8 Set 2023

Il governo ha approvato il decreto Caivano sulle “baby gang” – #787

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ieri sera il governo ha approvato il cosiddetto Decreto Caivano, che rende più facile per i minorenni finire in carcere e introduce alcune misure punitive, in seguito allo stupro di gruppo avvenuto nel comune campano. Contestualmente approva anche il Decreto Sud. Parliamone. Parliamo anche della prima bozza di accordo globale sulla plastica, di uno studio sull’impatto dei bicchieri usa e getta di carta e infine di nuovo del governo e delle conseguenze di un altro decreto, quello sul caro voli.

Ieri sera il Consiglio dei ministri ha varato un decreto legge che contiene misure urgenti «di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile», già ribattezzato dai giornali Decreto Caivano, dal nome del paese campano dove qualche setimana fa è avvenuto quel tremendo episodio di cronaca, lo stupro di gruppo ai danni di due adolescenti. 

Oggi, quasi tutti i giornali aprono con questa notizia. Ma che cosa prevede questo decreto? In generale, rende più facile per i giovani finire in carcere, sostanzialmente. Anche se molte delle strette previste  e delle dichiarazioni roboanti fatte in fase di scrittura, non trovano riscontro nel disegno di legge. Ad esempio Salvini aveva parlato di abbassare da 14 a 12 anni l’età per essere imputabili, perché un dodicenne di oggi è diverso da un dodicenne di 15 anni fa e deve essere trattato come un cinquantenne. Oppure la ministra della famiglia Eugenia Roccella aveva parlato di una stretta sull’accesso dei minori ai siti portno, che anche non compare, così come non compare la stretta sull’utilizzo degli smartphone in classe (c’è un accenno a delle restrizioni dell’uso del cellulare, ma solo in caso di alcuni reati e spetterà al questore decidere se e come).

È presente invece l’abbassamento della soglia della pena che consente di applicare la misura della custodia cautelare, che passa da 9 a 6 anni. Ergo sarà più facile per i giovani andare in carcere. 

Così come “un aumento della sanzione per lo spaccio di lieve entità, con l’arresto in flagranza del minore”.

Viene esteso il daspo urbano, o dacur, anche ai minori sopra i 14 anni. Il daspo urbano è “l’allontanamento da alcune zone della città per chi è responsabile di comportamenti che aggravano il disordine urbano, e sarà appunto valido anche per minorenni sopra i 14 anni. 

Inoltre, si interviene anche, sempre sul daspo ampliando la platea dei reati per lo prevedono, e comprendendo reati di semplice detenzione di sostanze stupefacenti. Ad esempio il semplice uso di stupefacenti potrà comportare l’allontanamento dalla frequentazione di certi luoghi, sedi universitarie, scuole, locali pubblici.

Ancora: vengono rese più dure le pense per alcuni reati, come il porto d’armi illegale, la violenza, la resistenza a pubblico ufficiale, lo spaccio di stupefacenti di lieve entità per minori, sempre ultra 14enni.

Infine, c’è anche una misura relativa ai genitori. Leggo dal testo: “viene rafforzata la sanzione nei confronti dei genitori che abbandonano i figli e non li fanno andare a scuola. Come ha commentato il ministro della giustizia Carlo Nordio, “Prima questo reato di dispersione assoluta era punito con una sanzione platonica, noi l’abbiamo elevato al rango di delitto, con la pena della reclusione fino a 2 anni. Crediamo che così venga direttamente aiutato il minore”.

Ah, ultima cosa, si prevede di affidare a Fabio Ciciliano, medico in servizio presso il Dipartimento di Pubblica sicurezza, il ruolo di commissario per la riqualificazione del Comune di Caivano, che avrà a disposizione 30 milioni per un primo intervento di risanamento del territorio, con priorità al ripristino del centro sportivo varato negli anni Ottanta e che era un fiore all’occhiello prima di diventare una discarica”. 

Poi in realtà, contestualmente, è stato approvato anche il cosiddetto Decreto Sud, ma su quello magari facciamo un ragionamento a parte.

Facciamo intanto qualche commento. In molti fanno notare che non esiste nessun caso noto in letteratura in cui un inasprimento della pena abbia portato a una diminuzione del reato in questione. Messa così quindi quella messa in atto dal governo Meloni sembra una legge più punitiva che preventiva o rieducativa, cosa che però è contraria all’ordinamento italiano ed è eticamente molto discutibile, soprattutto quando si tratta di minori.

Poi c’è la scelta dello strumento, quello del decreto legge, peraltro scritto in fretta e furia per stessa ammissione del governo. Il decreto legge è uno strumento che, in teoria, si usa in casi di eccezionale urgenza ed emergenza, che permette di bypassare il parlamento e approvare una legge in maniera diretta dal governo. Poi il decreto va comunque convertito in legge successivamente, ma intanto inizia ad essere applicato. Solo che qui si passa da un’emergenza ad un’altra.

Ora, l’utilizzo quotidiano di strumenti in teoria emergenziali non si può certo imputare a questo governo, ma è una cattiva prassi che va avanti ormai da decenni nella politica italiana, con nessuno degli ultimi governi che ha fatto eccezione. Quello che noto però, e che notano molti commentatori, è che il governo Meloni sembra aver attuato una sorta di spettacolarizzazione dell’emergenza. Quasi ad ogni fatto di cronaca recente è seguito un decreto: è successo dopo la tragedia in mare di Cutro, è successo dopo l’incidente in macchina degli Youtuber, è successo dopo (vado a memoria) una serie di casi di femminicidi.

Il fatto di legare certi provvedimenti a certi fatti di cronaca, farli arrivare in agenda quando tutti stanno parlando di quella cosa, anche con tempistiche record, sembra un’ottima strategia di marketing social, ma dubito che possa portare a delle leggi buone e ponderate.

Come vi accennavo prima, contestualmente al Dl Caivano il Consiglio dei ministri ha approvato anche un altro decreto, il cosiddetto decreto Sud, che instaura una Zona economica speciale unica per tutto il Sud Italia. L’obiettivo dichiarato è quello di favorire lo sviluppo delle Regioni meridionali attraverso un programma di aiuti da 4,5 miliardi di euro in tre anni per realtà in difficoltà, per motivi differenti, da Caivano alle Isole di Lampedusa e Linosa. 

Stefano Iannacone su Domani lo definisce un decreto mancia di un governo ostile al Sud Italia. Scrive: “Il governo ha finora ignorato i problemi del Mezzogiorno varando misure punitive, a cominciare dalla cancellazione del reddito di cittadinanza e proseguendo con il definanziamento dei progetti del Pnrr. Oggi cerca di mettere una toppa alle sue mancanze, ma nel provvedimento che arriva in Consiglio dei ministri spicca solo l’accentramento dei poteri nelle mani del ministro Fitto”.

Una lettura simile la dà MariaRosaria Marchesano sul Foglio, che scrive: “Altro che autonomia differenziata. Il governo Meloni si appresta ad accentrare tutti i poteri per il rilancio economico del Mezzogiorno a Palazzo Chigi, dimostrando che è questione su cui intende avere voce in capitolo e lasciarla il meno possibile nelle mani di autorità locali. 

Il decreto Sud, che è il primo punto dell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri convocato per oggi, circola ancora in bozza, ma il disegno di accentramento è chiaro e passa attraverso la riunificazione delle otto Zone economiche speciali (Zes) di recente istituite in una grande zona “franca” per gli investimenti produttivi (partirà dal primo gennaio 2024). 

Il precedente modello è stato completamente smontato e gli otto commissari che erano stati nominati dal governo Draghi mandati a casa (ma resteranno in carica per garantire il passaggio di consegne). Al loro posto ci saranno una cabina di regia interministeriale e una struttura di “missione” che si occuperà di realizzare il piano strategico della Zes sud, di cui faranno parte Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Tutto, insomma, sarà deciso a Roma e non più sui territori”.

Oltre all’accentramento, mi colpisce sempre come la prima cosa che i governi pensano di fare per risolvere un problema sia: diamo dei soldi. Magari senza un briciolo di un’idea. Io un’idea ce l’avrei: consiglio a qualche esponente del governo di ascoltarsi la puntata di A tu per tu sul Sud Italia. Nel caso, esponente del governo, la trovi sotto fonti e articoli. Ma probabilmente lo sai già.

Cambiamo argomento, parliamo di plastica. Se vi ricordate, ne avevamo parlato mesi fa, da diversi mesi vanno avanti dei negoziati per arrivare a un accordo globale sulla plastica. La plastica, come sappiamo, è un materiale praticamente eterno, che abbiamo usato in maniera geniale per fare cose usa e getta, tipo imballaggi o piatti, bicchieri e così via. Geniale.

Visto che adesso la plastica, sminuzzata nella forma di microplastica, è praticamente ovunque, dalle vette himalayane, ai fondali oceanici, all’aria, all’acqua, al corpo umano, ai pesci, ecc, i paesi si stanno attrezzando per provare a ridurne la produzione e l’utilizzo. In Europa su questo abbiamo una delle normative (cosiddetta SUP) più avanzate al mondo.  

Da un po’ però si sta lavorando anche ad un accordo globale e la novità, che leggo da Rinnovabili.it, è che è stata pubblicata la prima bozza di accordo. Leggo: “Aderire a un obiettivo globale per ridurre la produzione di plastica. O impegnarsi a mettere un tetto alla propria produzione nazionale di polimeri plastici. Nella prima bozza dell’accordo globale sull’inquinamento da plastica entrano le opzioni più “drastiche” che erano sul tavolo dei negoziati in questi mesi. Nonostante le pressioni di Big Oil e di molti paesi, che preferiscono limitare l’accordo a un semplice aumento del tasso di riciclo. Così da non toccare il modello produttivo attuale.

Il testo della “bozza zero” è stato diffuso due giorni fa e presenta tre opzioni da discutere alla prossima tornata dei negoziati, che si terrà a Nairobi, in Kenya, il prossimo novembre. La prima versione dell’accordo globale sull’inquinamento da plastica prevede che tutti i paesi contraenti si impegnino a puntare a un obiettivo globale di riduzione della produzione di plastica. In pratica, lo stesso tipo di impegno che vincola i membri dell’UNFCCC che hanno ratificato il Paris Agreement a contenere la temperatura globale sotto i 2°C e preferibilmente sotto la soglia degli 1,5°C.

Una seconda opzione sul tavolo rispecchia in misura maggiore le differenze tra i paesi e permette di fissare degli obiettivi specifici e differenziati. Si tratterebbe infatti di impegnarsi a rispettare un target nazionale, sempre di riduzione della produzione della plastica. La formula, anche in questo caso, ricalca quella già in uso nella diplomazia climatica e prevede che i paesi presentino dei “contributi nazionali volontari” di riduzione della produzione di plastica con cui contribuiscono al target globale.

Infine, una terza variante prevede un impegno ma molto più blando dei precedenti: i paesi prometterebbero di prendere “tutte le misure necessarie” per tagliare la propria produzione di plastica, ma senza impegnarsi rispetto a un obiettivo globale o specifico.

Al momento quindi il testo sembrerebbe andare più nella direzione auspicata dalla società civile e dalla cosiddetta “High Ambition Coalition”, un gruppo di paesi che include l’UE e spinge per fare dell’accordo globale sull’inquinamento da plastica lo strumento con cui ridurre la produzione, rispetto alla direzione preferita da alcuni grandi paesi produttori, come Stati Uniti e Arabia Saudita, che sostengono invece che l’inquinamento possa essere combattuto solo migliorando il riciclo. Cosa che sappiamo non essere vera, aggiungo io, ma è di quelle convinzioni dure a morire, perché consente al sistema e all’economia mondiale di andare avanti esattamente come adesso. 

Comunque, staremo a vedere che direzione prenderà l’accordo nei prossimi negoziati di novembre. Interessante anche che si terranno a Nairobi, stessa città dove si è appena concluso il primo summit sul clima africano. Sembra che il Kenya (e l’Africa in generale) voglia giocare un ruolo più di primo piano nella partita ambientale globale.

Sul tema plastica mi cade a fagiolo un altro articolo pubblicato scritto da Sabina Weiss su Wired Uk. Nella sacrosanta battaglia mondiale contro l’inquinamento da plastica, infatti, rischiamo tuttavia di prendere la mira nei confronti dell’obiettivo sbagliato e di promuovere soluzioni che non lo sono affatto. Tipo: sostituire gli oggetti o gli imballaggi monouso in plastica, con altri oggetti o imballaggi monouso di altri materiali.

L’articolo di Wired contribuisce a smontare questa convinzione: “Ogni anno il mondo consuma centinaia di miliardi di bicchieri da caffè monouso e la maggior parte non viene riciclata. Per questo il passaggio ai bicchieri di carta – soprattutto nelle grandi catene in paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito, dove la cultura del caffè al bancone è storicamente meno affermata – dovrebbe rappresentare un passo nella giusta direzione. Ma non è proprio così.

Uno studio pubblicato di recente dimostra che i bicchieri di carta possono essere tossici quanto quelli in plastica una volta che finiscono nell’ambiente, per via del sottile strato di plastica con cui vengono ricoperti per evitare che il loro contenuto penetri nella carta, che può però liberare sostanze nocive. Fra l’altro, curiosità, lo studio è realizzato da un team di ricerca con a capo Carney Almroth, una delle scienziate che partecipa ai negoziati sulla plastica di cui sopra.

Vi salto tutta la parte di articolo, molto lunga, che analizza le varie sostanze tossiche con cui sono fatti i bicchieri di carta, e gli impatti potenzialmente nocivi su ambiente e salute e passo alla seconda parte dell’articolo, in cui parla delle possibili alternative. 

Migliorare le pratiche di riciclaggio sarebbe un passo logico per evitare che le sostanze chimiche nocive finiscano in natura, ma i ricercatori sostengono che la cosa migliore è abbandonare del tutto i bicchieri di carta usa e getta. Per la maggior parte dei centri di riciclaggio, separare il rivestimento in plastica dalla carta del bicchiere è difficile. Oggi, nel Regno Unito, solo quattro bicchieri di carta su cento vengono riciclati.

Il problema della perdita di sostanze chimiche non riguarda solo il momento in cui i bicchieri di carta vengono buttati via, ma può iniziare già durante l’utilizzo. Nel 2019, un gruppo di ricerca indiano ha riempito dei bicchieri di carta con acqua calda per verificare se venissero rilasciate particelle di plastica o sostanze chimiche. “Ciò che ci ha sorpreso è stato il numero di particelle di microplastica che si sono liberate nell’acqua calda nel giro 15 minuti”, ha scritto in un’email Anuja Joseph, ricercatrice presso l’Indian Institute of Technology di Kharagpur. In media, un contenitore da 100 ml presenteva 25mila particelle . I ricercatori hanno anche trovato tracce di sostanze chimiche nocive e di metalli pesanti rispettivamente nell’acqua e nel rivestimento in plastica.

I bicchieri “riutilizzabili” non sono per forza migliori per quanto riguarda la perdita di sostanze nocive, poiché sono spesso fatti di plastica; il calore e l’usura accelerano il processo e le bevande acide come il caffè assorbono più facilmente le sostanze chimiche. Anche l’impronta ecologica dei bicchieri di plastica riutilizzabili è discutibile: secondo alcune stime, un bicchiere riutilizzabile deve essere utilizzato dalle 20 alle 100 volte per compensare le emissioni di gas serra rispetto a un contenitore monouso. La colpa in questo caso è dell’elevata quantità di energia necessaria per rendere il bicchiere riutilizzabile durevole e dell’acqua calda necessaria per lavarlo. Detto questo, un bicchiere di plastica riutilizzabile ha almeno il potenziale per durare più a lungo ed è più facile da riciclare.

L’articolo poi passa in rassegna vari materiali, con pro e contro, con cui si possono realizzare contenitori riutilizzabili per concludere:

“Indipendentemente dal materiale che si rivelerà vincente, l’abbandono delle tazze monouso richiederà modelli di business e approcci innovativi. Secondo la tossicologa le aziende troveranno un modo valido per affittare e recuperare i bicchieri riutilizzabili, lavarli in modo appropriato, assicurarsi che non siano contaminati e poi rimetterli in circolazione. “La cosa difficile è cambiare il comportamento delle persone e costruire tutte le infrastrutture”. La convenienza e l’economicità renderanno le tazze usa e getta difficili da scalzare.

Comunque, questo studio ci è molto utile per ribadire un concetto molto importante, ovvero che aldilà di alcune criticità innegabili della plastica, il problema principale non è la plastica, ma l’usa e getta.

Ultima notizia del giorno la prendo da Repubblica. Leggo: “Dopo le proteste gridate a gran voce, Ryanair passa ai fatti e taglia la programmazione di voli per la Sardegna addossando tutta la responsabilità al governo e al decreto Urso contro il caro-voli.

Ryanair ha annunciato oggi il taglio dell’operativo invernale per la Sardegna: 10 le rotte colpite dalla mannaia del vettore, 3 cancellate, l’8% di tutto il “piano winter” dall’Isola. “Sono qui per preannunciare purtroppo una cosa che non avremmo certamente voluto – ha spiegato il chief commercial officer Jason Mc Guinness incontrando i giornalisti a Cagliari -: una riduzione di quasi il 10% rispetto al programmato, ciò è totalmente legato al decreto del governo italiano che consideriamo totalmente illegale e che avrà il solo effetto di ridurre la connettività”. 

Parle non dissimili da quelle che Robert Carey, presidente di Wizz Air, una delle maggiori compagnie low cost in Europa, ha scandito a Repubblica parlando di un provvedimento “illegittimo” e “palesemente contrari ai regolamenti Ue”. Alle quali si sono aggiunti, oggi, i rilievi  dei vertici di easyJet, dopo un incontro proprio col ministro Urso: “Il decreto caro voli renderà i voli più cari”, afferma la compagnia in una nota. “Se il contenuto del decreto venisse confermato, questo porterebbe certamente ad una riduzione della attrattività del mercato italiano per le compagnie aeree, quindi ad una riduzione dell’offerta e della connettività da e per gli aeroporti italiani e ad un inevitabile incremento dei prezzi”.

Ma di cosa stiamo parlando? In pratica il decreto, inserito nel cosiddetto decreto Omnibus approvato dal governo ad agosto e in discussione in parlamento, prevede una serie di limitazioni per le compagnie aeree che ad esempio non potranno – ve la faccio semplice – aumentare troppo i prezzi né in base alla stagionalità su alcune tratte nazionali (ad esempio, i collegamenti con le isole, Sicilia e Sardegna) né in base alla profilazione degli utenti. 

Questa cosa ha sollevato un’alzata di scudi da parte delle compagnie low cost che hanno dapprima minacciato di cancellare alcuni voli e adesso, pare, si apprestano a farlo. Ryanair cancellerà per l’inverno dalla Sardegna tre rotte nazionali per Trieste (da Cagliari), Bari e Treviso (entrambe da Alghero) e ridurrà le frequenze su altre 7 rotte, compresi 6 collegamenti nazionali essenziali per Roma, Milano (Bergamo e Malpensa), Catania, Napoli e Venezia, oltre a Bruxelles Charleroi.

L’articolo ha toni piuttosto catastrofisti e accusa il governo, in pratica, di aver fatto un disastro che porterà a una diminuzione dei voli e un aumento dei prezzi, invece di tenere i prezzi bassi come da obiettivo iniziale. Dal canto mio, posso dire che forse il governo avrà fatto un disastro per i suoi obiettivi iniziali, ma se il risultato è quello di avere meno voli e più cari per tratte nazionali che si possono fare in treno o in nave, be’, mica è così male.

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