmaci è enormemente agevolato dai confini porosi esistenti tra molti Stati del Sahel, i quali sono incapaci di attuare un efficace controllo delle frontiere. Criminalità organizzata e gruppi jihadisti guadagnano su questi traffici, che occupando un’importante fetta di mercato, vanno anche ad attuare una concorrenza sleale nei confronti dei farmaci regolari, rendendo meno appetibile uno sviluppo delle industrie nazionali nel campo.

L’articolo si conclude con la previsione di un aumento della richiesta di farmaci nei prossimi anni, per via del previsto aumento demografico, e con l’auspicio che migliorino i controlli e si sviluppino industrie farmaceutiche locali. Di sicuro la disparità di accesso ai farmaci è unod ei grandi temi della nostra epoca, ed è uno delle tante distorsioni dovute a un mercato farmaceutico dominato da pochi attori. 

Mi sembra che un po’ come per il cibo, e in generale la distribuzione dei beni e della ricchezza, il mercato non fa altro che acuire le differenze e creare paradossi. Così come c’è una parte di mondo che mangia troppo e soffre di problemi di obesità e un’altra che soffre la fame, anche nei farmaci c’è una parte di mondo che ne fa un uso eccessivo, a volte un abuso vero e proprio, e un’altra che non ha accesso nemmeno a queli essenziali e deve procurarseli contraffatti

La seconda notizia invece la prendo dal Post e riguarda un fatto assurdo successo in Iran, dove oltre duecento studentesse di quattordici diverse scuole femminili sono state deliberatamente avvelenate con composti chimici nell’intento di tenerle lontane dalle scuole. 

In pratica le ragazze e bambine hanno iniziato ad avvertire strani sintomi come mal di testa, nausea, vomito e la voce dei possibili avvelenamenti ha iniziato a circolare soprattutto all’interno dei movimenti sociali, con il governo che però fin qui aveva sempre smentito. 

“Il caso degli avvelenamenti ricorrenti che hanno portato anche ad alcuni ricoveri di ragazze e bambine, è iniziato a dicembre  – scrive l’articolo del Post –  ma nelle ultime settimane c’erano state manifestazioni da parte dei genitori per protestare contro quello che stava avvenendo. Domenica il viceministro della Salute Younes Panahi ha infine confermato che gli avvelenamenti sono stati «intenzionali».

Panahi non ha indicato i possibili responsabili, ma secondo alcuni media locali le ragazze sarebbero state avvelenate da movimenti di estremisti religiosi, probabilmente ispirati dalle politiche dei talebani afghani, che negli ultimi mesi hanno vietato l’accesso alle scuole a bambine e ragazze. L’intenzione, secondo il viceministro, era quella di arrivare alla «chiusura di tutte le scuole femminili».

Gli avvelenamenti sono cominciati a Qom, città da 1,2 milioni di abitanti 160 chilometri a sud della capitale Teheran: è considerata in Iran una città “santa”, sede di molte istituzioni del clero iraniano e di vari seminari per studi teologici sciiti che hanno ospitato la maggior parte dei leader del paese. A Qom alcune scuole hanno subito attacchi con composti chimici più volte, ma sono stati registrati casi anche a Teheran, Ardebil e Boroujerd.

Parte dei movimenti di opposizione al regime iraniano aveva accusato in queste settimane le autorità del paese per gli avvelenamenti, legandoli alla repressione dei movimenti di protesta in corso da alcuni mesi nel paese.

A proposito delle proteste in Iran, vi segnalo un articolo uscito qualche giorno fa scritto da Susanna Piccin in cui intervista un rifugiato iraniano che racconta la sua incredibile storia all’interno di un carcere iraniano, e vi ricordo che c’è una puntata di INMR+ dedicata proprio a comprendere le proteste.

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