11 Apr 2024

Suviana, il pattern dei disastri e il “segreto” di Taiwan – #912

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Proseguono le ricerche all’interno della centrale idroelettrica di Suviana, e mentre si affievoliscono le speranze di cercare i superstiti, si cerca di far luce sulle cause dell’esplosione. Parliamo anche di come Taiwan ha migliorato il suo sistema di prevenzione, allerta e intervento per i terremoti che le ha permesso di gestire in maniera impeccabile una scossa di magnitudo 7,4, di come sta andando l’esperienza di Bologna città 30 e della causa degli attori italiani contro Netflix. E ancora, di banche armate, disobbedienza civile, pace e rap nelle carceri. 

Ieri abbiamo parlato a lungo dell’esplosione che ha coinvolto la centrale idroelettrica di Suviana, sull’Appennino bolognese. Vista la rilevanza della tragedia, la notizia continua anche oggi a campeggiare su ogni giornale, con approfondimenti di vario tipo oltre agli aggiornamenti del caso, legati soprattutto alle speranze sempre più flebili di soccorso delle 4 persone disperse.

Anche perché la situazione con cui i sommozzatori stanno lavorando è molto difficile, visto che l’acqua sta continuando a salire all’interno dell’edificio (che si trova sotto il livello dell’acqua) e che non è detto che l’edificio sia sicuro. Il comandante dei sommozzatori ieri ha fermato per diverse ore la ricerca ricordando che l’area che viene esplorata ha subito una esplosione, un incendio, un crollo e poi un allagamento e i sommozzatori in acqua non riescono a vedere niente, e procedono letteralmente a tentoni, toccando con le mani le superfici in cui si imbattono.

Uno degli aspetti che sta facendo discutere, e che mi sembra un pattern ricorrente in diverse tragedie nostrane, è il fatto che sul cantiere c’erano persone che facevano riferimento ad aziende diverse, di cui ancora non sono chiarissimi i rapporti con Enel. 

Ieri il segretario della Cgil di Bologna Michele Bulgarelli ha dichiarato alla stampa: “Dopo ormai quasi una giornata dall’incidente, in un cantiere Enel, ancora non sappiamo di che azienda sono i dipendenti morti, i dispersi e i feriti. È lo specchio del mondo del lavoro, in un cantiere su 12 persone coinvolte sembra che dieci siano di aziende esterne. E cosa ci faceva un pensionato di 73 anni con partita Iva nel cantiere?”

Poi nelle ore successive sono emersi maggiori dettagli, ad esempio il settantaduenne in questione era il proprietario dell’azienda Engineering automation srl, che dava lavoro alle due vittime, e che era una delle aziende a cui Enel aveva affidato il collaudo.

Però ci sono altri aspetti ancora da chiarire legati alle altre persone coinvolte e in generale mi sembra che ci sia una certa confusione fra le varie ditte appaltatrici. E forse, in questa specie sistema di scatole cinesi di appalti, subappalti e dinamiche fra aziende non del tutto chiare e facili da ricostruire, è possibile che manchi un coordinamento generale. Lo dico perché mi sembra un pattern ricorrente nei disastri, ad esempio nella tragedia ferroviaria di Brandizzo dello scorso anno, quando una mancata comunicazione aveva causato la morte di cinque operai travolti da un treno 

Ripeto, non so dire se in questo caso questa dinamica abbia avuto un impatto sul disastro. Ma ecco, magari è qualcosa da esplorare.

Comunque, il fatto di studiare i disastri è una roba che magari ci può far storcere il naso, perché i disastri vorremmo solamente dimenticarli o piangerli, ma sarebbe una abitudine molto utile a prevenire quelli successivi, in un meccanismo di costante apprendimento e miglioramento.

È un tipo di caratteristica di alcuni sistemi che il sociologo Taleb chiama antifragilità, ovvero la capacità di un sistema di recuperare da uno shock migliorandosi. Ve ne parlo perché ho trovato molto istruttivo il lungo articolo pubblicato da Al Jazeera a firma di Jan Camenzind Broomby e Kenza Wilks su come Taiwan è riuscita a sopravvivere a un terremoto enorme con sole 13 vittime, di cui zero da crollo. 

E lo ha fatto, pensate un po’, imparando dai passati terremoti. L’articolo racconta che a una settimana di distanza dal più grande terremoto degli ultimi 25 anni a Taiwan, la vita sull’isola sta tornando alla normalità, soprattutto nella contea orientale di Hualien, vicino all’epicentro. Nonostante una popolazione di oltre 300.000 abitanti e una densità abitativa altissima, il bilancio è di 13 morti e più di 1.160 feriti. Pensate che un terremoto simile nel 1999 causò più di 2.400 morti e 11.000 feriti.

Taiwan ha imparato dalle esperienze passate, migliorando la strategia di mitigazione sismica attraverso nuovi codici edilizi, sistemi di allerta precoce e educazione sull’argomento. In questi anni infatti l’isola si è dotata di sensori e stazioni di monitoraggio che consentono di generare delle “shakemaps” per valutare i movimenti sismici in tempo quasi reale e di determinare rapidamente l’epicentro di un terremoto, attivando allerte tramite cellulare per le aree a rischio.

E il recente terremoto ha evidenziato l’efficacia delle misure adottate, con danni limitati agli edifici, anche grazie a codici edilizi più rigorosi e all’uso di elementi antisismici nelle costruzioni. Un esempio macroscopico è il Taipei 101, l’undicesimo grattacielo più alto al mondo, che contiene una grande “palla smorzatrice” per prevenire l’oscillazione durante i sismi (peraltro progettata e costruita in Italia).

Il governo ha anche identificato le aree a maggior rischio a causa della vicinanza a faglie attive, richiedendo che in quelle zone i nuovi edifici rispettino normative sismiche ancora più severe. Inoltre le squadre di ricerca e soccorso ora impiegano tecnologie avanzate e hanno ricevuto una formazione specifica, a differenza di quanto avvenuto nel 1999.

Ovviamente, come ricorda giustamente l’articolo, nonostante la preparazione, anche la fortuna ha giocato un ruolo importante nel mantenere basso il numero di vittime: l’epicentro era situato in una zona meno popolata e il fatto è avvenuto poco prima di una festività maggiore, il che ha ridotto potenzialmente il numero di persone in viaggio.

Tuttavia, direi che il sistema Taiwan di prevenzione del rischio sismico e di risposta ai terremoti ha funzionato molto bene, e mi sembra un qualcosa da cui prendere spunto, non solo sui terremoti ma sul modo di progettare sistemi resilienti o ancor meglio antifragili rispetto alle possibili calamità.

Sono passati due mesi dall’introduzione del limite di velocità di 30 chilometri orari in tutte le strade urbane di Bologna (a parte le principali vie di scorrimento), quella misura nota come Bologna città 30. Qualche giorno fa i colleghi di Sardegna che Cambia ci hanno raccontato gli effetti molto positivi di Olbia città 30 e allora ho pensato di fare lo stesso con quello che è stato l’esempio più raccontato e dibattuto di città 30, ovvero appunto il capoluogo emiliano. 

Ce ne parla un articolo a firma di Ilaria Sesana su AltrEconomia, che provo a riassumervi. Il primo dato interessante è che la misura sembra aver portato un calo significativo degli incidenti e dei feriti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. I dati mostrano una riduzione degli incidenti del 16,6%, dei feriti del 19,4% e dei pedoni coinvolti. 

Il ridisegno delle strade di Bologna, con l’introduzione di marciapiedi allargati, dossi e attraversamenti pedonali sopraelevati, obbligando fisicamente le auto a ridurre la velocità, sembra aver contribuito a questa riduzione evidenziando l’impatto positivo delle modifiche infrastrutturali sulla sicurezza stradale.

Altro aspetto interessante, aver affiancato all’attività di controllo molte campagne di sensibilizzazione che proseguono tutt’ora, ha fatto sì che il numero di multe sia stato fin qui limitato.

Ecco, questi sono i primi dati. Ci vorrà invece più tempo per osservare se ci saranno effetti, e quali, sulla qualità dell’aria, dell’ambiente e della salute pubblica. Su questo l’articolo fa alcuni esempi dall’estero, presi dalle diverse città europee che hanno adottato limiti di velocità ridotti e che attraverso di essi hanno migliorato la sicurezza stradale, ridotto il traffico e l’inquinamento, migliorato la qualità della vita cittadina in molti indicatori. 

Esempi di successo includono Graz, Zurigo, Helsinki e Bruxelles. Se volete approfondire, trovate l’articolo sotto fonti e articoli.

Ieri parlavamo di cause giudiziare di cittadini e cittadine per il clima. Oggi continuiamo a parlare di cause, ma stavolta il clima non c’entra nulla. C’entra invece Netflix e c’entrano gli attori italiani. Dopo ben otto anni di trattative, infatti, la società Artisti 7607, che è la cooperativa che tutela e gestisce i diritti di migliaia di attori e doppiatori in Italia e nel mondo, ha citato in giudizio Netflix presso il Tribunale civile di Roma, con l’accusa di non offrire un compenso adeguato agli artisti.

L’articolo di Repubblica che ne parla poi fa una carrellata di dichiarazioni di vari attori e attrici che aderiscono all’iniziativa, come Neri Marcorè, Elio Germano, Carmen Giardina e tanti altri. Non ve le sto a riportare tutte, ma il succo è che le piattaforme streaming pagano agli attori compensi irrisori perché a differenza dei cinema e della Tv i dati di visualizzazioni delle piattaforme sono dati non pubblici, e quindi il compenso degli attori e in generale dei lavoratori dello spettacolo non è – come in altri casi – legato al successo o meno di una serie o di un film. Cosa che invece sarebbe prevista dalla normativa sul diritto d’autore nel cinema.

C’è infatti una “Direttiva Copyright”, che è una direttiva europea approvata nel 2019, che ha chiarito che le remunerazioni degli artisti devono essere “adeguate e proporzionate” ai ricavi. Ma se i ricavi sono un dato non pubblico, le piattaforme hanno vita facile, contando anche sulla condizione di oligopolio, nel chiudere accordi al ribasso imporre le stesse cifre a tutto il mercato.

Se ricordate, sono almeno in parte le stesse ragioni che hanno motivato il recente sciopero degli attori e sceneggiatori americani. A cui poi gli americani hanno aggiunto alcune rivendicazioni legate all’utilizzo dell’AI. 

Devo dire che è interessante osservare questo slittamento, che è un po’ anche uno slittamento nell’immaginario, dell’attore – che appunto nell’immaginario collettivo è un privilegiato, qualcuno che sta vivendo “il sogno” – che diventa colui che lotta per i propri diritti contro le piattaforme oligopoliste. Poi è probabile che attori come Elio Germano, mastandrea ecc usino la loro visibilità per difendere i diritti dell’intero settore, e di chi ne ha più bisogno. Ma credo che sottotraccia a questo discorso ci sia anche il tema che le innovazioni tecnologico-economiche, dalla platform economy all’avvento della AI, che a differenza ci quanto prevedevano gli scenari di qualche anno fa stanno aggredendo economicamente i settori più creativi, e non quelli più ripetitivi e meccanici.

Audio disponibile nel video / podcast

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