23 Set 2024

Israele sta per invadere il Libano? Cosa sappiamo – #987

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Il conflitto in medio-oriente si allarga e molti analisti si chiedono quale sia l’obiettivo dietro all’attacco con cercapersone e walkie-talkie esplosivi organizzato si presume dal Mossad contro i membri di Hezbollah. Vediamo cosa sostengono gli analisti. Parliamo anche di Iran, perché mentre si racconta spesso di come il regime di Teheran si sta muovendo rispetto allo scenario mediorientale, all’interno del paese si sta compiendo un’ondata di repressione violentissima. E di Venezuela, altro paese scosso da proteste e repressione, a cui è dedicata l’ultima puntata di INMR+. Chiudiamo spostandoci in Europa, per raccontare del nuovo governo francese nato fra le polemiche e delle elezioni regionali di Brandeburgo, Germania. 

Torniamo a parlare di medio oriente, per capire meglio che cosa sta succedendo in quello scenario molto molto caldo. Abbiamo già parlato di quella operazione di intelligence compiuta, si presume, dal Mossad, i servizi segreti israeliani, che hanno manomesso dei cercapersone e dei walkie-talkie in possesso di membri di Hezbollah in Libano. 

Dico si presume perché il governo israeliano per diversi non ha né confermato né smentito, poi ieri il Presidente Herzog ha detto che Israele non c’entra nulla con queste esplosioni, ma nessuno ha dubbi che il fatto sia da imputare all’intelligence israeliana, e lo hanno confermato ai media molte fonti anonime dentro ai servizi. 

Comunque, vi riassumo cosa è successo. Martedì scorso nel pomeriggio, migliaia di cercapersone in possesso di membri di Hezbollah in Libano sono esplosi quasi simultaneamente. Gli apparecchi erano stati manomessi in precedenza, inserendo piccole cariche esplosive attivabili a distanza. Fra l’altro, prima delle esplosioni, molti cercapersone hanno ricevuto messaggi per attirare l’attenzione dei possessori, che li hanno presi in mano, provocando ferite gravi alle mani e agli occhi.

Le esplosioni hanno causato 12 morti e oltre 2.000 feriti, con molti in condizioni critiche. Tra le vittime ci sono anche civili, tra cui almeno quattro bambini. Considerate che Hezbollah è una formazione particolare, a metà fra il politico e il militare, e quindi ne fanno parte anche molti civili che sono stati coinvolti nelle esplosioni. Non solo: la scelta di far esplodere le cariche in pieno giorno, se da un lato ha reso l’attacco più efficace, ha fatto anche sì che venissero coinvolti passanti e persone che non c’entravano niente.

Fatto sta che le esplosioni hanno creato panico nel paese, con la popolazione che ha spento telefoni e altri dispositivi elettronici per paura di nuove esplosioni. Immaginate una situazione in cui dal nulla migliaia di dispositivi elettronici cominciano ad esplodere simultaneamente. Il panico è abbastanza comprensibile.

Poi, il giorno dopo, mercoledì, ci sono state ulteriori esplosioni, questa volta tramite walkie-talkie, che hanno provocato altri 20 morti e centinaia di feriti. 

Ora, l’operazione in sé è considerata un successo di intelligence incredibile, che mostra lo strapotere militare di Israele. Come scrive Lorenzo Trombetta su Limes “Per quanto la retorica ufficiale (dei leader di Hezbollah) cerchi di contenere il contraccolpo operativo, materiale ma soprattutto psicologico, il partito armato libanese è oggi, forse per la prima volta da anni, messo in ginocchio di fronte a un rivale israeliano tecnologicamente molto, se non troppo, superiore”. 

Ed è chiaro quale fosse lo scopo immediato: assestare un colpo terribile ai rivali di Hezbollah colpendo contemporaneamente migliaia e migliaia di persone causando appunto un grosso contraccolpo psicologico. Quello che molti si stanno chiedendo adesso però è: qual è l’obiettivo strategico di livello superiore? Che risultato spera di ottenere il governo israeliano con questa mossa, che è anche provocatoria, in un contesto che è già delicatissimo?

Perché considerate che dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza il rischio di una guerra tra Israele ed Hezbollah (e a quel punto forse anche il suo principale alleato, l’Iran) si è fatto sempre più alto. Da mesi Hezbollah lancia razzi e missili oltre il confine con Israele, colpendo il nord del paese, mentre Israele risponde con bombardamenti, attacchi con droni e omicidi mirati. Quindi, che cosa vuole ottenere il governo israeliano con quest’ulteriore azione?

In cerca di una risposta mi sposto sul Post, che pubblica un lungo articolo dal titolo “Cosa vuole ottenere Israele con gli attacchi esplosivi in Libano?”, in cui oltre a ricostruire l’accaduto raccoglie le principali ipotesi al vaglio degli esperti, al momento. Che sono sostanzialmente due. Ve le leggo:

“Molti osservatori, anche dentro all’amministrazione statunitense di Joe Biden, temono che l’attacco tramite i cercapersone sia la prima fase di una nuova operazione militare israeliana contro il Libano, o perfino di un’invasione del paese. In questo senso, ritengono che l’attacco di martedì e mercoledì sia una provocazione per costringere Hezbollah a una risposta spropositata, e trascinare il gruppo libanese in una guerra aperta, o comunque in un conflitto più distruttivo di quello già in corso: «Questa non è un’operazione singola, è un’operazione che potrebbe far partire una guerra più ampia in Libano», ha detto al Washington Post Danny Yatom, un ex capo del Mossad, l’intelligence esterna israeliana.

Un’invasione israeliana del Libano tuttavia non sembra imminente, perché almeno da quelle che sono le informazioni attualmente disponibili le forze armate israeliane non hanno ancora messo in atto le preparazioni necessarie – in termini di mobilitazione di soldati e di mezzi – per l’invasione su larga scala di un altro paese.

Un’altra possibilità è che Israele speri che, dopo un attacco così devastante che ha colpito migliaia di suoi membri e che è di fatto la più grande falla di sicurezza della sua storia, Hezbollah rinunci almeno temporaneamente ai propri attacchi e accetti di ritirarsi dal confine con Israele, come richiesto da tempo dagli israeliani. Al momento è piuttosto improbabile che questo succeda”.

I fatti dei giorni successivi sembrano suffragare più la prima ipotesi, qulla dell’estensione del conflitto, che la seconda. Michele Giorgio sul manifesto racconta che, mentre a Gaza continuano i bombardamenti (l’ultimo quello di questo sabato su un edificio scolastico che ospitava migliaia di sfollati, che ha causato la morte di almeno 22 palestinesi, quasi tutti civili e di cui 13 minori), anche le operazioni in Libano sono aumentate di intensità. 

Sempre sabato un bombardamento israeliano ha ucciso Ibrahim Aqel e altri comandanti militari di Hezbollah a sud di Beirut  e al confine con il Libano continuano ad ammassarsi soldati e mezzi corazzati. I media israeliani scrivono che, come primo passo, le forze aeree martelleranno lungamente il Libano del sud e la valle della Bekaa; quindi, invaderanno il territorio libanese sfondando la prima linea di difesa di Hezbollah e dell’esercito libanese (se deciderà di entrare in azione). 

Nella seconda fase, gli attaccanti si muoveranno in profondità nel Libano. Ma non riusciranno a impedire la risposta di Hezbollah che malgrado i colpi subiti è in grado di lanciare migliaia di missili contro Israele. 

Insomma, il conflitto sembrerebbe sul punto di allargarsi. O forse si è già allargato. Il manifesto sabato titolava “Terza guerra”, a intendere che quella fra Israele e Libano è già una guerra. Sul terza, potremmo discutere. Immagino si riferisca a l fatto che un nuovo conflitto si va ad aggiungere a quello in Ucraina e a Gaza, magari richiamando vagamente alla terza guerra mondiale, non so.

Fatto sta che è un titolo molto inesatto perché al momento nel mondo ci sono una cinquantina di guerre e conflitti di diverso genere, e per quanto il titolo sia stato fatto immagino in buona fede, questo tradisce una visione molto diffusa e occidentocentrica dei media nostrani. 

Restiamo all’interno dello stesso scenario, all’incirca, ma ci spostiamo in un altro paese, l’Iran. Di Iran, nelle ultime settimane, si sta parlando soprattutto per ciò che riguarda il posizionamento del paese riguardo al conflitto sempre più regionale. 

Ad esempio, notizia di ieri, leggo dal Guardian che “Dodici persone sono state arrestate in sei diverse province iraniane perche considerate collaboratori “del regime sionista” e accusati di pianificare atti contro la sicurezza del paese.

Ma la crisi della regione rischia di oscurare una delle ondate repressive e di violenza maggiori degli ultimi anni da parte del regime di Teheran. Ho chiesto a Samira Ardalani, attivista e portavoce dei giovani iraniani residenti in Italia di raccontarci quello che sta avvenendo. A te Samira:

Audio disponibile nel video / podcast

Passando da regime autoritario a regime autoritario, ci spostiamo in Venezuela, dove continua un clima di forte instabilità politica, dopo le elezioni che hanno visto trionfare nuovamente il Presidente Nicolas Maduro, ma fra mille dubbi e in un clima diciamo non di trionfo della democrazia.

Dopo queste contestatissime elezioni il paese è stato scosso da violente proteste, represse violentemente dalla polizia, con migliaia di arresti. Giovedì il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in sostiene che il presidente democraticamente eletto sia in realtà il leader dell’opposizione (che nel frattempo è scappato in Spagna) Edmundo González Urrutia e in cui “condanna fortemente e respinge in toto i brogli elettorali“. 

Maduro dal canto suo cerca di mantenere la situazione sotto controllo e di imbonire le folle con trovate esotiche, come quella di anticipare i festeggiamenti del Natale a ottobre. La situazione comunque è difficile da leggere da qua, affidandoci alle notizie piuttosto sporadiche che arrivano sui media nostrani. 

Per questo ho deciso di approfondire la situazione assieme a Michele Bertelli, un giornalista e reporter esperto di america del Sud, nella nuova puntata di INMR+ uscita sabato. Inmr+ è uno dei nostri due podcast per abbonati. Ve ne faccio sentire un estratto di qualche minuto.

Audio disponibile nel video / podcast 

Se volete ascoltare la puntata completa e siete abbonati trovate il link sotto fonti e articoli.

Intanto, da sabato la Francia ha ufficialmente un nuovo governo. Fra un bel po’ di polemiche. Perché sono in molti ad accusare Macron di avere nei fatti aggirato i risultati delle ultime elezioni, prima alleandosi con la sinistra per sconfiggere l’estrema destra ai ballottaggi e poi, una volta scongiurato il pericolo LePen / Bardella grazie soprattutto ai voti ottenuti dalla coalizione di sinistra al secondo turno, virando nuovamente a destra e alleandosi con i Repubblicani per creare un governo di centrodestra, in cui il suo partito la fa da padrone.

Il nuovo primo ministro francese sarà infatti Michel Barnier, un conservatore, e sabato ha presentato il suo governo, annunciando l’elenco dei 39 membri che ne faranno parte. Sette dei 17 ministri scelti fanno parte di Ensemble pour la République, la coalizione centrista del presidente Emmanuel Macron, e tre dei Repubblicani, il partito del primo ministro. 

Queste scelte sembrano aver scontentato buona parte del panorama politico francese. Secondo Kate Connolly, sul Guardian, “Le minacce crescenti di una mozione di sfiducia parlamentare stanno mettendo sotto pressione il nuovo governo di Michel Barnier ancor prima che possa iniziare il suo lavoro, mentre i manifestanti continuano a esprimere rabbia contro l’amministrazione del nuovo primo ministro francese.” 

L’opposizione di sinistra ha subito annunciato l’intenzione di sfiduciare il governo, e anche la destra estrema ha criticato la nuova squadra. Jean-Luc Mélenchon, uno dei leader della coalizione di sinistra, forse il più carismatrico e certamente quello più di sinistra, ha definito il governo “dei perdenti delle elezioni”. Insomma, il nuovo governo francese non inizia sotto la migliore stella.

In Germania invece è arrivata una boccata d’ossigeno per il governo dalle elezioni regionali nello stato di Brandeburgo. I sondaggi davano anche qui un vantaggio del partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD), che però almeno stando ai risultati che al momento non sono definitivi sembra aver mancato, seppur di poco, la vittoria. 

Era un’elezione particolarmente delicata per il governo federale di Olaf Scholz, quasi un referendum, dopo il recente successo dell’AfD in altre regioni come la Turingia e la Sassonia. Ma il suo partito socialdemocratico (l’SPD) ha apparentemente recuperato terreno all’ultimo momento, superando l’AfD con il 31,3% contro il 29,5%. 

Entrambi i partiti, comunque, hanno registrato guadagni di circa 5-6 punti rispetto alle elezioni precedenti, mentre la nuova alleanza di sinistra populista di Sahra Wagenknecht ha ottenuto anche qui un ottimo risultato con il 12%. E anche qui, come nelle precedenti elezioni regionali, si registra un’affluenza alta, con il 74% degli aventi diritto al voto che ha votato.

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