10 Gen 2023

Chi c’è dietro il tentativo di colpo di Stato in Brasile? – #648

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Com’è andata la storia del tentato colpo di stato in Brasile? Da chi è stato organizzato? E come mai è stato fatto così poco per prevenirlo? Vediamo cosa ne sappiamo, fin qui. Parliamo anche del caso di Alfredo Cospito, anarchico che rischia di morire per uno sciopero della fame, in carcere, e della nuova legge inglese che proibisce piatti e posate usa e getta.

BRASILE, LA SITUAZIONE

A proposito di patti fra cittadini e istituzioni, ce n’è un altro, considerato altrettanto sacro e inviolabile, che è quello che sta alla base delle nostre democrazie rappresentative elettive, ovvero il riconoscere il diritto a chi ottiene la maggioranza dei voti di governare. 

Anche questo patto, su cui si regge il castello istituzionale dei paesi di mezzo mondo (in realtà di quasi tutto il mondo) sta cigolando paurosamente. Ne abbiamo parlato ieri, ma tocca che ne riparliamo. Perché ci sono un po’ di informazioni in più e anche diverse riflessioni in più che si possono fare. 

Il riassunto della vicenda è che domenica un gruppo di manifestanti pro-Bolsonaro che da mesi era accampato a Brasilia nei pressi dei tre palazzi che rappresentano le istituzioni brasiliane, ovvero il palazzo presidenziale, il parlamento e la corte suprema, sono riusciti a superare i cordoni della polizia e ad occupare (e devastare) per qualche ora quegli stessi palazzi.  

Quali sono le novità rispetto a ieri. La prima è che parrebbe esserci la connivenza della stessa polizia in questa operazione, non tanto nel fatto di averla organizzata (questo non abbiamo elementi per dirlo) quanto per il fatto che sia stata lasciata succedere. G1 Globo è riuscito a immortalare numerosi poliziotti scattarsi delle fotografie assieme ai supporters bolsonaristi quando già era stato sfondato il cordone di sicurezza.

La seconda è che alla fine dei conti le persone arrestate sono oltre 1200, per fortuna non si registrano feriti né tantomeno morti, come invece era successo nell’assalto a Capitol Hill negli Usa. 

La terza è che l’esercito, che è stato a lungo invocato dai bolsonaristi affinché prendesse il controllo della situazione e rimettesse Bolsonaro al potere, che a un certo punto nella nottata di ieri sembrava persino essersi schierato al fianco dei manifestanti impedendo alla polizia di entrare, alla fine si è schierato in difesa delle istituzioni democratiche e ha sgomberato il campo allestito dai supporter di Bolsonaro.

La quarta è che la magistratura sta già seguendo alcune piste calde per capire chi c’è dietro l’organizzazione di questa specie di insurrezione, che fin da subito è apparsa come molto organizzata. Come scrive Mattia Fossati su Caffé Geopolitico, “Il Governo è sicuro che dietro a questi fatti si nasconda non solo la cupola bolsonarista, ma anche l’imprenditoria legata all’agronegocio, che durante l’era Bolsonaro aveva ricevuto grande sostegno. “Molti esponenti dell’agronegocio, che vogliono utilizzare l’agricoltura transgenica senza nessun rispetto per la salute umana, probabilmente erano assieme a chi ha compiuto questi atti” – ha detto Lula in conferenza stampa.

Sembra un’accusa generica, ma le autorità brasiliane hanno già dei nomi e cognomi. Il punto di partenza è un’informativa della Policia Federal riguardante otto imprenditori dell’agronegocio, arrestati a settembre del 2022 con l’accusa di aver pianificato un golpe per impedire la vittoria di Lula. 

Un ruolo specifico sembrerebbe averlo giocato Anderson Torres (di cui L’avvocatura generale dello Stato ha chiesto l’arresto). Torres è l’ex ministro della Giustizia del Governo Bolsonaro, attualmente segretario della Sicurezza del Distretto Federale di Brasilia. Secondo le accuse, Torres avrebbe saputo che i manifestanti pro Bolsonaro si sarebbero diretti nella Capitale ma non avrebbe preso adeguate contromisure. Torres è anche lo stesso che durante il secondo turno delle presidenziali era stato il responsabile dell’operazione della Policia Rodoviaria Federal che aveva fermato per diverse ore i pullman di elettori che si stavano recando alle urne, in particolare nelle regioni a maggioranza “lulista”. 

Insomma, c’erano molti indizi che facevano sospettare uno scenario alla Capitol Hill anche in Brasile. Pierre Haski su France Inter parla di catastrofe annunciata, “perché in Brasile abbiamo ritrovato tutti gli elementi che avevano caratterizzato la crisi degli Stati Uniti. E proprio come accaduto a Washington, anche in Brasile lo stato si è dimostrato più resistente di quanto pensassero gli insorti. E soprattutto l’esercito non ha risposto ai loro appelli”.

Restano diverse domande aperte. Come si chiede lo stesso Haski: “Si è trattato del colpo di coda di una frangia bolsonarista estrema? O di un complotto più elaborato, con ramificazioni politiche, mezzi finanziari e complici all’interno dell’apparato statale?” 

Altre riguardano la governabilità del paese, che dipenderà anche dall’atteggiamento dei sostenitori di Bolsonaro che occupano posizioni di rilievo, dai governatori regionali ai legislatori. Seguiranno le norme democratiche? O saranno alla mercé delle frange estreme di bolsonaristi, come accaduto ai trumpiani che abbiamo visto all’opera in questi giorni alla camera dei rappresentanti?

E ancora, in Brasile come altrove, come si fa a riparare un tessuto democratico lacerato dalla retorica populista ma anche disilluso dal mancato rispetto di molti valori? 

In particolare su quest’ultimo punto sollevato dal giornalista, credo che parte della soluzione passi anche per un profondo ripensamento dei nostri sistemi democratici. E su questo vi invito ad ascoltare la bella puntata di A tu per tu proprio sulla crisi della democrazia e le sue possibili evoluzioni. Come? Come? Non sei abbonato e non la puoi ascoltare? Ahi ahi ahi. Faccio finta di non aver sentito, vai. Tu intanto vedi di rimediare.

ALFREDO COSPITO, CHE RISCHIA DI MORIRE IN CARCERE

C’è una storia di cui forse avrete sentito parlare o forse no. È una storia che ha sfiorato i giornali in maniera abbastanza tangenziale, ma che invece sta animando molti animi. È la storia di Alfredo Cospito, un anarchico, che si trova a un passo dalla morte nel carcere di Bancali a Sassari per via di uno sciopero della fame che dura, ormai, da 80 giorni. 

Se ne sta parlando in questi giorni anche per via di una lettera/appello pubblicata da alcuni giornali (fra cui il manifesto e Pressenza), scritta a firma di 38 personalità, tra intellettuali e giuristi, che vede prima firmataria una docente di diritto costituzionale dell’Università di Torino, Alessandra Algostino e che conta fra le altre le firme di padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, l’attore e scrittore Moni Ovadia, il filosofo Massimo Cacciari, l’ex pm di Mani Pulite Gherardo Colombo, lo storico dell’arte Tomaso Montanari.

L’appello è indirizzato al ministro della Giustizia Carlo Nordio e al governo per chiedere la revoca del regime di 41bis con cui è ristretto nel penitenziario sardo l’anarchico.

“A ottobre – scrive la redazione del FQ – Cospito ha iniziato lo sciopero della fame per contestare l’applicazione del “carcere duro” deciso nel corso del 2022. Dieci anni fa l’anarchico è stato condannato a 10 anni e 8 mesi di reclusione per aver gambizzato Roberto Adinolfi, dirigente dell’Ansaldo. 

Per gambizzare si intende sparare alle gambe ed era una tecnica cara alle Brigate Rosse. Il manager era stato operato alla tibia e dimesso dopo pochi giorni, mentre l’attentato era stato rivendicato dalla Federazione anarchica informale, di cui Cospito era a capo. Oltre a ciò, negli anni successivi è stato accusato di aver piazzato due pacchi bomba a Fossano, nel Cuneese, davanti alla Scuola allievi dei carabinieri: non ci furono né morti né feriti.

Per questa vicenda Cospito è stato condannato in appello a 20 anni di carcere, mentre la compagna Anna Beniamino a 16, per strage comune. Lo scorso maggio la Corte di Cassazione, su richiesta del procuratore generale, ha chiesto tuttavia di riformulare la condanna ritenendo che il reato fosse di strage politica, applicando quindi l’articolo 285 del codice penale, che prevede l’ergastolo e rientra – a differenza della strage comune – tra i reati “ostativi”, quelli per i quali insomma il condannato non possa ottenere benefici o pene alternative. L’accusa ha quindi chiesto l’ergastolo per Cospito e 27 anni e 1 mese per Beniamino.

La Corte d’appello di Torino, a cui spetta riformulare la pena, a dicembre ha chiesto l’intervento della Corte costituzionale per chiarire se sia possibile applicare l’attenuante della “tenuità del fatto” per l’attentato alla Scuola allievi, come richiesto dalla difesa. Nel frattempo però, nel corso della detenzione Cospito ha inviato “numerosi messaggi” ai “compagni anarchici” che sono stati “invitati esplicitamente a continuare la lotta, anche con mezzi violenti, il che ha indotto l’allora ministra Marta Cartabria, a chiedere l’applicazione del regime di 41-bis perché.

Dal 4 maggio scorso Cospito è quindi sottoposto al 41-bis “con esclusione di ogni possibilità di corrispondenza, diminuzione dell’aria a due ore trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri e riduzione della socialità a una sola ora al giorno in una saletta assieme a tre detenuti”. E dal 20 ottobre scorso ha iniziato uno sciopero della fame “che si protrae tuttora con perdita di 35 chilogrammi di peso e preoccupante calo di potassio, necessario per il corretto funzionamento dei muscoli involontari tra cui il cuore”. I sottoscrittori ricordano che Cospito non intende sospendere la protesta, ma anzi vuole portarla avanti “sino all’ultimo respiro” .

E scrivono: “Lo sciopero della fame di detenuti potenzialmente fino alla morte è una scelta esistenziale drammatica che interpella le coscienze e le intelligenze di tutti”. Di fronte a tutto questo, continuano, “la gravità dei fatti commessi non scompare né si attenua ma deve passare in secondo piano”. Ma “configurare come sfida o ricatto l’atteggiamento di chi fa del corpo l’estremo strumento di protesta e di affermazione della propria identità significa tradire la nostra Costituzione che pone in cima ai valori, alla cui tutela è preposto lo Stato, la vita umana e la dignità della persona: per la sua stessa legittimazione e credibilità, non per concessione a chi lo avversa. Sta qui – come i fatti di questi giorni mostrano nel mondo – la differenza tra gli Stati democratici e i regimi autoritari”.

Ora, qui ci sono di mezzo tre questioni fondamentali. Una riguarda la condizione delle nostre carceri. Una seconda riguarda il senso delle nostre carceri. La terza infine riguarda il senso stesso della giustizia, quel patto che è alla base dell’alleanza fra cittadini e istituzioni, ovvero il principio dell’habeas corpus. Non ricordo chi, recentemente, spiegava quest’ultima cosa molto bene. E mi spiace davvero non ricordarlo e non poterlo citare correttamente, ma il succo era che il carcerato è sacro. Il patto in questione è quello per cui il cittadino si spoglia di ogni arma, e di ogni pretesa di farsi giustizia da solo, affida questa cosa allo stato e quindi consente allo stato anche di privarlo della propria libertà, a patto che il prigioniero sia sacro. E sacri i suoi diritti. 

Insomma, io posso arrivare a capire il senso dell’ergastolo ostativo e del 41bis, il carcere duro e senza contatti con l’esterno, in alcune situazioni estreme. Ma davvero estreme. Altrimenti, se come traspare dalla lettera che vi ho citato sopra questi strumenti vengono usati quasi come la norma, viene meno quel patto di fiducia che sta alla base del concetto stesso del carcere. 

L’INGHILTERRA VIETA LE POSATE E I PIATTI IN PLASTICA MONOUSO

In Inghilterra saranno vietate le posate, i piatti e le vaschette per il cibo fatte di plastica monouso. Ne parla il Post, riportando le parole di Thérèse Coffey, la ministra dell’Ambiente, del Cibo e degli Affari rurali, che ha detto che il divieto «avrà un grosso impatto» nel ridurre l’inquinamento ambientale provocato dai miliardi di prodotti di plastica usati e gettati ogni anno. Non è ancora chiaro quando entrerà in vigore il divieto.

Nel 2020 l’Inghilterra aveva già vietato l’utilizzo di alcuni prodotti di plastica monouso, come le cannucce, i cotton fioc e i bastoncini per mescolare le bevande, sulla scia del decreto Suo approvato dalla Ue (da cui, diciamolo, ha un po’ preso ispirazione). L’anno successivo poi il governo britannico aveva proposto di vietarne anche altri per provare a ridurre l’inquinamento: secondo alcune stime, ogni anno in Inghilterra vengono usati 1,1 miliardi di piatti di plastica monouso e più di 4 miliardi di posate, ma solo il 10 per cento viene riciclato. La misura riguarderà i prodotti in plastica monouso che si usano in bar, ristoranti e per il cibo d’asporto, ma non quelli che si trovano in negozi e supermercati, che il governo ha fatto sapere di voler gestire con altri provvedimenti.

Ottima notizia, anche se bisogna vedere quali soluzioni alternative cercherà di incentivare il governo. perché il problema non è la plastica, è l’usa e getta, e ci passa un mondo fra sostituire piatti e bicchieri di plastica con piatti e bicchieri di bioplastica o di carta o con implementare soluzioni di riuso. Stiamo a vedere. 

FONTI E ARTICOLI

#Brasile
Il Caffé Geopolitico – Brasile, manifestanti pro-golpe invadono il Congresso: si indaga sulla cupola bolsonarista
il Post – Da dove arriva l’assalto alle istituzioni brasiliane, spiegato
Internazionale – Assalto alla democrazia brasiliana
Vita – La Capitol Hill di Bolsonaro (e di Bannon)

#Alfredo Cospito
il manifesto – Per la vita di Cospito, appello al ministro della Giustizia e all’amministrazione penitenziaria
il Fatto Quotidiano – Alfredo Cospito, appello di intellettuali e giuristi per revocare il 41 bis all’anarchico: tra i firmatari anche don Ciotti e padre Zanotelli

#plastica
il Post – In Inghilterra saranno vietate le posate, i piatti e le vaschette per il cibo fatte di plastica monouso

#Nigeria
il Post – Almeno 32 persone sono state rapite in una stazione ferroviaria nel sud della Nigeria

#ong
il Post – Perché è un problema che le navi delle ong sbarchino ad Ancona e non nel sud Italia
Altreconomia – Soccorsi in mare e porti lontani assegnati alle navi delle Ong: la cattiva fede del governo

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